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I pensieri intrusivi e le ossessioni. Cosa sono e come gestirli?

A rendere futili e meno attivanti i pensieri intrusivi è la capacità di lasciarli andare e non attribuir loro un significato degno di attenzione prolungata

Di Antonella Danesi

Pubblicato il 16 Set. 2021

Quando le intrusioni mentali diventano molto frequenti e costanti, stressanti e interferenti con la vita quotidiana e l’individuo mette in atto profusi sforzi e strategie fallimentari per eliminarli dalla coscienza, esse diventano vere e proprie ossessioni.

Antonella Danesi – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

 

Vi è mai sorto l’improvviso dubbio di non aver spento bene il gas una volta usciti di casa o di aver dimenticato di chiudere l’auto, oppure di aver investito qualcuno mentre state alla guida o ancora di aver rubato nel supermercato senza esservene accorti?

È frequente pensare di aver commesso un’orribile azione senza sapere esattamente cosa.

Stiamo parlando di intrusioni mentali definite da Rachman come “ogni pensiero ricorrente, inaccettabile, indesiderato, accompagnato da un soggettivo disagio emotivo”.

È necessario partire dal presupposto che gli esseri umani, per natura, hanno più di mille pensieri in un solo giorno. A volte il loro contenuto è razionale, degno, realistico e sensato, alle volte invece è irrazionale, insolito e disfunzionale. Tali pensieri insorgono così rapidamente che la loro comparsa appare indipendente dal nostro controllo. Per tali ragioni appaiono pericolosi, spaventosi e inaccettabili. Entrano nella coscienza in maniera automatica, senza alcun invito di accesso. Intrudono inavvertitamente interferendo con l’attività comportamentale, catturando risorse cognitive e attivando delle emozioni piuttosto intense.

Clinicamente la presenza di questi pensieri e il relativo contenuto non rilevano il funzionamento e la personalità di una persona. Come dimostra la letteratura, sono esperienze comuni facenti parte della natura umana, non rappresentano necessariamente una sintomatologia relativa a quadri psicopatologici.

Secondo Rachman e De Silva (1978) i pensieri intrusivi e le ossessioni sono indistinguibili, anzi costituiscono il medesimo fenomeno e sono riportati dal 90% dei soggetti. La differenza tra i due sarebbe di natura puramente cognitiva e non fenomenica.

Ciò che li rende problematici e disturbanti, tanto da trasformarli in ossessioni, è la frequenza di comparsa, la valutazione di questi pensieri come pericolosi ed inaccettabili e le strategie applicate per eliminarli dalla coscienza. Un ulteriore elemento cognitivo è l’attenzione che viene data al contenuto dei pensieri attraverso domande autodirette relative allo stesso pensiero: “come mai sto pensando questo?” “Se penso questo allora non sono una persona normale” “perché voglio farmi del male?” “allora sono una persona cattiva”. In tal modo, si attiva e alimenta una catena di pensieri, focalizzata sul pensiero intrusivo avuto e finalizzata alla formulazione di un giudizio sullo stesso. Ciò non fa altro che aumentarne la salienza caricando il pensiero di realtà.

Al fine di eliminare il pensiero dalla coscienza, vengono messe in atto strategie volontarie di soppressione del pensiero. Non è altro che l’universale sforzo che facciamo di non pensare a qualcosa. Tra le strategie di soppressione sono molto adoperate la distrazione, ovvero la tendenza a spostare il focus attentivo su stimoli o attività alternativi, e le azioni di verifica, vale a dire quelle azioni rassicuranti volte a confermare o disconfermare il dubbio sorto. Talvolta la risoluzione di quest’ultimo può essere anche ricercata “attraverso l’altro” con richieste di rassicurazioni o domande finalizzate alla risoluzione del dubbio.

L’applicazione delle suddette strategie, apparentemente funzionali, in realtà produce un effetto paradossale che si traduce con una maggiore facilitazione di accesso delle intrusioni nella nostra coscienza ed un aumento della frequenza delle stesse. Il meccanismo controproducente della soppressione dei pensieri implica sia il tentativo volontario di distrarsi sia un processo di monitoraggio costantemente attivo per verificare che il pensiero non sia più presente e, di conseguenza, che lo scopo di eliminazione del pensiero sia stato raggiunto.

Il meccanismo di monitoraggio non fa altro che produrre un effetto rimbalzo: attenzionando eventuali pensieri automatici connessi con il contenuto da sopprimere, lo rafforza facilitandone l’emersione. Come risultato del processo messo in atto, avremo un intenso consumo di risorse cognitive, l’inevitabile fallimento della regolazione emotiva e la frustrazione legata allo stesso.

A renderli futili e meno attivanti, quindi, è la nostra capacità di lasciarli andare ovvero la capacità di non reagire di fronte alla loro intrusione quindi di non attribuir loro un significato degno di attenzione prolungata.

Quindi, dal momento in cui le intrusioni mentali diventano molto frequenti e costanti, stressanti e interferenti con la vita quotidiana e l’individuo mette in atto profusi sforzi e strategie fallimentari per eliminarli dalla coscienza, esse diventano vere e proprie ossessioni.

Secondo il DSM le ossessioni sono idee, pensieri, impulsi o immagini ricorrenti, persistenti e angosciosi, vissuti come intrusivi e inappropriati. Essi causano un’elevata attivazione emotiva e sono difficili da ignorare e allontanare.

La differenza rispetto alle intrusioni non è di tipo qualitativo bensì quantitativo: nei pazienti con un Disturbo Ossessivo Compulsivo, le ossessioni appaiono assiduamente, assorbono molte energie e sono considerate pericolose, inaccettabili per il contenuto, vissuto come contrario al modo di essere, e incontrollabili. Per tale ragione vengono messi in atto titanici tentativi per neutralizzare e controllare tali pensieri, immagini e impulsi con altri pensieri o azioni.

Alcuni dei temi più frequenti delle ossessioni sono l’ordine e la simmetria (Ordering) per cui vi è una rigida tendenza a puntualizzare la posizione di alcuni oggetti in un certo modo. Queste persone sperimentano elevati livelli di stress nel momento in cui i loro oggetti vengono spostati, toccati, o messi in modo disordinato o non simmetrico.

L’ossessione di contaminazione (Washers/Cleaners) si basa sul timore di potersi ammalare o di morire a causa di un agente contaminante ad esempio entrando in contatto con lo sporco, i germi o materiali disgustosi, pertanto è associata a rituali di evitamento e pulizia.

Un’ulteriore tipologia di ossessione è il danneggiamento (Checkers) per cui si sentono iper-responsabili di procurare inavvertitamente danni a sé o ad altri. Essi pensano di dover fare di tutto pur di evitare un eventuale evento negativo. Di conseguenza sono necessariamente portati a dubitare sull’effettiva sicurezza ogniqualvolta compiono un’azione potenzialmente rischiosa ad esempio chiudere il gas o la porta di casa. Tutto ciò inevitabilmente accresce il livello di attivazione ansiosa che viene ridotta attuando una serie di rigidi controlli o azioni ritualistiche.

Anche l’aggressività e l’impulsività sono tipologie di ossessioni secondo cui vi è una persistente preoccupazione di perdere il controllo e di agire in modo sconsiderato e perverso.

Le compulsioni sono quei comportamenti ripetitivi, talvolta osservabili, “overt”, ad esempio lavarsi le mani, riordinare, controllare, talvolta invece non visibili, “covert”, come le azioni mentali che il soggetto si sente obbligato a mettere in atto in risposta ad un’ossessione o secondo rigide regole da applicare. Esempi frequenti di quest’ultime, che avvengono esclusivamente a livello cognitivo, sono le formule magiche mentali, contare, ripetersi frasi o parole secondo un certo ordine, rassicurarsi o ripercorrere mentalmente una sequenza di azioni per rassicurarsi di non aver causato danni.

Il fine ultimo delle compulsioni è prevenire o ridurre l’ansia o la paura e scongiurare che possano verificarsi eventi temuti. I comportamenti o le azioni mentali appaiono eccessivi e irragionevoli poiché sono completamente slegati da ciò che deve essere neutralizzato o evitato. Infatti chi soffre di DOC, consapevole dell’illogicità dei pensieri ossessivi, prova vergogna e tende a nasconderli.

Riuscire ad allontanarli, tuttavia, risulta estremamente difficile, specie quando si presentano improvvisamente e con elevata frequenza; per tali ragioni paura, disgusto e colpa sono le emozioni maggiormente provate.

L’Organizzazione psicopatologica del DOC è mantenuta da credenze cognitive disfunzionali che consentono di comprenderne il funzionamento. La prima valutazione su cui è necessario porre l’attenzione è il senso ipertrofico di responsabilità che sentono di avere nel prevenire eventi sgradevoli sebbene non vi sia alcuna remota possibilità di influenzarli.

Sembra che gli ossessivi sentano di avere il potere di influenzare un evento sia nel determinarlo sia nel prevenirlo (Salkovskis, 1996), anche semplicemente a causa di omissioni per cui “se non ho fatto il possibile per evitare il danno, questo equivale ad averlo compiuto e quindi ad esserne responsabile”.

Inevitabilmente vi è una ricerca continua della certezza assoluta di fronte al dubbio di essere colpevole. Il senso di colpa lo pone di fronte ad una condizione di indegnità e di disprezzo. Queste premesse rendono comprensibili l’ipercontrollo attuato per identificare ogni possibile minaccia e la tendenza a ricercare la soluzione perfetta per ogni problema.

Difatti, nei pazienti ossessivi vi è la ferma convinzione che i pensieri possano avere un impatto sugli eventi reali “Se penso ad un evento spiacevole probabilmente accadrà”, “pensare a qualcosa equivale a farla”. Per tali ragioni attribuiscono un significato di pericolosità e di minaccia ai pensieri e avvertono, di conseguenza, la necessità di controllarli.

Questi controlli risultano essere, purtroppo, tentativi vani e illusori poiché non fanno altro che accrescere l’intensità delle ossessioni e ostacolano la possibilità di scoprire che esse sono solo pensieri e che, per loro natura, non hanno alcun potere di condizionare gli eventi, la realtà o l’azione.

Il trattamento psicoterapeutico di elezione per la gestione del DOC, è quello cognitivo-comportamentale in quanto permette di riconoscere e distinguere i pensieri funzionali da quelli irrazionali e disfunzionali.

La terapia si serve di tecniche finalizzate alla messa in discussione di specifiche credenze che mantengono il problema. È necessario modificare la maniera con cui ci si relaziona con il proprio mondo interiore. Per fronteggiare in modo efficace i propri pensieri senza averne il timore è indubbiamente utile la capacità di distaccarsi da essi comprendendo la loro natura rappresentazionale e accettandone il contenuto. Vedere sé stessi semplicemente come produttori di pensieri e separare il senso di sé da essi è l’obiettivo della Mindfulness, disciplina che insegna ad osservare i pensieri e a lasciarli andare senza reagire ad essi con rituali o azioni mentali, considerandoli semplicemente come eventi mentali. Una delle tecniche maggiormente facilitanti nella gestione del pensiero intrusivo è proprio l’accettazione della sua esistenza. Dopo aver imparato ad osservare dall’esterno il pensiero nel “qui ed ora”, interrompendo qualsiasi valutazione, giudizio o interpretazione, sarà più facile vederlo mentre si allontana dalla nostra mente.

È un po’ come paragonare la nostra mente ad una stazione, affollata di transiti ferroviari, i pensieri non sono altro che tanti treni in corsa che l’attraversano ma poi vanno via. Restiamo lì a guardarli passare da lontano senza cercare di prenderli o di fermarli.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Caselli, Ruggiero, Sassaroli (2017). Rimuginio. Teoria e Terapia del Pensiero Ripetitivo. Raffaello Cortina Editore
  • Cognitive and BehavioralPractice 22 (2015) 439-446 – The Application of Mindfulness in Coping With Intrusive Thoughts
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  • Lorenzini R., Sassaroli S. (2000), La mente prigioniera. Strategie di terapia cognitiva, R. Cortina, Milano.
  • Mazzoni G., Freccioni C., Tarantino L., Ammendola E. (2016), Il disturbo ossessivo-compulsivo, in La Mela (a cura di. 2016), I protocolli clinici della terapia cognitive-comportamentale, Maddali e Bruni, Firenze.
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