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Disturbi alimentari e falsi miti da sfatare: (non) Basta la forza di volontà! – REPORT e VIDEO dall’evento del CIPda di Milano

Report e video del terzo incontro dedicato ai disturbi alimentari in cui si sfata il falso mito secondo cui per affrontare i DA basta la forza di volontà

Di Valentina Sassi

Pubblicato il 02 Set. 2021

Aggiornato il 08 Feb. 2024 14:55

Report di (Non) Basta la forza di volontà!, il terzo ed ultimo webinar appartenente al ciclo divulgativo dedicato a sfatare tre falsi miti che ruotano attorno ai Disturbi dell’Alimentazione, trasmesso in diretta streaming dall’equipe del Centro Disturbi dell’Alimentazione (CIPda) di Milano il 28 giugno 2021.

 

 Non è raro osservare nelle persone che soffrono di un Disturbo dell’Alimentazione (DA) la radicata credenza secondo cui è possibile guarire dalla patologia alimentare unicamente sulla base della propria forza di volontà. Similmente, un ulteriore luogo comune è considerare la sopracitata categoria diagnostica come un vero e proprio “capriccio”. Queste errate convinzioni predispongono il soggetto a posticipare la richiesta di aiuto, inficiando negativamente sulla prognosi del disturbo.

Una risposta confortante proviene dall’evidenza scientifica: la remissione dei DA è possibile, perseguibile grazie l’aiuto e l’intervento di professionisti abili nel fornire trattamenti specialistici e capaci di affrontare i meccanismi di mantenimento della patologia.

Sulla base di queste premesse cliniche e scientifiche, si apre il terzo e ultimo webinar del ciclo Falsi miti da sfatare, un dibattito moderato dalla Direttrice Operativa del CIPda (Cliniche Italiane di Psicoterapia – Disturbi Alimentari), la Dott.ssa Rosaria Nocita.

L’intervento dei vari professionisti, sollecitato da domande specifiche relative alla tematica affrontata, ha illustrato le linee guida per orientarsi nella scelta di trattamenti validi ed efficaci. Terminata la prima parte, di natura maggiormente divulgativa, si è dedicato spazio alle domande dei partecipanti.

IL REPORTAGE CONTINUA DOPO IL VIDEO DELL’EVENTO:

Disturbi alimentari e falsi miti da sfatare: (non) Basta la forza di volontà!
GUARDA IL VIDEO

1. La falsa credenza del “farcela da soli”: in che modo ostacola la richiesta di aiuto? – Dott.ssa Tramontano, psicoterapeuta.

Nonostante i disturbi alimentari siano una problematica oggigiorno molto diffusa, la loro conoscenza è ancora superficiale. Pertanto, non è raro osservare false credenze sia fra le persone direttamente colpite che tra i loro familiari. Una di queste è la convinzione per cui tali disturbi siano conseguenza di una scelta personale e non il frutto di un problema psicologico. Di conseguenza, si può verificare un ritardo nella richiesta d’aiuto e maggiore resistenza alle cure, entrambi aspetti responsabili di una prognosi peggiore. Un fattore che complica decisamente la presa in carico, è la natura egosintonica dei sintomi: le persone che ne sono colpite non credono di essere malate. Al contrario, identificano nel controllo dell’alimentazione una pseudosoluzione ad alcuni importanti problemi individuali e interpersonali. In questi termini, il disturbo alimentare non viene vissuto come problematico e si instilla la convinzione di poter sospendere tale controllo unicamente con uno sforzo volontario. L’unico aspetto egodistonico, pertanto esperito con sofferenza e malessere, è il discontrollo alimentare.

Per i motivi appena citati, l’aspetto cruciale di ogni trattamento è dedicare particolare attenzione all’ambivalenza del paziente, adottando un atteggiamento terapeutico ingaggiante. Seppur questo approccio possa variare in termini di intensità a seconda della motivazione individuale, denominatori comuni per un buon coinvolgimento sono l’empatia, comprensione, competenza e abilità nel fornire speranza. Particolare attenzione va riposta anche nell’atteggiamento dei familiari, anch’essi spesso propensi a considerare la guarigione dal disturbo dell’alimentazione come un mero sforzo di volontà, ostacolando quindi il processo di cambiamento. Una strategia utile nella messa in discussioni di tali convinzioni è veicolare a pazienti e familiari informazioni dettagliate sui disturbi alimentari, fornendo indicazioni precise sui principali processi di mantenimento e sui trattamenti efficaci.

2. Il disturbo alimentare non è un “capriccio”: di che cosa si tratta e quali sono i meccanismi che lo mantengono? – Dott.ssa Ranzini, psicoterapeuta.

Considerare un disturbo alimentare come un capriccio è sbagliato, non ha alcun tipo di fondamento scientifico. Al contrario, si tratta di patologie vere e proprie, disturbi con specifici meccanismi di mantenimento. Il nucleo psicopatologico principale è rappresentato da un’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo, aspetto che porta queste persone a determinare il proprio valore principalmente, o esclusivamente, sulla base di queste dimensioni. Possono da qui seguire una serie di comportamenti, tramite i quali la persona cerca di gestire le proprie preoccupazioni. Un esempio è rappresentato dalla dieta ferrea, sia questa calorica o cognitiva. Essa è responsabile, nella maggior parte dei casi, del sottopeso e dei conseguenti sintomi da malnutrizione, predisponendo anche ad episodi di abbuffata e relativi comportamenti di compenso (vomito autoindotto, uso improprio di lassativi e diuretici, esercizio fisico eccessivo). Questi aspetti possono dunque diventare dei veri e propri meccanismi di mantenimento, di cui ne vengono spiegati solo alcuni esempi:

  • Il basso peso corporeo, vissuto come una conquista, vene perseguito tramite una dieta ferrea, che si connota come rigida ed inflessibile
  • I conseguenti sintomi da malnutrizione contribuiscono al perpetrarsi della patologia:
  1. Isolamento sociale: impedendo alle persone di fare esperienze e quindi incrementare altri aspetti su cui valutarsi, mantiene la valutazione di sé basata unicamente sull’ambito del peso e della forma del corpo
  2. Precoce sensazione di pienezza: induce la persona a concludere di aver consumato troppo cibo, facilitando un’ulteriore restrizione alimentare
  3. Depressione: inficiando negativamente sull’autostima, facilità l’uso del controllo del peso e della forma del corpo come modalità di autovalutazione
  4. Rallentamento della perdita di peso: provocato dal rallentamento metabolico, viene esperito come un segnale di perdita di controllo e stimolo per un’aumentata restrizione alimentare.
  • Nel caso in cui siano presenti episodi di abbuffata, anch’esse producono l’intensificarsi della restrizione alimentare
  • I comportamenti di compenso che ne conseguono, infine, inducono ad allentare il controllo sull’alimentazione e rendono a loro volta più probabile il verificarsi delle abbuffate.

Tali dinamiche, come sottolineato dalla professionista, sono solo alcuni esempi di come tali meccanismi di mantenimento rendano questa problematiche un qualcosa che va ben oltre la forza di volontà e che, al contrario, necessita di un intervento mirato ed efficace.

3. Qual è il trattamento migliore? L’importanza dell’équipe multidisciplinare non eclettica – Dott.ssa Ramponi, dietista.

 Con il termine “équipe multidisciplinare” si fa riferimento al coinvolgimento di molteplici figure professionali, all’interno di un percorso di cura. Nello specifico, per il trattamento dei DA, è necessaria la collaborazione di medici psichiatri, psicologi, psicoterapeuti e dietisti, ancor più importante in caso di pazienti gravemente sottopeso o sovrappeso. Questa sinergia, come dimostrano numerose evidenze scientifiche, è in grado di affrontare non solo la psicopatologia specifica del disturbo, ma favorisce anche la riabilitazione nutrizionale. Oltre alla compresenza di figure specializzate in differenti ambiti, è altresì importante che queste comunichino con lo stesso linguaggio. L’équipe multidisciplinare non deve pertanto essere “eclettica”, ma al contrario deve esservi una concordanza teorica e metodologica. In sua assenza, si rischierebbe di incappare in indicazioni e strategie tra loro differenti o addirittura contrastanti, impattando negativamente sull’efficacia del trattamento.

4. Quali evidenze scientifiche abbiamo a supporto dell’efficacia dei trattamenti? Le Linee guida NICE (2017) – Dott.ssa Colantonio, psicologa

La scelta del tipo di trattamento in risposta ad un disturbo alimentare è un passo fondamentale, da compiere con accuratezza e consapevolezza. Difatti, un trattamento inadeguato può portare ad una cronicizzazione o al peggioramento della sintomatologia. Per orientarsi nella scelta, di estrema importanza sono le evidenze fornite dalla letteratura, in quanto dotate di supporto empirico. Il National Institute for Health and Care Excellence – NICE (Istituto Nazionale per la Salute e l’Eccellenza nella Cura) è un organismo che fa riferimento al Ministero della Salute nel Regno Unito ed ha fornito nel 2017 le linee guida relative ai trattamenti più efficaci nell’ambito dei disturbi alimentari. Di seguito, vengono riassunte le principali indicazioni terapeutiche:

  • Cognitive Behavioral Therapy – Enhanced (CBT – E): protocollo brevettato da Fairburn e collaboratori presso il centro C.R.E.D.O. (Centre for Research on Eating Disorders at Oxford), è un approccio di stampo cognitivo comportamentale, migliorato, raccomandato per tutte le categorie diagnostiche dei disturbi alimentari e adatto a tutte le età, poiché incentrato sul nucleo psicopatologico specifico e sui meccanismi di mantenimento.
  • Autoaiuto guidato – di base cognitivo comportamentale: particolarmente indicato per Bulimia Nervosa e Binge Eating Disorder. In caso di mancato beneficio, si raccomanda di procedere con la CBT – E.
  • Maudsley Model Anorexia Nervosa Treatment for Adults (MANTRA): consigliato per persone che soffrono di Anoressia Nervosa, adulte. Si tratta di un approccio di natura cognitivo comportamentale in grado di affrontare anche tematiche interpersonali. Anche in questo caso, la CBT – E rappresenta il trattamento da seguire in caso di mancata remissione dei sintomi.
  • Family based therapy (FBT): terapia fortemente basata sulla famiglia, favorisce il controllo genitoriale sull’alterata condotta alimentare del figlio/a. Se non efficace, procedere con CBT – E.

Concludendo, come sottolineato dall’esperta, l’evidenza clinica dimostra quanto la CBT – E sia in linea di massima il protocollo terapeutico d’elezione per la psicopatologia alimentare, anche in casistiche gravi e complesse, adatta sia per la popolazione adulta che adolescente.

5. La Cognitive Behavioral Therapy – Enhanced. Di che cosa si tratta? – Dott.ssa Zagarese, psicologa

In accordo con le linee guida NICE, un trattamento d’elezione per i DA è la CBT – E, adottata proprio dal centro CIPda. Con questo acronimo si fa riferimento alla terapia cognitivo comportamentale migliorata, un particolare protocollo sviluppato nel 2000 presso il centro C.R.E.D.O. di Oxford, che si propone di trattare specificamente disturbi dell’alimentazione in un’ottica transdiagnostica. Di conseguenza, secondo la visione CBT – E, il cuore pulsante dei DA è rappresentato dall’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo, dalla quale dipenderanno poi tutte le sfaccettature cliniche, i meccanismi di mantenimento, differenti da persona a persona. Questi possono essere sia di natura comportamentale, come la restrizione dietetica o l’esercizio fisico eccessivo, che cognitiva, come il perfezionismo clinico o la bassa autostima nucleare. Grazie all’approccio multidisciplinare proposto dal protocollo in questione, paziente e terapeuta lavorano come una vera a propria squadra, al fine di superare la problematica; pertanto l’atteggiamento attivo e partecipato della persona è quanto mai fondamentale. La durata varia dalle 20 alle 40 settimane a seconda delle condizioni individuali, e il trattamento si struttura in 3 fasi:

  1. Recupero del peso e condivisione funzionamento della psicopatologia
  2. Gestione e scardinamento dei meccanismi di mantenimento
  3. Comprensione dei fattori scatenanti e prevenzione delle ricadute

6. Le terapie sono tutte uguali? Un confronto tra la Cognitive Behavioral Therapy – Enhanced e la Family Based Therapy – Dott.ssa Riboldi, medico psichiatra.

Come per tutte le altre patologie organiche esistono, come detto, delle linee guida utili per orientarsi nella scelta del trattamento più efficace. Esse si basano su autorevoli studi di letteratura che hanno messo a confronto tipologie differenti di psicoterapia oppure la presenza/assenza di protocolli terapeutici in rapporto alla remissione della sintomatologia.

Seppur i risultati siano spesso eterogenei, la comunità scientifica è concorde nel considerare la psicoterapia come unico strumento efficace nel trattamento di tutti disturbi alimentari. Dal punto di vista farmacologico, invece, non vi sono indicazioni relative all’utilizzo di farmaci specifici, se non per la gestione di sintomi corollari (ansia, depressione, impulsività).

Due protocolli particolarmente utilizzati in risposta al DA sono, da un lato, la CBT – E (proposta sia ad adulti che adolescenti) e la FBT (prevalentemente adolescenti). Presupposto cardine del primo trattamento è la collaborazione tra psicoterapeuta e paziente, che si articola con la condivisione del percorso di cura e la messa in atto di strategie e procedure concordate. Spicca quindi il marcato controllo del paziente ed il ruolo attivo da esso giocato. Dall’altro lato, la FBT, sviluppata a Londra negli anni ‘70 presso il Maudsley Hospital, si basa su una premessa teorica completamente differente, ossia che il paziente adolescente non esercita alcun controllo sulla propria malattia. Per questo motivo, si denota una marcata deresponsabilizzazione del giovane paziente, a favore di un maggior investimento nei confronti delle figure genitoriali. Seppur anche la FBT sia supportata da numerose evidenze scientifiche, si connota come un percorso in cui il coinvolgimento attivo del paziente e la sua consapevolezza vengono poco valorizzati.

Al termine di questa parte prettamente teorica, si è proceduto rispondendo alle domande dei partecipanti. Grazie agli spunti forniti dal pubblico online è stato possibile delineare innanzitutto i campanelli di allarme dei DA quali ad esempio modificazioni personologiche (irritabilità, isolamento, labilità emotiva, perdita di interesse in attività precedentemente gradite), cambiamento nello stile alimentare, incremento dell’attività sportiva, variazioni importanti di peso, preparazione di piatti elaborati non consumati e frequenti richieste di rassicurazione relative alla forma del proprio corpo. Si è poi proseguito analizzando in che modo i genitori possono costituire una preziosa risorsa per il proprio figlio, affetto da un disturbo alimentare. Sicuramente, prediligere un atteggiamento empatico, decentrarsi dalle proprie convinzioni, maggiore conoscenza dei meccanismi di mantenimento e la promozione di un clima sereno e caldo durante i pasti, sono tutti fattori protettivi e facilitanti la guarigione.

In ultimo si è evidenziato quanto l’imminente stagione estiva e le vacanze possano rappresentare un momento di forte stress e in alcuni casi essere espediente per maggiore restrizione alimentare ed attenzione alle forme corporee. Per questo motivo, si potrebbe assistere al tentativo di ridurre al minimo le occasioni per mostrare la propria fisicità, celandola con abiti larghi ed evitando costumi da bagno, o addirittura posticipare le vacanze estive. Fornire il proprio supporto e identificare un protocollo terapeutico adatto, sono strategie utili per aiutare la persona ad affrontare il proprio disturbo.

Con questo prezioso dibattito, si conclude il ciclo di webinar sui falsi miti realizzato dal CIPda – Milano. Si coglie l’occasione per ringraziare l’equipe e si invitano gli spettatori a prendere visione delle numerose iniziative e proposte calendarizzate per la stagione autunnale, comunicate dai canali social del centro.

 


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