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L’attaccamento nella costruzione della realtà – Report del webinar

Report del webinar dal titolo "Attaccamento nella costruzione della realtà" con relatori: Mario Reda e Saverio Ruberti; coordinatore: Giorgio Rezzonico

Di Loris Andreotti

Pubblicato il 23 Giu. 2021

Che cosa ha rappresentato la teoria dell’attaccamento nel rinnovamento della psicoterapia e nel cambiamento della nostra società, almeno in alcuni settori? Quali prospettive ci ha aperto? A queste domande cercano di rispondere i relatori da punti di vista differenti sul piano teorico e dell’approccio clinico.

 

Nicola Piccini apre la discussione. Quattro sono gli appuntamenti che prendono vita dal un progetto editoriale Franco Angeli Attualità e prospettive dell’attaccamento: dalla teoria alla pratica clinica, a cura di Giorgio Rezzonico e Saverio Ruberti. Questo primo incontro si svolge alla presenza degli autori in compagnia dello psichiatra, psicoterapeuta e Professore Ordinario di Psicologia Clinica, Mario Antonio Reda, curatore dell’opera e autore del capitolo d’apertura del testo “Dalla teoria dell’attaccamento ai sistemi complessi: il contributo di John Bowlby allo sviluppo del cognitivismo in Italia.”

Ad aprire la discussione è proprio il dott. Reda che, sollecitato dal dott. Rezzonico, ripercorre quelli che sono stati i momenti di incontro tra Giovanni Liotti e Vittorio Guidano; la successione di eventi che hanno portato gli stessi ad approcciarsi a lavoro di Bolwlby e alla nascita della scuola romana di psicoterapia cognitivo-comportamentale. La separazione dei due grandi autori sopracitati, in corrispondenza della pubblicazione di “Processi cognitivi e disregolazione emotiva. Un approccio strutturale alla psicoterapia”, colorita da aneddoti di vita quotidiana in una cornice a tratti amarcord, riporta al tema centrale: qual è il contributo di Bowlby alla psicoterapia cognitivo-comportamentale.

Bowlby ci ha permesso – dice Reda – di affrontare per la prima volta un tema fondamentale, come si viene a costruire la personalità. Un modello esplicativo in riferimento alla costruzione dell’individuo.

Si tratta di capire come un individuo è diventato ciò che è. E conclude:

Fondamentale per dare un senso allo scompenso psicopatologico, fornendo così basi epistemologiche e un modello terapeutico alla terapia cognitivo comportamentale.

Prende la parola Saverio Ruberti, che cita il collega Reda riportando l’espressione presente nel testo –introvabile- “Cognitivismo e Psicoterapia”:

Possedere nozioni che non si sapeva di possedere e provare emozioni che non era permesso provare

Questa rappresenterebbe, secondo Ruberti, l’apertura in termini di processo terapeutico in favore del modello dell’attaccamento:

Se non abbiamo nozioni è perché non ci vengono date – spiega Ruberti – ma se non abbiamo contatto con le nostre emozioni è perché non ci hanno autorizzato a questo contatto. Le emozioni non sono fuori ma dentro di noi e l’attaccamento ci consente di accoglierle.

Non condivide però la categorizzazione dell’attaccamento in pattern. Le quattro categorie che oggi conosciamo restano utili a fini di ricerca.

Il Dott. Ruberti da diversi anni si occupa di casi complessi e la necessità, dice, era quella di avere un modello utile a comprendere il mondo frammentato dei suoi pazienti. L’obiettivo sarebbe stato quello di ottenere strumenti utili alla formulazione riguardo i disturbi psicotici.

In che modo Guidano e Liotti interpretavano il modello teorico dell’attaccamento? Per Guidano l’attaccamento rappresentava una dimensione relazionale nella quale era prevista un’oscillazione tra avvicinamento e allontanamento. Liotti vedeva nell’attaccamento un sistema motivazionale: un organizzatore del comportamento che viene attivato quando ci troviamo in difficoltà. Si tratta di difficoltà dettate dalla paura e dal dolore. In questi termini il sistema di attaccamento ci orienta allo scopo di cercare e ottenere legami nei quali poter sperimentare cura, protezione e conforto.

La forza del modello dell’attaccamento, sostiene Rubert, è evidente nella ricerca empirica fortemente strutturata e rigorosa. Due sono gli aspetti che l’autore evidenzia: 1. Le esperienze infelici di attaccamento, al di là dei significati in termini di abbandono e mancata protezione, conducono ad un effetto che nelle varie forme di insicurezza si manifesta come la costruzione di modelli multipli e incoerenti di sé e non solo in forma di attaccamento disorganizzato. 2 L’attaccamento sicuro promuove vivacità relazionale; ingrediente fondamentale di salvaguardia rispetto ad eventuali sviluppi psicopatologici. Si fa luce sulla metacognizione quale capacità di tener conto del contenuto mentale proprio e altrui nel momento in cui si costruiscono le relazioni.

Ergo, le ricerche sull’attaccamento hanno evidenziato la componente affettiva nella dimensione relazionale.

Ruberti propone un modus operandi legato “al fare terapia” come luogo nel quale ricreare quel clima relazionale volto a ricostruire le ferite dell’attaccamento. Creare forme di contatto fra le parti differenti di noi che facciamo fatica a integrare, promuovendo le capacità di metacognizione e mentalizzazione che le infelici relazioni di attaccamento hanno compromesso.

Non c’è l’eziopatogenesi, cioè le cause che determinano il disturbo psicopatologico. Per Bolwlby le cause sono multifattoriali: in ogni disturbo sono presenti componenti diverse che creano una miscela nociva.

Il modello dell’attaccamento non è volto ad indagare quelle che sono le cause sottostanti alla patologia. L’obiettivo è quello di mettere in evidenza le esperienze di vita che determinano una vulnerabilità che, nel momento in cui incontra altri fattori scatenanti, precipita nella psicopatologia e ci indica la strada per porre rimedio rispetto a quel tipo specifico di vulnerabilità, tenendo conto anche di fattori biologici.

La dimensione relazionale fa da padrone. Il rapporto paziente-terapeuta non rappresenta soltanto il luogo di fiducia nel quale proporre tecniche ma soprattutto una “relazione sana” all’interno della quale sperimentarsi e ricostruire parti di sé.

Nasce un confronto diretto con Ruberti sul tema dell’identità, nel quale Reda esordisce sottolineando l’importanza dell’esperienza di attaccamento nella costruzione identitaria e di come l’individuo ricrei e determini, nel rapporto con l’altro, conferme identitarie. Ruberti invece sostiene come l’attaccamento rappresenti solo uno degli aspetti legati al tema identitario, auspicandosi, all’interno dello spazio terapeutico, una minore attivazione possibile dell’attaccamento in favore di un rapporto più evoluto e maturo.

Un’interessante domanda viene posta ai due autori rispetto al tema della spendibilità del modello di attaccamento in termini transculturali. Ruberti fornisce un interessante riscontro rispetto a come non esista un modello culturale migliore in termini di attaccamento sicuro quanto invece la possibilità di garantire, all’interno di qualunque sistema culturale, livelli di sicurezza relazionale e sociale.

Un’altra domanda posta permette di far chiarezza su cosa si intende realmente con attaccamento sicuro. L’utente parla di “attaccamento sicuro quindi morboso”, Ruberti fa chiarezza: un atteggiamento morboso da parte del cargiver è tutt’altro che sicuro, bensì ansioso-preoccupato: si tratta di un genitore che non ha la disponibilità mentale di entrare in contatto con la mente del bambino e comprendere il suo reale stato.

Si apre un’interessante finestra di discussione tra i tre interlocutori sul tema della dissociazione, convenendo tutti su come, negli ultimi tempi, si parli molto di dissociazione rischiando di confonderla con la disregolazione e di come, in realtà, un lieve stato dissociativo sia addirittura tutelante.

L’incontro si chiude con gli autori che convergono sull’importanza, ad oggi, di trovare punti di incontro tra il modello di Liotti e quello di Guidano, con l’obiettivo di, parafrasando Piaget, procedere per accomodamento e non per assimilazione, riproducendo contenuti nuovi in assenza di omissioni.

 

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