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Paura degli aghi: definizioni e trattamenti

Le persone con paura degli aghi possono sperimentare ansia e agitazione estreme quando vi sono esposte, senza riuscire a controllare le loro risposte

Di Dominique De Filippis

Pubblicato il 01 Lug. 2021

Gli individui che soffrono di agofobia sono generalmente consapevoli dell’impatto negativo della loro risposta emotiva. L’ansia e l’agitazione possono essere estreme e chi ne soffre non riesce a controllare tali risposte.

 

La puntura venosa è spesso accompagnata da dolore e/o disagio e l’anticipazione di tale atto può provocare apprensione o ansia prima dell’evento. Per una parte della popolazione, tuttavia, la mera visione di un ago rappresenta una vera e propria fobia (Cook, 2016).

Una fobia è una paura persistente e irrazionale di un oggetto, un’attività o una situazione specifica che porta a un desiderio irresistibile di evitarla (American Psychiatric Association, 2013), tuttavia, la paura non è stata classificata come fobia fino al 1994 (Cook, 2016).

Con la possibilità di effettuare una diagnosi fu finalmente possibile offrire opzioni di trattamento. All’oggi, vengono utilizzati vari termini per descrivere la paura delle iniezioni, degli oggetti appuntiti o del dolore. La terminologia applicabile include l’aicofobia, una paura intensa o morbosa degli oggetti appuntiti o taglienti; l’enetofobia, una paura degli spilli e dei vaccini; la tripanofobia, una paura delle iniezioni e, l’algofobia, una paura intensa o morbosa del dolore (Cook, 2016).

La fobia degli aghi può essere vista da diverse prospettive: quella del paziente, del professionista e della società.

Gli individui che soffrono di agofobia sono generalmente consapevoli dell’impatto negativo della loro risposta emotiva.

L’ansia e l’agitazione possono essere estreme e chi ne soffre non riesce a controllare tali risposte. Questi individui possono provare un senso di fallimento e/o imbarazzo perché sanno che le loro reazioni non sono socialmente accettabili. La fobia può impedire loro di cercare l’attenzione medica, sia per la paura della procedura vera e propria, sia per l’imbarazzo, o per entrambe.

Il medico che prende in cura questa tipologia di pazienti si trova di fronte ad individui che potrebbero comportarsi in modo bizzarro. La loro risposta è considerata irrazionale e il professionista può essere giudicante e vederla con disgusto. Esasperato da una situazione che sta impattando su un’agenda fitta di impegni, il professionista può avere difficoltà nel fornire un’assistenza compassionevole. Il modo etico di affrontare la situazione è quello di trovare e attuare una soluzione che aiuti a ridurre la paura e l’ansia, nonostante il fatto che possa volerci più tempo. La preoccupazione sociale associata è correlata alle tendenze di evitamento dei pazienti. È improbabile che i malati si sottopongano a vaccini volontari, come il vaccino antinfluenzale, e possono anche rifiutare i vaccini obbligatori, fenomeno che, attualmente, si sta verificando.

Durante i suoi studi, Hamilton ha riconosciuto 5 sottogruppi di agofobia con eziologia differente, che verranno illustrati di seguito (Hamilton, 1995).

Il 50% degli agofobici vengono classificati come “aventi una risposta negativa ereditaria” rispetto agli aghi (Cook, 2016). Queste persone possono negare la paura degli aghi ma, al contempo, sperimentano cambiamenti nella frequenza cardiaca e nella pressione sanguigna e, nei casi più estremi, possono perdere i sensi. Hamilton (1995) ha teorizzato che la risposta sia stimolata da un gene che si è evoluto nel corso di anni; difatti, quattro milioni di anni fa, la maggior parte delle ferite erano determinate da oggetti appuntiti e, secondo l’autore, ciò ha contribuito allo sviluppo di un gene che è stato incorporato all’interno del nostro DNA. Egli riteneva che il gene fosse presente in tutti, ma che fosse generalmente represso. Tuttavia, il gene è dominante in un sottogruppo e la risposta è stimolata non appena viene percepito il potenziale di danno. Sono stati identificati altri quattro possibili meccanismi alla base delle intense risposte di paura alla vista di un ago.

Paura associativa

I soggetti in questo caso hanno una risposta appresa associata agli aghi che di solito include l’ansia anticipatoria. È probabile che queste persone abbiano vissuto un evento traumatico o che abbiano un parente che ha trasmesso loro la paura, a causa della propria esperienza negativa. L’ansia può essere estrema, tanto da portare in alcuni casi a sperimentare degli attacchi di panico.

Paura resistiva

In questo caso l’ago è solo una parte della paura. La risposta emotiva deriva per lo più dalla possibilità di essere controllati o trattenuti durante la procedura. La paura probabilmente è causata dall’aver vissuto un’esperienza traumatica associata agli aghi, incluso l’uso precedente di costrizioni, inganni o minacce. Al momento dell’atto, è probabile che i pazienti diventino persino violenti.

Iperalgesia

L’ago non è temuto in sé per sé, bensì è il tocco ad essere temuto. Questo fenomeno è secondario ad una sensibilità ereditata al dolore. In questo caso per i pazienti il dolore è insopportabile e non comprendono come qualcuno possa tollerare tali procedure. I livelli di ansia sono più alti e l’aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna più forti al momento della penetrazione dell’ago.

Vicario

Il sottogruppo della fobia vicaria dell’ago è considerato raro e, coloro che ne soffrono, possono sperimentare una risposta che viene provocata unicamente dal guardare un’altra persona che viene iniettata (Hamilton, 1995).

Rispetto alle terapie necessarie al trattamento delle suddette fobie, sarà bene considerare che l’intensità dell’intervento dovrà dipendere dalla gravità della paura del paziente. L’intervento psichiatrico è solitamente raccomandato se la paura determina una minaccia per la sicurezza del paziente, di chi se ne prende cura o del pubblico.

Ad ogni modo, ogni trattamento dovrà avere l’obiettivo di aiutare il paziente ad affrontare la situazione, motivo per cui gli interventi psicoterapeutici risultano essere il trattamento di elezione (Sokolowski, Giovannitti & Boynes, 2010), tra cui rientra il processo di desensibilizzazione, che talvolta prevede l’utilizzo di immagini, al fine di introdurre la procedura o, ancora, le terapie incentrate sulla percezione, che verificano il procedimento pianificato e riesaminano l’attrezzatura necessaria.

È bene tener presente che la percezione della paura di un paziente è simile alla percezione del dolore: entrambi suscitano una risposta personale basata su ciò che è reale per il paziente. Rendere una procedura spaventosa meno intimidatoria dovrebbe essere un obbligo professionale. La sfida più grande sarà riconoscere i pazienti la cui paura è pervasiva e sarebbe dunque necessario prevedere un piano di cura che si focalizzi sulla prevenzione e sul trattamento e che coinvolga l’intero team sanitario, affinché tale fobia non incida sul trattamento medico di questi pazienti.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
  • Cook, L. S. (2016). Needle phobia. Journal of Infusion Nursing, 39(5), 273-279.
  • Hamilton, J. G. (1995). Needle phobia: a neglected diagnosis. Journal of Family Practice, 41(2), 169-182.
  • Sokolowski, C. J., Giovannitti, J. A., & Boynes, S. G. (2010). Needle phobia: etiology, adverse consequences, and patient management. Dental Clinics, 54(4), 731-744.
  • Wright, S., Yelland, M., Heathcote, K., Ng, S. K., & Wright, G. (2009). Fear of needles-nature and prevalence in general practice. Australian family physician, 38(3), 172.
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