Elisa nel brano Anche fragile racconta un po’ di sé e di un tratto del viaggio intrapsichico dell’essere umano. Il dialogo descritto è quello tra la parte più sensibile di sé e quella più impenetrabile.
Psico-canzoni – (Nr.10) Il coraggio della sensibilità: Anche fragile
Anche fragile è una delle tante canzoni di Elisa che possono prestarsi ad una lettura psicologica. Può sembrare un discorso fatto ad una persona cara, ma in questo caso verrà presentato come un dialogo tra due parti di sé.
Ancor più che una conversazione, il brano sembra essere un monologo dalla parte più fragile di sé a quella più forte, laddove forte e fragile sembrano avere l’accezione rispettivamente di impenetrabile e sensibile.
E piangiamo insieme che non piangi mai e non nasconderti con le battute non mi allontanare
è la miglior descrizione che si possa fare di impenetrabile, perché dove la scorza è tanto dura al fine di proteggersi, rende impossibile il passaggio a qualsiasi emozione o persona, persino a se stessi. La parte forte sembra essere tanto impermeabile, da non sentire nemmeno la vitalità che trasmette una goccia di pioggia, perché non può essere toccata. Quando la protezione diviene così marcata si rischia di creare una caverna che ripara dal mondo esterno così da non permettere il contatto con esso che renderebbe possibile vivere piuttosto che sopravvivere.
La parte più sensibile nel brano di Elisa sembra arrivare in soccorso di una forza pericolosa, anche per rendere meno letale il tallone di un semi-dio qualora se ne scoprisse l’esistenza. Permettere alla parte più fragile di emergere e di esprimersi concede paradossalmente all’essere umano la possibilità di non essere un bersaglio facile alla prima uscita dalla caverna. Così la parte apparentemente più delicata è quella più coraggiosa perché esce dalla caverna dove è possibile dire
voglio impegnarmi e salvare un pezzo di cuore, io non vivo senza sogni e tu sai che è così
donando alla parte più rigida la flessibilità che permette la sopravvivenza nel mondo esterno.
Io un confine non lo so vedere. Sai che non mi piace dare un limite, un nome alle cose, lo trovi pericoloso
mostra un altro limite della scorza dura. Per mantenersi al sicuro e proteggersi da entità pericolose bisogna posizionare sassi enormi nelle possibili vie di fuga della caverna. Questi massi sono limiti molto pesanti che evitano lo scontro con l’impossibilità di tenere tutto sotto controllo, ma anche di accedere alla vitale confusione umana.
Pur notando una resistenza della parte impenetrabile
e non nasconderti con le battute non mi sconcentrare,
la parte più permeabile la esorta:
stiamo a vedere dove possiamo arrivare e ridiamo insieme che ridiamo sempre, sempre, sempre che non basta mai, mai, mai.
La parte apparentemente più fragile si mostra essere ancora la più coraggiosa, poiché è quella che chiede all’altra di trasformare la risata da elemento protettivo a mezzo d’incontro.
La forza spesso viene associata all’impermeabilità, mentre la possibilità di bagnarsi sotto la pioggia alla fragilità. Quanta forza, intesa come coraggio, ci vuole invece per uscire a bagnarsi, rischiando un malanno, ma sentendo appieno ogni singola goccia piuttosto che rimanere sotto l’ombrello e privarsi della percezione dell’acqua sulla pelle? Quanto è instabile un sistema che regge su una parvenza di controllo? Le caverne e gli ombrelli sono utili se si sceglie quando usarli, senza che diventino un modus vivendi. Per vedere il Sole fuori è necessario spostare il masso, riuscendo a dire a se stessi:
e perdonami se sono forte sì ma poi sono anche fragile.
ANCHE FRAGILE – Guarda il video del brano: