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Rimuginio e timidezza nell’ansia sociale: fattori di rischio o di mantenimento?

Il rimuginio è un aspetto caratteristico nelle persone con ansia sociale ed è presente in generalmente in due momenti: prima e dopo l’evento ansioso

Di Andrea Coluccia, Antonio Cafaro

Pubblicato il 13 Ott. 2021

L’ansia sociale è riportata come la seconda più comune condizione ansiosa, con una prevalenza nel corso della vita di circa il 10% (Kessler et al., 2014).

OPEN SCHOOL – Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Mestre

 

Caratteristiche dell’ansia sociale

 Si caratterizza per la presenza di un’intensa paura nelle situazioni sociali in cui si è sottoposti allo sguardo e alla valutazione di altre persone. Il tema centrale di questa difficoltà è rappresentato dalla convinzione di essere continuamente sottoposti al giudizio degli altri, e il conseguente timore è quello di essere oggetto di una valutazione negativa (Grimaldi, 2018).

Pertanto, l’apprensione di chi ne soffre è strettamente legata alla rappresentazione di come è percepito e valutato dalle altre persone. Diverse sono le situazioni temute dalle persone con ansia sociale, tra cui generalmente tutte le situazioni nuove o quelle in cui si è chiamati a difendere i propri diritti o a sostenere un’opinione diversa da quella di un’altra persona. Questo porta chi ne soffre a evitare molte delle situazioni sociali per paura di possibili giudizi negativi e per la preoccupazione di potersi sentire sotto osservazione. In questa prospettiva, si è continuamente alla ricerca di un giudizio positivo, in uno scenario, tuttavia, in cui la paura di poter subire un rifiuto tende a innescare un circolo vizioso che può gradualmente portare ad un peggioramento dell’ansia stessa (Grimaldi, 2018).

Fattori di mantenimento dell’ansia sociale

Una delle caratteristiche più rilevanti così è la necessità di voler dare sempre una buona impressione durante le interazioni sociali, cercando di evitare di ricevere giudizi negativi. L’ansia sociale, tuttavia, è una condizione che viene mantenuta ed alimentata da diversi fattori, tra cui: tratti di personalità caratterizzati da introversione e timidezza, una forte ansia anticipatoria che precede le azioni da eseguire in pubblico e un costante rimuginio. Più di altri disturbi d’ansia è mantenuta da pensieri di autosvalutazione, che si generano automaticamente, in corrispondenza di una situazione temuta e che fanno perdere alla persona il focus sulla situazione in cui si trova, facendola concentrare soltanto sui propri timori. Questo porta così a rappresentarsi già l’esito negativo della propria prestazione, sociale o individuale, facendo emergere di riflesso l’emozione della vergogna, che nell’ansia sociale si caratterizza per essere un tratto distintivo.

Un altro fattore di mantenimento, inoltre, sono i comportamenti di evitamento che la persona mette in atto nel tentativo di proteggersi. La persona con ansia sociale, sottraendosi alle situazioni sociali temute, evita non solo un’eventuale valutazione negativa, ma anche le possibili disconferme dei propri timori. Si innesca così un circolo vizioso dove, evitando le situazioni sociali temute per paura di essere criticati, si finisce per far realizzare il proprio timore attraverso una profezia che si autoavvera. Un fattore determinante al mantenimento della problematica, infine, è rappresentato dal fatto che la persona con ansia sociale, raffigurandosi di continuo l’esito negativo delle proprie prestazioni, rimugina costantemente sulle proprie prestazioni. Ovvero, anticipa anzitempo i problemi che gli si potrebbero presentare, riflette sulle situazioni future in una prospettiva spesso catastrofica, richiamando anche alla memoria tutti i fallimenti passati.

Il rimuginio, così, non solo non aiuta la persona ad affrontare meglio le situazioni sociali, ma fa anche sì che si possa riproporre sempre lo stesso scenario negativo.

Rimuginio fattore di rischio? Il circolo vizioso dell’ansia

Il rimuginare, ovvero il preoccuparsi insistentemente rispetto a una situazione futura, è un aspetto caratteristico presente nelle persone con ansia sociale ed è presente in generalmente in due momenti: prima e dopo l’evento ansioso. Il rimuginio, che tende ad essere vissuto prima dell’evento ansioso, è dovuto al fatto che le persone con ansia sociale tendono a preoccuparsi a lungo della situazione che stanno per vivere, focalizzando la propria attenzione su tutti i potenziali problemi che potrebbero presentarsi. Tali riflessioni, compiute in modo prolungato, possono ad esempio riguardare tutte le conversazioni che potrebbero avvenire o i comportamenti sociali che la persona con ansia sociale teme possano esserci (Wells et al, 1995). Per evitare le conseguenze temute, l’ansioso sociale mette in atto comportamenti protettivi che in realtà altro non fanno che incrementare l’ansia e i pensieri di poter essere valutato negativamente, con la possibilità che i comportamenti protettivi che mette in atto possano influenzare negativamente la situazione sociale, facendo apparire la persona meno amichevole e disponibile (Wells e Clark, 1995).

Quando l’evento sociale giunge al suo termine, l’esposizione agli aspetti negativi non è ancora finita, dal momento che il rimuginio si focalizza sul comportamento messo in atto.

Le persone con ansia sociale si preoccupano così, in maniera insistente, su possibili aspetti giudicati potenzialmente come negativi, e passando anche interi giorni a rivivere l’episodio nei minimi dettagli, enfatizzano piccoli o grandi errori e ripensando alla performance sociale come fossero i protagonisti di un film, il tutto in un profondo stato di angoscia. Questo tipo di rimuginio, cosiddetto “post”, oltre a non fornire alcuna nuova informazione utile, rafforza i pensieri che c’erano prima dell’evento sociale e li intensifica nel tempo, rappresentando una fonte di nuovi interrogativi e dubbi alla persona con ansia sociale (Clark e Wells, 1997).
Se quindi da un lato il rimuginio che si verifica prima dell’evento sociale può rappresentare un fattore di rischio per la comparsa e l’incremento dell’ansia sociale, il rimuginio che avviene una volta trascorso l’evento sociale mantiene il circolo vizioso dell’ansia, rafforzandola nel tempo e causando un forte senso di timidezza.

La timidezza: tra desiderio di avvicinamento e di fuga

Zimbardo, studioso di psicologia, all’alba del 1997, metteva in luce come nelle persone timide, il fatto che i propri stati emotivi possano emergere di fronte ad altre persone, tende a generare un forte stato di allarme e preoccupazione, rispetto a come si è percepiti dagli altri (Zimbardo, 1997). Jones (2014) ha approfondito questa tematica, evidenziando come la timidezza sia caratterizza, da un lato, per la presenza di una “preoccupazione ansiosa” in risposta a situazioni sociali reali o immaginate, e, dall’altro, per la tendenza all’evitamento di situazioni sociali, per il timore di essere oggetto di valutazione da parte di altre persone. La possibilità di poter ricevere un giudizio negativo contraddistingue il comportamento delle persone timide all’interno di un gruppo, in cui pur essendoci un forte desiderio di farne parte, è anche presente una evidente fatica a fare la prima mossa. Alcune volte, le persone con ansia sociale aspettano un cenno prima di provare a inserirsi in una conversazione, mentre altre volte attendono un giudizio positivo che consenta loro di fare parte di un gruppo. Si innesca così un meccanismo per cui il desiderio di inserirsi in un contesto relazionale e la tendenza all’evitamento coesistono simultaneamente all’interno di uno stile di pensiero spesso orientato a una forte preoccupazione su ciò che gli altri potrebbero pensare. All’interno di questa prospettiva secondo studi recenti la timidezza rappresenterebbe un fattore che potrebbe predisporre all’ansia sociale. Diversi studi, tra cui (per primi) quello di Chavira e Malcarne (2002), hanno cercato di analizzare se la timidezza rappresentasse un fattore di rischio o di mantenimento, mettendo in luce come il livello di ansia sociale fosse molto più alto nei gruppi di persone “particolarmente timide”, rispetto a un campione timido nella norma. Questo tenderebbe a verificarsi ancor di più quando c’è una forte paura del giudizio altrui ed è allo stesso tempo presente un’intensa emozione di vergogna in seguito ad eventi sociali vissuti.

La vergogna e la paura del giudizio nell’ansia sociale

La vergogna è un’emozione molto complessa che può insorgere nei momenti di interazione sociale. Si caratterizza in particolare per un insieme di pensieri e comportamenti a valenza negativa, che fanno riferimento a una propria svalutazione e inadeguatezza in contesti socio – relazionali, in cui le altre persone sono percepite come migliori. L’emozione della vergogna, tuttavia, ha uno scopo specifico, che è quello di segnalare alla persona che vi può essere un possibile attacco alla propria autostima o ad il proprio status sociale. In particolare, è connessa a determinati canoni della cultura di riferimento, può assumere diverse sfaccettature e riguardare diversi ambiti. La persona che la prova può percepire, ad esempio, di non aver fatto bene in una determinata prestazione o, proprio come avviene nel caso dell’ansia sociale, può vergognarsi di ricevere dei complimenti poiché crede di non meritarli. Quest’emozione può diventare disfunzionale a seguito di determinate esperienze vissute nel corso dell’età evolutiva, in particolare quando le figure di riferimento, come genitori e insegnanti, espongono il bambino a valutazioni negative globali di sé, anche attraverso umiliazioni o mancati apprezzamenti. Crescendo, poi, si formano delle credenze che possono mantenere quest’emozione. In particolare quando si inizia a concepire come non degno di stima o ad essere estremamente attento ai giudizi altrui. Così, il timore del giudizio da parte dell’altro può emergere con elevata intensità, in particolar modo, ad esempio, quando la persona deve mettere in atto una prestazione in pubblico. La persona sperimenta così una profonda sofferenza nelle situazioni che teme, finendo spesso per evitarle. Altre volte, mette in atto strategie che ritiene possano proteggerla dal giudizio altrui, come nascondersi il viso, parlare il meno possibile e molto velocemente quando si deve intervenire in una discussione di gruppo, o ancora evitare del tutto di esprimere la propria opinione, dando sempre ragione all’altro (Caccico, 2019). Il timore di essere giudicato in modo negativo dagli altri, per le proprie prestazioni, fa sì che si generi una profonda angoscia nel momento in cui la persona si trova a svolgere in pubblico determinate azioni, che potrebbero essere giudicate negativamente.

La terapia metacognitiva di Wells come intervento di cura per l’ansia sociale

Fino agli anni ’80 del secolo scorso, il disturbo d’ansia sociale era un disturbo del quale si sapeva poco e i trattamenti per la cura di questa problematica erano pochi, come erano anche carenti le ricerche che ne davano prova di effettiva efficacia. Attualmente la situazione per quanto riguarda gli interventi per la cura della fobia sociale è radicalmente cambiata. Vi sono infatti diversi studi che riportano l’efficacia degli interventi cognitivi-comportamentali per la riduzione dei sintomi connessi (Wells & McMillan, 2004).

La terapia cognitivo comportamentale (CBT) è risultata efficace nel mantenimento dei miglioramenti anche nel lungo termine rispetto ad altri interventi psicoterapici o agli psicofarmaci (Studi Cognitivi, n.d.).

La CBT va a migliorare, sul piano cognitivo, i processi disfunzionali che mantengono il disturbo, mentre dal punto di vista comportamentale, attraverso esposizioni graduali, fa affrontare al paziente le situazioni temute, utilizza inoltre tecniche di rilassamento e training per apprendere abilità sociali (Rapee & Heimberg, 1997). Tuttavia grazie all’avvento della terza ondata della terapia cognitiva, vi sono nuovi interventi che si sono rivelati anche per certi versi migliori rispetto alla terapia cognitivo-comportamentale standard. Il nuovo trattamento cognitivo di Clark e Wells, la Terapia Metacognitiva (MCT) si focalizza direttamente sui meccanismi psicologici che mantengono la sintomatologia e secondo gli studi produce maggiori livelli di riduzione del sintomo rispetto ai precedenti trattamenti psicologici, compresa la CBT. Stando alle ricerche, l’MCT darebbe risultati superiori per quanto riguarda la riduzione dei sintomi anche rispetto agli SSRI, il trattamento farmacologico di prima linea per la fobia sociale (Wells &McMillan, 2004). Il focus dell’intervento non è sul contenuto dei pensieri disfunzionali del paziente, come avviene nella CBT standard, quanto piuttosto alle modalità di pensiero che risultano inflessibili e ricorrenti, come avviene nel processo del rimuginio. Assunto base dell’MCT è che alla genesi delle psicopatologie, tra cui la fobia sociale, vi siano degli stili di pensiero disfunzionale che prende il nome di CAS: sindrome cognitivo attentiva. La CAS si caratterizza per la presenza del rimuginio come stile di pensiero e per la focalizzazione della propria attenzione su stimoli interni o esterni alla persona considerati minacciosi, che mantengono lo stesso stato ansioso. La CAS, secondo gli autori, non ha origine da credenze su di sé e sul mondo, bensì da metacredenze riguardo le proprie modalità di pensiero. Queste possono essere a valenza positiva: “se ripenso costantemente all’evento riuscirò a fare bella figura”, che fanno riferimento sostanzialmente all’utilità di focalizzare la propria attenzione su determinati stimoli, oppure a valenza negativa: “prima o poi impazzirò a forza di ripensarci su”, che invece si riferiscono all’incapacità di gestire i propri pensieri ed emozioni. Nella terapia metacognitiva, all’opposto della CAS si ha la DM, ovvero la Detached Mindfulness, che è l’obiettivo finale di questa terapia. Detached Mindfulness, si traduce con: consapevolezza distaccata. Il termine fa riferimento alla modifica delle modalità con cui le persone si approcciano ai propri pensieri, sviluppando capacità di flessibilità cognitiva e di controllo dei processi attentivi. La consapevolezza distaccata è sostanzialmente la capacità di non farsi invischiare in tutti quei processi cognitivi disfunzionali che mantengono la sintomatologia ansiosa, in particolare il rimuginio. La persona, gradualmente, diviene in grado, grazie ad essa, di discostarsi da questi processi, non eliminandoli, ma prendendone consapevolezza e imparando a gestirli.

In conclusione, obiettivi terapeutici della Terapia Metacognitiva sono la rimozione della CAS, che si ha modificando le modalità di pensiero e le strategie utilizzate per gestirlo, la modifica delle metacredenze sia a valenza positiva che negativa e l’apprendimento di nuove modalità di orientare il proprio flusso di pensieri grazie alla DM (Melli, 2018).

L’MCT si prefigura come trattamento di intervento innovativo e d’elezione per il trattamento della fobia sociale, consente di ridurre i circoli viziosi che incatenano le persone con questa psicopatologia, consentendo di aumentare in loro il senso di autoefficacia e sentirsi di nuovo parte attiva nei contesti sociali. Diviene così possibile poter condurre una vita più appagante e maggiormente caratterizzata da interazioni relazionali piuttosto che da stati di rimuginio ed isolamento.

 


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Andrea Coluccia
Andrea Coluccia

Psicologo - Specializzando Psicoterapeuta presso Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Caccico, L. (2019). Paura del giudizio degli altri.
  • Wells, A., (a cura di Melli, G.). (2018). Terapia metacognitiva dei disturbi d’ansia e della depressione. Erickson.
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