Il presente articolo ha lo scopo di definire cosa sia la Terapia Cognitivo Comportamentale Potenziata (CBT-E) e la sua applicazione nel trattamento dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione, per maggiore chiarezza verrà preso in esame uno specifico disturbo, l’Anoressia Nervosa (AN).
Terapia Cognitivo-Comportamentale Potenziata (CBT-E)
La CBT-E affonda le sue radici nella CBT-BN, ovvero la Terapia Cognitivo Comportamentale specificatamente indirizzata al trattamento della Bulimia Nervosa (Fairburn, Marcus, & Wilson, 1993). Il trattamento è stato originariamente progettato per essere somministrato in ambiente ambulatoriale (Fairburn et al., 1993) e al suo interno è previsto anche un protocollo finalizzato al trattamento del Binge Eating Disorder (BED) per gli individui affetti da obesità (Fairburn et al., 2003).
La teoria transdiagnostica riconosce che ci sono elementi condivisi tra i disturbi alimentari, vale a dire la sopravvalutazione del peso e della forma, la restrizione alimentare e diversi processi di mantenimento (Fairburn et al., 2003). Inoltre possono essere presenti alcune variabili aggiuntive allo specifico disturbo alimentare che potrebbero interagire con la psicopatologia di base andando a creare ulteriori ostacoli al cambiamento: perfezionismo clinico, bassa autostima, difficoltà interpersonali e intolleranza dell’umore (Fairburn et al., 2003). Il razionale alla base della CBT-E ipotizza che affrontare questi fattori aggiuntivi si tradurrà in una percentuale maggiore di pazienti che risponderanno meglio al trattamento.
L’intervento psicoterapeutico CBT-E ha i seguenti tre obiettivi principali: (1) rimuovere la psicopatologia del disturbo alimentare (alimentazione disturbata, peso insufficiente, comportamenti estremi di controllo del peso e preoccupazioni su alimentazione, forma e peso); (2) correggere i meccanismi che hanno mantenuto la psicopatologia specificata nella formulazione del caso del paziente; (3) assicurare che i cambiamenti siano duraturi nel tempo (Fairburn, 2008).
Secondo il protocollo sono raccomandate 20 sessioni di trattamento per le persone con un indice di massa corporea (BMI) di 17,5 kg / m2 e superiore, in caso questo dato fosse inferiore a quanto indicato, vengono raccomandate 40 sessioni (Fairburn, 2008).
La CBT-E si articola in 3 fasi principali: la fase iniziale ha l’obiettivo di coinvolgere i pazienti e di aiutarli a prendere la decisione di riprendere peso, affrontando la psicopatologia del disturbo alimentare (Frostad et al., 2018). La seconda fase si concentra sul raggiungimento del recupero del peso e allo stesso tempo si rivolge ai meccanismi chiave che mantengono la psicopatologia del disturbo alimentare. L’obiettivo è aiutare i pazienti a raggiungere un peso corporeo che possa essere mantenuto senza restrizioni dietetiche, con conseguentemente miglioramento della qualità di vita, anche sociale (Frostad et al., 2018). La terza ed ultima fase si concentra sull’aiutare i pazienti a mantenere il proprio peso. L’obiettivo è garantire che i progressi siano mantenuti e che il rischio di ricaduta sia ridotto al minimo (Frostad et al., 2018).
Introduzione DCA
I Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione sono definiti come patologie caratterizzate da un persistente disturbo dell’alimentazione o da comportamenti collegati ad essa, che generano un alterato consumo o assorbimento di cibo, compromettendo varie aree della vita delle persone che ne soffrono (APA, 2013). Tali individui sarebbero caratterizzati a livello cognitivo da perfezionismo patologico, una bassa autostima, da un senso di responsabilità eccessivo e da rimugino (Vitousek & Hollon, 1990; Rachman & Shafran, 1999). Attualmente, la società odierna sta vivendo un aumento elevato di tali disturbi, soprattutto nei paesi occidentali, in particolare per quanto concerne l’Anoressia Nervosa e la Bulimia Nervosa. I soggetti che maggiormente manifestano tali disturbi sono giovani donne, caratterizzate da uno standard socio-economico elevato, e influenzate dal livello socioculturale e dalla trasformazione industriale di tali paesi (Gabbard, 1994).
Anoressia Nervosa
L’Anoressia Nervosa è stata definita uno dei disturbi psichiatrici più difficile da trattare (Halmi, et al., 2005). Attualmente a livello epidemiologico, nelle giovani donne, l’AN è presente nello 0,4% (APA, 2013). Questo disturbo è caratterizzato da sentimenti di disgusto per il cibo, provocando comportamenti quali il rifiuto di mangiare (Peruzzo, 1990). I soggetti che soffrono di Anoressia Nervosa presentano un’intensa paura dell’aumento di peso e un’immagine corporea disturbata, che li porta a diete ferree, restrizioni alimentari gravi, e anche ad utilizzare comportamenti compensatori per perdere peso, quali vomito auto-indotto, lassativi o attività fisica eccessiva (Zipfel et al., 2013; Gümmer et al., 2015). Tale disturbo genera gravi effetti negativi sul funzionamento fisico, psicologico e sociale, ed inoltre vi è un elevato rischio di complicanze a livello medico e di mortalità (Arcelus, Mitchell, Wales & Nielsen, 2011). Il decorso dell’Anoressia Nervosa è prolungato, con varie recidive (APA,2013), spesso cronico (Wentz et al., 2009) e con scarse risposte al trattamento (Arcelus, Mitchell, Wales & Nielsen, 2011). All’interno del DSM 5 (APA, 2013) sono esposte tre caratteristiche considerate chiavi che caratterizzano l’Anoressia Nervosa: la prima è un’intensa paura di aumentare di peso, che generalmente non fa riferimento solamente alla semplice perdita di peso; la seconda è una percezione distorta del peso corporeo, o della forma di quest’ultimo; la terza caratteristica è un peso corporeo considerato significativamente basso, rispetto all’età o all’altezza dell’individuo. Suddivise nel DSM 5 (APA,2013), vi sono due tipologie di AN: con restrizioni o con abbuffate e condotte di eliminazione. Un indice importante per la diagnosi di Anoressia Nervosa è il Body Mass Index, ossia l’indice di massa corporea (BMI) (APA, 2013), tale parametro serve per calcolare il peso forma del proprio corpo. Esso viene misurato dividendo il proprio peso per l’altezza alla seconda (kg/ m2). Per quanto concerne l’Anoressia Nervosa, il DSM 5 (APA,2013), afferma che un BMI lieve, inteso come leggero sottopeso, è un BMI ≥ 17 kg/m2; un BMI che indica un moderato sottopeso è considerato un BMI di 16-16,99 kg/m2; un grave sottopeso viene considerato quando il BMI misura 15-15,99 kg/m2; un estremo sottopeso, viene considerato un BMI di <15 kg/ m2. In merito ai criteri diagnostici, con l’uscita del DSM 5 (APA, 2013), è stato eliminato il criterio di Amenorrea. Per quanto concerne l’eziologia di tale disturbo, vi sono molteplici cause, di fatto è definito un disturbo multifattoriale. I fattori genetici, sono tra le principali cause d’insorgenza, di fatto è stata notata una forte componente familiare (Strober, Freeman, Lampert, Diamond, & Kaye, 2000) e un’alta ereditabilità che varia dal 28% al 74% (Yilmaz, Hardaway, & Bulik, 2015). Un ulteriore fattore che inciderebbe è il genere, di fatto di norma questa patologia è caratteristica del genere femminile (Jacobi et al, 2004). Eventi avversi prenatali, perinatali e neonatali (Jacobi et al., 2004; Tenconi, Santonastaso, Monaco, & Favaro, 2015), ma anche difficoltà nell’alimentazione infantile e problemi ricollegabili al ciclo sonno-veglia, aumenterebbero la probabilità di sviluppo di tale disordine alimentare (Jacobi et al., 2004). Per quanto concerne carattere e personalità, sono anch’essi fattori predisponenti. La personalità dell’individuo viene anche essa considerata fattore di insorgenza per il disturbo; di fatto durante lo sviluppo della personalità nell’età infantile, individui ansiosi, depressi, con tratti perfezionistici e con Sindrome dello Spettro Autistico, hanno maggiore probabilità di sviluppare la malattia (Jacobi et al., 2004). In merito a quest’ultimo aspetto, vari studi dimostrano che alcuni tratti caratteriali e alcuni tratti di personalità dell’infanzia, quali ansia, ossessioni e perfezionismo, potrebbero essere fattori rilevanti per l’esordio di tale disturbo (Kaye et al., 2013; Wierenga et al., 2014). Gli individui con questa patologia tendono a negare la loro condizione, infatti ci vuole tempo prima che si rendano conto che hanno a che fare con questo disturbo, poiché spesso vivono tale insorgenza in maniera positiva e vantaggiosa (Fox & Diab, 2015). La letteratura odierna ha riscontrato che il funzionamento familiare svolge un ruolo importante per quanto concerne l’insorgenza e il mantenimento di tale disturbo (Laghi et al., 2012a, 2012b). Le pazienti che soffrono di AN vedono le proprie famiglie come meno comunicative, meno coese, con maggiore rigidità e una minore flessibilità e con una maggiore difficoltà di problem solving, questi aspetti però non sono stati riscontrati nella percezione dei genitori delle pazienti (Emanuelli et al., 2004; Cook-Darzens et al., 2005; Vidovic, Juresa & Begovac, 2005; Ciao et al., 2015). Ciao e colleghi (2015) hanno riscontrato una scarsa chiarezza delle regole all’interno del nucleo familiare e un coinvolgimento affettivo inappropriato, quali ad esempio una mancanza di interesse e preoccupazione reciproca, soprattutto nei confronti della figura materna. Vista la complessità e la gravità di questo disturbo, negli ultimi anni, si sono venuti a sviluppare nuovi trattamenti (Berg & Wonderlich, 2013), soprattutto per gli adolescenti affetti da AN (Murray & Grange, 2014). È stato condotto uno studio ospedaliero con l’utilizzo della CBT-E in un campione di 27 pazienti adolescenti, ed è emerso che il 96% ha completato il programma, e ha ottenuto non solo un notevole miglioramento del peso corporeo, ma anche un miglioramento nelle caratteristiche dei disturbi alimentari e della psicopatologia in generale di quest’ultima, e tale risultato che è stato mantenuto in maniera ottimale fino a 12 mesi dal follow-up dello studio (Dalle Grave et al., 2014).
La CBT-E è valida?
Una caratteristica comune che contraddistingue le persone affette da un Disturbo Alimentare è la tendenza a cedere alle precedenti cattive abitudini. Queste ricadute vengono percepite come fallimenti e possono gravare fortemente sulla ripresa del paziente. Da numerosi studi presenti in letteratura emergono tassi di ricaduta fortemente inferiori in pazienti a cui è stato somministrato il protocollo CBT-E (Riesco et al., 2018).
Negli ultimi anni una migliore conoscenza dei meccanismi coinvolti nel mantenimento della psicopatologia dei disturbi alimentari ha portato allo sviluppo di una forma “specifica” di CBT, denominata CBT-E (E = enhanced), progettata per trattare tutte le forme di disturbi alimentari, compreso AN, dalle strutture ambulatoriali a quelle ospedaliere. I dati indicano che in ambito ambulatoriale è sia fattibile che promettente per adulti e adolescenti con AN. Risultati incoraggianti stanno emergendo anche dalla CBT-E ospedaliera, in particolare negli adolescenti (Dalle Grave et al., 2016).
Uno studio del 2018 (Stein Frostad et al., 2018) ha analizzato i tassi di remissione in pazienti con Anoressia Nervosa trattati con il protocollo CBT-E. La metà (n = 22) dei 44 pazienti che hanno iniziato la CBT-E ambulatoriale non ha completato il trattamento. Nel campione rimanente si è verificato un aumento di peso statisticamente significativo, dopo 12 mesi. La percentuale dei pazienti che hanno raggiunto il BMI target di> 18,5 kg / m2 era 36,4% dopo 3 mesi, 50% dopo 6 mesi e 77,3% dopo 12 mesi. Questo lavoro mostra l’efficacia della CBT-E nel trattamento dell’Anoressia Nervosa. Sebbene la metà dei pazienti non abbia completato la terapia CBT-E, i restanti pazienti hanno ottenuto un aumento significativo del BMI a 1 anno dall’inizio della terapia.
In uno studio di Dalle Grave e collaboratori, svolto nel 2019, è stata testata l’efficacia della CBT-E nel trattamento di una coorte di adolescenti con Anoressia Nervosa. Sono stati presi in osservazione e trattamento 49 pazienti affetti da AN e sono stati registrati il BMI di ciascuno e i punteggi nelle seguenti scale: Eating Disorder Examination Questionnaire, Brief Symptom Inventory e Clinical Impairment Assessment . Lo studio prevede un disegno longitudinale, con registrazioni in 3 differenti momenti: al momento del ricovero, alla fine del trattamento e al follow-up d i20 settimane. I risultati mostrano che il 71,4% dei completers ha mostrato sia un considerevole aumento di peso, sia punteggi ridotti per compromissione clinica e disturbo alimentare e psicopatologia generale, fino all’ultima valutazione al FU (Dalle Grave et al., 2019).
A sostegno dell’efficacia della CBT-E viene riportato un articolo dell’anno corrente (2020) il cui obiettivo è di esaminare l’andamento del percorso terapeutico di 150 pazienti adolescenti e adulti affetti da AN. La valutazione del BMI, la psicopatologia dei disturbi alimentari e la psicopatologia generale sono stati valutati in 3 momenti differenti, seguendo un disegno longitudinale, alla baseline, a fine trattamento, al FU di 20 settimane e FU a 60 settimane post-trattamento. L’85% dei partecipanti ha concluso il trattamento con punteggi significativamente migliorati in tutte le aree valutate, presentando solo un lieve, ma non significativo, peggioramento al secondo FU. Non è stata trovata alcuna differenza tra pazienti adolescenti e adulti in termini di accettazione del trattamento, abbandono o qualsiasi misura di esito (Dalle Grave et al., 2020).
Conclusione
In conclusione, dai risultati emersi dalla revisione di letteratura si evince che la CBT-E è adatta per curare tutte le categorie diagnostiche dei disturbi dell’alimentazione in adulti e adolescenti, in particolare ha dimostrato risultati promettenti per il trattamento dei pazienti adulti e adolescenti affetti da anoressia nervosa. Può essere usata a livello ospedaliero e in day-hospital e, per ottenere effetti ottimali, i terapeuti necessitano di ricevere una formazione adeguata nella CBT-E.