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Riconsiderare la demenza (2015) di T. Kitwood – Recensione

Il libro Riconsiderare la demenza non pone l’accento su ciò che differenzia il malato ma su ciò che abbiamo in comune e funziona ancora, la personhood

Di Giulia Goldin

Pubblicato il 17 Feb. 2021

Chiunque si trovi a dover affrontare quotidianamente disturbi neurocognitivi dovrebbe avere nella propria libreria Riconsiderare la demenza (2015).

 

Tom Kitwood (1937-1998), geropsicologo e fondatore del Bradford Dementia Group, ha rivoluzionato l’approccio di assistenza alla persona con demenza invitando professionisti e non a una vera e propria trasformazione culturale tramite la sua opera Dementia reconsidered: the person comes first (1997), tradotta in italiano solo nel 2015, frutto di anni di ricerca ed esperienza in contesti di istituzionalizzazione.

Affinché un servizio funzioni e sia adatto ai bisogni della persona è fondamentale che vi sia un modello teorico di riferimento che ne guidi l’assistenza. Kitwood, rifacendosi alla terapia centrata sul cliente di Carl Rogers (1974), propone un modello di cura centrato sulla persona, in netta contrapposizione al modello bio-medico allora dominante (Lyman, 1989). L’autore parte da un’analisi della soggettività e dei bisogni della persona con demenza dando vita a un modello dialettico che riconosce oltre che il deterioramento neurologico anche una serie di fattori psico-sociali che determinano l’esperienza di malattia. Ne consegue una nuova concezione di assistenza, non più intesa come mera risposta ai soli bisogni fisici dell’assistito ma come un mezzo che permette di preservare la personhood (= l’essere persona) del malato attraverso una particolare attenzione alla qualità delle interazioni che intercorrono tra caregiver e anziano. Secondo l’autore, affinché questa modalità di assistenza possa essere messa in atto, è innanzitutto necessaria una rivoluzione culturale che dia rilievo alle abilità residue e all’unicità di ciascuna persona, nonostante i deficit. A ciò si aggiunge la necessità di professionisti formati e con requisiti ben specifici, sostenuti da una organizzazione dell’assistenza attenta al benessere del personale e caratterizzata da una comunicazione efficace, cooperazione, rispetto e assenza di barriere noi-loro dettate da potere e status.

La personhood e i bisogni della persona con demenza

Secondo Kitwood “il nostro sistema di riferimento non dovrebbe più essere persona-con-DEMENZA, bensì PERSONA-con-demenza”. L’autore, distanziandosi dalla prevalente visione negativa della demenza come “morte che lascia indietro il corpo” e come unicamente deterioramento neurologico, trova essenziale non porre l’accento su ciò che differenzia il malato da “noi sani” ma concentrarsi su ciò che abbiamo in comune e funziona ancora, ovvero la personhood. Questo concetto, tradotto in italiano con “essere Persona”, indica una condizione propria dell’essere umano in quanto essere sociale che implica riconoscimento, rispetto e fiducia. All’interno della relazione ogni persona è unica, prova sentimenti ed emozioni e ha alle spalle un bagaglio di esperienze. Per Kitwood è proprio la preservazione della personhood lo scopo principale dell’assistenza, possibile solo tramite il soddisfacimento dei bisogni dell’anziano e interazioni positive. I bisogni sono radicati nel nostro passato evolutivo e influenzati dai significati e dai valori della cultura dominante. Relativamente alla persona con demenza vengono individuati 5 bisogni essenziali, tra loro sovrapposti e che convergono nel bisogno centrale dell’amore. Essi sono: conforto, identità, inclusione, attaccamento, essere occupati.

Spesso, però, nei contesti di cura, di fronte alla fragilità, allo stato di dipendenza e al deterioramento del malato, chi assiste presenta meccanismi di difesa che disumanizzano il malato, privandolo della sua personhood, permettendo così un distanziamento da quella che può essere una “anticipazione terrificante di come potremmo diventare”. Risulta quindi fondamentale lavorare su queste risposte difensive.

Psicologia Sociale Maligna e Positive Person Work

Kitwood sottolinea, inoltre, l’assenza di indicazioni nel paradigma standard su come effettivamente assistere la persona con demenza. Come detto precedentemente, un approccio di cura centrato sulla persona prevede una particolare attenzione alla qualità delle interazioni esistenti tra personale e assistito. L’autore, dopo numerose ricerche valutative sulla qualità di assistenza fornita in servizi di diverso tipo per persone con demenza e in particolare sulle tendenze depersonalizzanti, teorizza la Psicologia Sociale Maligna. Questo concetto fa riferimento a tutte quelle azioni, atteggiamenti e tendenze, perlopiù inconsapevoli, che danneggiano profondamente la personhood dell’anziano, minandone i bisogni. Le 17 modalità di interazione svalutanti individuate dall’autore sono: infantilizzazione, slealtà, disempowerment, etichettamento, intimidazione, stigmatizzazione, accusa, derisione, invalidazione, ignorare, oggettualizzazione, esclusione, rifiuto, imposizione, denigrazione, procedere troppo in fretta, perturbazione. A lungo andare, questi atteggiamenti accentuano sempre più la barriera noi-loro e annullano l’essere persona dell’anziano, dando vita il più delle volte a comportamenti problema, come ad esempio aggressività, risolti per mezzo di farmaci.

Dunque, per contrastare questa tipologia di assistenza viene proposto il Positive Person Work, una modalità di cura che sostiene le abilità residue della persona, riconosce i sentimenti dell’altro e risponde ai suoi bisogni. Tramite il metodo osservativo del Dementia Care Mapping, le 12 modalità di interazione positive individuate sono: riconoscimento, negoziazione, collaborazione, gioco, timaolazione (neologismo che indica una interazione di tipo sensoriale), festeggiamento, rilassamento, validazione, contenimento, facilitare, creazione e dono.

Organizzazione dell’assistenza

Altro aspetto preso in considerazione da Kitwood per la buona riuscita di una cura centrata sulla persona è il tipo di organizzazione dell’assistenza. È necessario tenere a mente la stretta relazione tra benessere dell’operatore e benessere dell’ospite. Una struttura che promuove la personhood del personale per proprietà transitiva migliora la qualità di vita degli assistiti. È noto, infatti, il rischio nelle professioni sanitarie di sviluppare burnout (Maslach, 1984), una sindrome caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale che, oltre all’insorgenza di sintomi psicosomatici nel lavoratore, comporta cambiamenti negativi negli aspetti relazionali. Sono, dunque, auspicabili organizzazioni caratterizzate da buoni canali comunicativi, rapporti lavorativi che prevedono rispetto, fiducia e collaborazione, formazione, riconoscimento e promozione del personale, attenzione agli aspetti emotivo-motivazionali e un forte impegno a minimizzare le differenze di potere.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Kitwood, T. (1997). Dementia reconsidered: The person comes first (rethinking ageing). Maidenhead, Berkshire.
  • Kitwood, T. (2015). Riconsiderare la demenza. Edizioni Centro Studi Erickson.
  • Lyman, K. A. (1989). Bringing the social back in: A critique of the biomedicalization of dementia. The Gerontologist, 29(5), 597-605.
  • Maslach, C., & Jackson, S. E. (1984). Burnout in organizational settings. Applied social psychology annual.
  • Rogers, C. R., & Wood, J. K. (1974). Client-centered theory: Carl R. Rogers.
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