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La leva calcistica della classe del ’68 – Rubrica Psico-canzoni

De Gregori parla di un ragazzo che si approccia al mondo del calcio e prova le emozioni di chi si avvicina a quello che ama, mettendo in gioco se stesso.

Di Eleonora Damiani

Pubblicato il 14 Apr. 2021

Aggiornato il 21 Apr. 2021 15:37

Francesco De Gregori, attraverso uno dei suoi brani più famosi, rassicura la parte di noi titubante che emerge nel momento in cui ci approcciamo a quello che più amiamo. Ci invita ad usare la fantasia al posto di permettere ai pensieri giudicanti di regnare.

Psico-canzoni – (Nr.11) La leva calcistica della classe del ’68 

 

Nino cammina che sembra un uomo, con le scarpette di gomma dura, dodici anni e il cuore pieno di paura.

Così Francesco De Gregori descrive il protagonista della canzone La leva calcistica della classe del ’68.

L’autore ci presenta un ragazzo che si approccia al mondo del calcio. Le emozioni riportate sono proprie non solo della fase pre-puberale, ma anche del momento in cui ogni persona sceglie di avvicinarsi a quello che ama, mettendo in gioco se stesso e le proprie capacità. Il cuore è pieno di paura a dodici anni come a trenta, dipendentemente dall’esperienza che si sta vivendo.

Nino è il ragazzino davanti al pallone, ma sono anche gli uomini e le donne dietro al regista al suo primo film, alla cantautrice sul suo primo palco, all’avvocato alla sua prima disputa, alla psicologa davanti al primo paziente, all’artista alla sua prima mostra e così via.

Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia. 

De Gregori rassicura Nino come se fosse una parte di sé, la più insicura, la più titubante, la stessa che trema quando siamo di fronte a qualcosa che amiamo ma che abbiamo paura di non saper affrontare “bene”. Questo artista spiega che non c’è un modo migliore o peggiore di fare le cose, c’è un proprio modo ed è quello il più giusto. Un atteggiamento giudicante e critico rispetto a se stessi è la causa di in uno stato d’ansia tale da commettere un auto-goal.

Il giudizio va a braccetto con la paura di sbagliare, di fare “male”, di non essere all’altezza delle proprie aspettative e di quelle altrui incamerate. Sin dalla scuola siamo abituati a ricevere valutazioni per il nostro operato, ma la scuola non è la vita. Così l’autore esorta non solo Nino, ma anche tutti noi a fare quello che amiamo senza pensare al fine e godendoci appieno il momento in cui lo stiamo facendo.

La fantasia di cui parla De Gregori è la creatività attraverso cui possiamo esprimere noi stessi. Nessun calciatore, così come nessun artista, è stato mai ricordato per qualcosa che era già stata fatta da un altro. Ognuno di noi ha l’opportunità di sentirsi realmente soddisfatto seguendo la propria via, che non può essere quella sterrata da altri. Le impronte segnate su un territorio sono più facilmente riconoscibili se differenti e poste in punti diversi da quelle di altre persone.

Nino capì fin dal primo momento. L’allenatore sembrava contento. E allora mise il cuore dentro alle scarpe e corse veloce più del vento.

È il momento in cui ci diamo la possibilità di essere riconosciuti e riconoscerci per il talento che portiamo dentro. Trascorrere una vita a fare quello che non si ama a volte è la scusa per non mettersi in gioco, intimoriti dal fallimento.

Il fallimento non esiste, se la soddisfazione sta già nel darsi la possibilità di tirare quel calcio di rigore a modo proprio. E così, come fosse la polvere magica di Trilly di Peter Pan, la fantasia lasciata libera può far divenire quel pallone stregato, tanto da farlo entrare nella porta avversaria.

 

LA LEVA CALCISTICA DELLA CLASSE DEL ’68
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