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Stimolazione cognitiva: due tipologie di intervento per la demenza lieve e moderata

Esistono numerosi protocolli di stimolazione cognitiva che si differenziano per numero e durata delle sessioni oltre che per le attività proposte

Di Giulia Goldin

Pubblicato il 13 Set. 2021

A seconda di sottotipo e gravità del disturbo neurocognitivo possono essere impiegate diverse tipologie di intervento: a uno stadio lieve-moderato di malattia è possibile applicare protocolli di stimolazione cognitiva, mentre a uno stadio grave è consigliato focalizzarsi sulla qualità di vita.

 

L’aumento dell’aspettativa di vita e il progressivo invecchiamento della popolazione, oltre a dar vita al fenomeno della longevità, hanno portato a un allarmante incremento dei tassi di prevalenza dei disturbi neurocognitivi. In un rapporto sull’epidemiologia della demenza a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Alzheimer’s Disease International (Prince et al., 2015) tale patologia è risultata essere una “priorità mondiale di salute pubblica”.

Secondo il recente World Alzheimer Report (Patterson, 2018), attualmente nel mondo ci sono circa 50 milioni di persone che soffrono di disturbi neurocognitivi e si prevede che entro il 2050 i casi saliranno a 152 milioni, con stima di una diagnosi di demenza ogni tre secondi. Tali numeri, chiaramente, comportano rilevanti implicazioni economiche, con un costo attuale della patologia di circa un trilione di dollari l’anno, destinato a raddoppiare entro il 2030.

Il quadro appena descritto ha determinato un incremento in rapida evoluzione delle pubblicazioni scientifiche sui trattamenti farmacologici e psicosociali, con l’obiettivo di permettere un rallentamento della progressione della malattia (De Beni et al., 2015).

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico, allo stato attuale vengono impiegati farmaci sintomatici che agiscono sulla sfera cognitiva e/o sui disturbi del comportamento, inducendo però spesso effetti collaterali che peggiorano la percezione di benessere dell’anziano (Fagherazzi et al., 2009). Questo parziale fallimento farmacologico ha aperto, così, la strada a interventi di tipo psicosociale. A seconda del sottotipo e della gravità del disturbo neurocognitivo possono essere impiegate diverse tipologie di intervento psicosociale: a uno stadio lieve-moderato di malattia è possibile agire sulla sfera cognitiva tramite protocolli di stimolazione cognitiva, mentre a uno stadio grave è consigliato focalizzarsi sulla qualità di vita, proponendo strategie gestionali per i disturbi del comportamento, un ambiente protesico e la stimolazione sensoriale.

Relativamente alla stimolazione cognitiva, essa può essere definita come il coinvolgimento di persone con invecchiamento patologico in attività di gruppo e discussione che favoriscono la socializzazione ed effetti positivi sulla qualità di vita, sul benessere e sul funzionamento cognitivo globale tramite la creazione di un ambiente arricchito (Clare & Woods, 2004).

Esistono numerosi protocolli di stimolazione cognitiva che si differenziano per numero e durata delle sessioni oltre che per le attività proposte. Le due tipologie analizzate nel presente articolo sono i “100 Esercizi di stimolazione cognitiva” di Bergamaschi e colleghi (2008), nato nel contesto italiano e conosciuto a livello nazionale, e la Cognitive Stimulation Therapy di Spector e colleghi (2006), conosciuto e validato a livello mondiale.

100 Esercizi di Stimolazione Cognitiva (Bergamaschi et al., 2008)

L’eserciziario “Demenza. 100 esercizi di stimolazione cognitiva” proposto da Bergamaschi e colleghi (2008) è un esempio di intervento restitutivo che utilizza esercizi carta-matita, applicabile in gruppo o individualmente, rivolto a pazienti con Disturbo Neurocognitivo Maggiore di grado lieve-moderato. È composto da 100 esercizi strutturati, suddivisi in cinque macro-aree (orientamento, attenzione, memoria, linguaggio e ragionamento logico), e per ognuno di questi esercizi dà indicazioni sulle funzioni cognitive stimolate, sui materiali necessari, sul grado di difficoltà  e sulle possibili varianti, oltre che una serie di suggerimenti per il riabilitatore.

Lo svolgimento degli esercizi in gruppo permette la stimolazione non solo cognitiva, ma anche della vita sociale dei soggetti, rilevante per il benessere e la qualità di vita, specie nei contesti istituzionalizzati. Gli studi effettuati dimostrano che i migliori risultati si ottengono in un piccolo gruppo (4-5 persone) e omogeneo per stadio di malattia, affinché tutti siano in grado di svolgere i compiti richiesti e ottengano lo stesso livello di attenzione da parte del riabilitatore, prevenendo così demotivazione e drop out (Quaia et al., 2006). È consigliato inoltre proporre le sessioni con regolarità, mantenendo lo stesso giorno della settimana, lo stesso orario e lo stesso luogo, al fine di facilitare la partecipazione e l’orientamento spazio-temporale. Dal lavoro di Mapelli e colleghi (2013) emerge che l’utilizzo di questa tipologia di stimolazione cognitiva comporta maggiori benefici non solo sulla sfera cognitiva ma anche sul comportamento rispetto alla terapia occupazionale e alle attività abituali proposte in RSA. Un aspetto limitante di questo strumento è però l’assenza di indicazioni nel manuale su come strutturare le sessioni, quante proporne e con quale durata.

Cognitive Stimulation Therapy (Spector et al., 2006)

Una seconda tipologia di trattamento è la Cognitive Stimulation Therapy (CST) proposta da Spector e colleghi (2006). In questo caso, la stimolazione cognitiva avviene attraverso il coinvolgimento dei partecipanti in attività a tema e di discussione (Clare & Woods, 2004). La CST prevede un protocollo strutturato con evidenze di efficacia terapeutica, specie nelle fasi iniziali del decadimento cognitivo (Buschert et al., 2010). L’obiettivo è quello di ri-orientare la persona nello spazio, nel tempo e riguardo sé stessa, potenziando il funzionamento cognitivo generale, sociale e relazionale (Spector et al., 2006).

La CST è ormai un approccio usato a livello mondiale, vanta infatti linee guida che permettono di adattarla alle diverse culture (Aguirre et al., 2014). È, inoltre, raccomandata dalle linee guida internazionali (National Institute for Health and Clinical Excellence, NICE, 2018), rappresentando un vero e proprio gold standard. Nata in Inghilterra dove ha ottenuto numerose evidenze di efficacia (Cove et al., 2014) e validata anche in Italia (Gardini et al., 2015; Capotosto et al., 2017), la CST è collocabile in un modello di Cura Centrata sulla Persona (Kitwood, 1997; Spector & Orrell, 2010).

L’adattamento italiano del manuale (Gardini et al., 2015) offre una guida precisa circa i materiali necessari e le attività a tema da proporre a ogni incontro, di difficoltà diversa a seconda che il gruppo di partecipanti abbia una demenza di grado lieve o moderato.

È possibile proporre il programma base, 14 sessioni di 45 minuti due volte la settimana, e il programma di mantenimento, 24 sessioni di 45 minuti una volta la settimana.

Numerosi studi randomizzati controllati hanno evidenziato l’efficacia della CST sul funzionamento cognitivo globale e sulla qualità della vita (Spector et al., 2006; Aguirre et al., 2013), con aumento del benessere psicologico e delle interazioni sociali (Woods et al., 2012) e con una riduzione dei sintomi comportamentali e psicologici (Woods et al., 2006). Sembra che a beneficiare di essa sia in particolare il linguaggio (Chapman et al., 2004; Spector et al., 2010). Di notevole interesse è il fatto che i risultati ottenuti con la CST siano sovrapponibili a quelli ottenuti con gli anticolinesterasici (AchEI) e che i risultati migliori si ottengono con l’azione combinata di stimolazione cognitiva e somministrazione di AchEI (Ballard et al., 2011). È bene prendere in considerazione anche i risultati emersi dalla recente review di Lobbia e colleghi (2018) circa l’efficacia della CST sulla base di dodici studi pubblicati tra il 2001 e il 2017. Emerge, infatti, un moderato livello di evidenza sull’efficacia della CST per quel che riguarda la qualità di vita, il linguaggio e il funzionamento cognitivo generale, mentre sono minori le evidenze sui domini cognitivi specifici (memoria, prassia e orientamento) e non vi è nessun impatto su ansia, attenzione e funzioni esecutive. Infine, ciò che accomuna tutti gli studi è l’assenza di effetti negativi legati al suo utilizzo (Woods et al., 2012) e i costi economici contenuti (Knapp et al., 2006) che fanno della CST un intervento raccomandabile.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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