Una review prodotta da Zhang, Kuhn, & Jobson (2019) si è occupata della raccolta e dell’analisi qualitativa dei risultati di 57 articoli inerenti la descrizione dei deficit nella memoria autobiografica presentati da pazienti affetti da schizofrenia.
Stando a quanto riportato dalla letteratura scientifica, la memoria autobiografica è definibile come una complessa miscela di ricordi inerenti eventi singoli, estesi o ricorrenti, i quali vengono progressivamente integrati in una storia coerente del nostro Sé, creata e valutata attraverso le pratiche socioculturali (Fivush et al., 2017, p. 119). Più semplicemente, tale sistema di memoria parrebbe fungere da mero organizzatore di quel complesso insieme di conoscenze dichiarative riguardanti fatti ed episodi provenienti dalla nostra storia di vita. A tal proposito, secondo Sir Francis Galton (1879), l’insieme delle informazioni contenute nella memoria autobiografica formerebbe il bagaglio di conoscenza in possesso di ogni essere umano, il quale sarà conseguentemente stato determinato dalle esperienze da lui effettuate nel corso della propria esistenza. Se, da un lato, un corretto funzionamento della memoria autobiografica è considerabile come tipico di individui ‘sani’, d’altra parte, essa risulta altamente compromessa in soggetti affetti da alcune malattie psichiatriche. Più di ogni altra condizione psicopatologica, i disturbi dello spettro della schizofrenia sembrerebbero implicare gravi disfunzioni cognitive a carico di tale sistema di memoria (Berna et al., 2016). Si tratta infatti di pazienti che, a partire dall’esordio della malattia, o persino dai prodromi della stessa, mostrano un marcato decremento del proprio funzionamento cognitivo, il quale andrebbe ad intaccare in maniera selettiva i seguenti domini: la memoria autobiografica, la memoria di lavoro, la velocità di elaborazione dell’informazione e la teoria della mente (Forbes et al., 2009; Barch, & Ceaser, 2012; Hoe et al., 2012).
Una review prodotta da Zhang, Kuhn, & Jobson (2019) si è occupata della raccolta e dell’analisi qualitativa dei risultati di 57 articoli inerenti alla descrizione dei deficit nella memoria autobiografica presentati da pazienti affetti da schizofrenia. All’interno di molteplici studi è emerso come costoro tendessero a recuperare delle memorie autobiografiche meno specifiche e meno numerose rispetto ai gruppi di controllo (e.g. Danion et al., 2005; Mehl et al., 2010; Potheegadoo et al., 2012). In particolare, la specificità delle memorie autobiografiche recuperate da individui aventi una diagnosi di schizofrenia sembrerebbe distribuirsi lungo un pattern a forma di U, in quanto l’accuratezza del ricordo recuperato risulterebbe decisamente maggiore nei casi in cui esso riguardi l’infanzia e gli ultimi anni di vita, mentre calerebbe drasticamente nel momento in cui si tratti di un evento appartenete alla prima età adulta (Boeker et al., 2006; McLeod, Wood, & Brewin, 2006). Inoltre, pazienti affetti da schizofrenia parrebbero mostrare un reminiscence bump temporalmente anticipato rispetto ai controlli, in quanto apparentemente incapaci di recuperare dei ricordi dettagliati che riguardino la loro adolescenza o la prima età adulta (Cuervo-Lombard et al., 2007). I due risultati sopra menzionati evidenziano come l’esordio dei sintomi psicotici acuti abbia probabilmente portato ad una diminuzione del recupero di memorie autobiografiche provenienti da questi periodi di vita (Vourdas et al., 2003).
Degno di nota è anche il fatto che l’identità della persona parrebbe prendere forma proprio durante l’adolescenza e la prima età adulta (Erikson, 1950). Da una parte, in un individuo che attraversa un normale processo di sviluppo, avrà luogo una codifica privilegiata di molti degli eventi che si verificano durante questo periodo, i quali verranno poi integrati nella narrativa personale dell’individuo stesso migliorandone così l’accessibilità più avanti nella vita (Munawar, Kuhn, & Haque, 2018). Dall’altra, è possibile ipotizzare che nel caso in cui un individuo presenti dei sintomi di schizofrenia durante l’adolescenza e la prima età adulta, gli eventi che si verificano in quel momento riceveranno un’attenzione decisamente ridotta e probabilmente non verranno integrati all’interno della narrativa personale dello stesso (Zhang et al., 2019). Queste informazioni, poiché mal processate, saranno di conseguenza anche difficilmente recuperabili dal soggetto in un secondo momento nel caso in cui gli venga richiesto di farlo (Zhang et al., 2019).
Secondo il Self-Memory-Sistem (SMS) introdotto da Conway & Pleydell-Pearce (2000), il recupero di memorie autobiografiche vaghe e generali che caratterizza i pazienti affetti da schizofrenia sarebbe determinato da una compromissione del cosiddetto Working Self, ovvero dall’alterazione degli obiettivi rilevanti del Sé nel momento in cui viene effettuata la rievocazione del ricordo (Conway, Singer, & Tagini, 2004). Tale compromissione impedirebbe infatti la costruzione di memorie precise e dettagliate a partire dall’Autobiographical Knowledge Base (Conway, Singer, & Tagini, 2004). Dal momento in cui avviene l’esordio di sintomi psicotici acuti tra l’adolescenza e la prima età adulta, si verrebbe a creare secondo gli autori un’eccessiva discrepanza tra il Sé attuale ed il Sé ideale dell’individuo, la quale va, da una parte, a compromettere la naturale formazione dell’identità dello stesso e, dall’altra, a generare un ciclo di feedback negativi atto ad inibire lo sforzo che egli emette al fine di accedere alla propria Autobiographical Knowledge Base (Conway, 2005). Questa disfunzione può progredire fino a provocare un mero blocco dell’intero SMS portando la persona ad esprimere deliri, confabulazioni, deragliamenti e tangenzialità (Conway, 2005).
Alcuni studi suggeriscono che il recupero di memorie autobiografiche vaghe ed aspecifiche da parte dei pazienti schizofrenici rappresenti un tentativo estremo di ridurre la discrepanza interiore di cui sono vittime (Schoofs, Hermans, & Raes, 2012). A ben vedere, questo concetto risulta decisamente simile a quello di meccanismi protettivi riportato all’interno del modello CaR-FA-X introdotto da J. Mark Williams (2006). Tali meccanismi svolgerebbero in questo caso la funzione di ridurre la sofferenza emotiva vissuta dall’individuo attraverso la soppressione delle memorie autobiografiche indesiderate e, alle volte, provocando anche la cancellazione delle stesse (Hu et al., 2015). Inoltre, questo processo patogeno non sarebbe rintracciabile solamente nei disturbi dello spettro della schizofrenia, ma anche all’interno di altri quadri psicopatologici come, ad esempio, quelli apparenti al cluster C dei disturbi della personalità (Spinhoven et al., 2009). Un tentativo estremo volto a minimizzare la discrepanza tra i Sé potrebbe essere costituito, ad esempio, da un paziente che, di fronte ad un terapeuta che gli chiede di fornirgli ulteriori chiarificazioni circa il suo rapporto con i genitori durante l’adolescenza, risponde: “Non lo so” o “Non ricordo affatto”. In questo caso, si potrebbe azzardare che, stando a quanto detto fino ad ora, l’obiettivo del Working Self sia quello di non recuperare alcun ricordo dettagliato dell’evento così da poter mantenere un certo grado di coerenza interna (Conway et al., 2004). Secondo il modello CaR-FA-X i deficit cognitivi mostrati da individui affetti da schizofrenia potrebbero essere attribuiti anche ad una compromissione delle funzioni esecutive, le quali risulterebbero necessarie al fine di effettuare un’accurata ricerca a livello dell’Autobiographical Knowledge Base (Williams et al., 2007; Conway, 2000). Tale impedimento porterebbe i pazienti a mostrare una ridotta capacità di costruire memorie autobiografiche specifiche (Ricarte et al., 2017). Infine, è possibile menzionare alcuni studi i quali sostengono che individui affetti da schizofrenia sono spesso preoccupati da pensieri disorganizzati o immagini intrusive tali da provocare loro un alto livello di ansia o depressione (Upthegrove et al., 2010; Hall, 2017). In questi casi il rimuginio può arrivare ad occupare una parte considerevole della capacità di memoria di lavoro del soggetto, portandolo dunque a sperimentare una riduzione delle proprie risorse cognitive ed impedendogli così di formare memorie autobiografiche adeguate (Williams et al., 2007).
Per lungo tempo, i deficit cognitivi sono stati considerati erroneamente come sintomi aventi una rilevanza secondaria nel quadro psicopatologico della schizofrenia, in quanto l’attenzione veniva principalmente riservata ai sintomi positivi del medesimo disturbo, quali deliri ed allucinazioni. Appare chiaro come essi siano invece da considerare come sintomi primari data la loro persistenza anche quando la fase acuta della malattia si esaurisce (Medalia, & Revheim, 2002). Malgrado i considerevoli deficit cognitivi mostrati dagli individui affetti da schizofrenia, esistono dei programmi di intervento che consentirebbero un parziale miglioramento della specificità e della coerenza delle memorie autobiografiche recuperabili dagli stessi. Un esempio, potrebbe essere la Cognitive Remediation Therapy (CRT; Blairy et al., 2008), la quale consiste tra l’altro nell’esercitare il recupero di tali memorie attraverso la scrittura di un diario personale. Tuttavia, i processi cognitivi sottostanti a tali interventi rimangono, ad oggi, ignoti così come non sembra possibile sapere se essi migliorino la percezione che l’individuo ha di sé stesso o se riducano la discrepanza presente tra i Sé della persona (Zhang et al., 2019).