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Che ruolo per i media nella transizione alla normalità post-pandemia?

I media potrebbero adoperare la propria influenza per sostenere le persone nella costruzione di una rappresentazione fiduciosa del futuro post-pandemia

Di Giammaria Trimarco

Pubblicato il 05 Lug. 2021

Durante la pandemia i media si sono rivelati la cinghia di trasmissione che ha permesso la diffusione e l’adozione di scelte individuali di protezione in linea con le politiche sanitarie, dalle istituzioni alla popolazione generale. Che ruolo avranno nel ‘ritorno alla normalità’?

 

 A novembre del 2021 saranno ormai passati due anni dall’inizio di questa pandemia e, si spera, saremo già ritornati ad abitudini non particolarmente diverse da quelle che avevamo prima che questo evento mettesse in crisi il nostro stile di vita.

I canali di informazione, in tutto questo tempo, ci hanno informato costantemente circa le ipotesi, le ricerche e le considerazioni passeggere sulle possibili conseguenze future a livello individuale (per la salute fisica e mentale), politico, economico e sociale, di questa pandemia.

In base alle ricerche effettuate su pandemie precedenti, era ragionevole, infatti, aspettarsi importanti conseguenze per il benessere di tutta la popolazione. Accanto all’aumento del tasso di mortalità dovuto alla malattia, si prevedeva anche un aumento generale dell’incidenza di tutto lo spettro delle risposte da stress, dei disturbi dell’adattamento, del disturbo da stress post-traumatico, di quadri ansiosi, depressivi o misti, dell’abuso di sostanze e, infine, un aumentato rischio suicidario, solo per citarne alcune (Gruber et al., 2020).

Alla luce di ciò, le ragioni della martellante copertura mediatica sulla pandemia e gli aspetti ad essa connessi sono comprensibili. Senza andare troppo a fondo, era necessario che la popolazione generale comprendesse la pericolosità del virus; era necessario diffondere informazioni sulle misure preventive da adottare per evitare il contagio; era necessario giustificare le ampie restrizioni che avrebbero impattato il nostro quotidiano per lungo tempo.

Da questo punto di vista i media si sono rivelati la cinghia di trasmissione che ha permesso la diffusione e l’adozione di scelte individuali di protezione in linea con le politiche sanitarie, dalle istituzioni alla popolazione generale. Le notizie diffuse quotidianamente hanno fornito alle persone i termini con i quali costruirsi un’adeguata rappresentazione mentale del rischio connesso alla situazione contingente (Kasperson et al., 1988) e un quadro per la sua interpretazione e il suo fronteggiamento. Ne sono la prova la diffusione dell’uso delle mascherine, dell’igienizzazione delle mani e delle superfici, della disinfezione degli ambienti, tutte misure di prevenzione ancora oggi presenti.

Il ruolo positivo dei media in tale frangente è fuori discussione e la ricerca fornisce sostegno a questa considerazione. La copertura mediatica di una malattia si associa positivamente, infatti, alla percezione della sua gravità e della sua rappresentatività (Young, Norman & Humpreys, 2008), innescando una risposta da stress che si associa alla ricerca ulteriore di informazioni (Thompson, Jones, Holman & Silver, 2019) e all’adozione di comportamenti preventivi (Melki et al., 2020).

 Come mai il messaggio è stato così efficace? La ricerca rileva che parte dell’efficacia dei media in periodi come quello che stiamo vivendo è dovuta all’impatto dei cosiddetti ‘appelli alla paura’, ovvero messaggi che sfruttano l’attivazione di stati emotivi di qualità edonica negativa e, preferibilmente, di media o elevata intensità, per stimolare l’adozione di comportamenti, atteggiamenti, emozioni, motivazioni, pensieri, in linea con il contenuto del messaggio (Tannenbaum et al., 2015). Si aggiunge, tra le altre variabili che ne sanciscono l’efficacia, anche l’effetto dell’elevata frequenza con la quale il pubblico è stato esposto a questi messaggi sui principali canali di comunicazione (principio della mera esposizione: Zajonc, 1968).

In conclusione, vedere e sentire ogni giorno il bollettino dei contagi, la situazione critica negli ospedali, le opinioni degli esperti, e ricevere continuamente istruzioni sul cosa fare per prevenire il contagio avrebbe così stimolato le persone ad essere caute e ad assumere comportamenti protettivi. Ciò a sua volta avrebbe permesso di contenere il numero dei contagi e dei morti, di per sé già elevato.

Ad oggi la situazione è cambiata. Con la politica vaccinale attuale è possibile che entro la fine dell’estate tutta la popolazione sia stata vaccinata, e il numero giornaliero dei contagi e dei morti sia sceso in maniera significativa.

Ciò che rimarrà saranno le conseguenze psicologiche, economiche e sociali, di quel che abbiamo vissuto fino adesso. Sono aumentate l’incidenza del disagio e dei disturbi mentali (Webb, McManus & O’Connor, 2021), cresce l’isolamento sociale, i cui effetti negativi per il benessere fisico e mentale sono noti da tempo (Holt-Lunstad, Smith, Baker, Harry & Stephenson, 2015), e sono esponenzialmente aumentate l’incertezza lavorativa ed economica, altrettanto pericolose (Mimoun, Ben Ar & Margalit, 2020).

Utilizzando gli stessi principi che rendono efficace la comunicazione del rischio, i messaggi diffusi alla popolazione potrebbero essere confezionati secondo modalità che sostengano il recupero psicologico verso adeguati livelli di benessere in questa fase di transizione, mentre ci incamminiamo lentamente verso una nuova normalità. I media potrebbero adoperare la propria influenza per sostenere le persone nella costruzione di una rappresentazione del futuro fiduciosa, proattiva e che faccia leva su note risorse di resilienza individuali e collettive, come il senso di autoefficacia, la percezione di controllo, l’hardiness e l’ottimismo, per citarne alcune (i lettori che ne fossero interessati, potranno cercare nel sito molti articoli che ne trattano).

In merito a ciò la psicologia avrebbe molto da proporre.

 

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