Il Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) e il Disturbo Borderline di Personalità (BPD) condividono molte caratteristiche, tra cui i gesti autolesivi e i comportamenti suicidari. Quale effetto ha la Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT) nel prevenire questo genere di condotte in pazienti con ASD?
Molte persone con Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) sono trattate con cure specialistiche a lungo termine. In questa popolazione, il comportamento suicidario rappresenta il sintomo di più difficile trattamento (Hedley, 2018; Segers, 2014) poiché, al momento, non esiste una terapia efficace documentata.
La terapia dialettico-comportamentale (DBT) è un programma di trattamento efficace per i comportamenti cronicamente suicidari e/o autolesionistici in pazienti con Disturbo Borderline di Personalità (BPD) (Linehan, 1993). Gli studi RCT hanno infatti dimostrato l’efficacia della DBT in particolare nella riduzione dell’uso di alcol e/o di sostanze, dei comportamenti autolesivi e/o dei tentativi di suicidio, estendendone il suo utilizzo anche nel trattamento della dipendenza da sostanze (Dimeff & Linehan, 2008), della depressione, del PTSD (Bohus et al, 2020) e dei disturbi alimentari (Klein et al. 2013; Safer et al. 2010; Chen et al., 2015).
Uno studio promettente in fase di raccolta dei dati (Huntjens et al. 2020) ha esteso l’utilizzo della DBT al trattamento dei comportamenti anticonservativi e autolesionistici che si riscontrano frequentemente nei disturbi dello spettro dell’autismo.
Il background su cui poggia tale studio è che l’ASD e il BPD condividono molte caratteristiche, ossia: problemi nella regolazione delle emozioni (Samson et al. 2014), importanti problemi nelle relazioni interpersonali, disturbi dell’identità, impulsività, comportamenti suicidari ricorrenti e/o autolesionismo, instabilità affettiva dovuta ad una marcata reattività dell’umore, sentimenti cronici di vuoto, rabbia intensa o inappropriata o difficoltà a controllare la rabbia, ideazione paranoide correlata allo stress e incapacità di inibire vari impulsi, comportamenti o desideri (Fitzgerald, 2005)
Lo studio RCT di Huntjens et al. (2020), valuterà in primo luogo l’efficacia della DBT nel ridurre i comportamenti suicidari e/o autolesionistici. Successivamente studierà l’efficacia della DBT rispetto al trattamento TAU (Treatment As Usual) nella riduzione degli stati ansiosi, nel migliorare le prestazioni sociali, nel ridurre la depressione e migliorare la qualità della vita, oltre che la sua utilità in termini di rapporto costi/benefici.
Il campione sarà costituito da centoventotto persone con diagnosi di autismo e comportamento suicidario e/o autolesionistico in associazione, reclutate da servizi di salute mentale specializzati e assegnate a due condizioni: 1) la condizione sperimentale DBT in cui i partecipanti avranno sessioni settimanali di terapia cognitivo-comportamentale individuale e una sessione di skills training di gruppo due volte a settimana per 6 mesi e 2) la condizione di controllo caratterizzata da un trattamento usuale che consiste in sessioni di terapia individuale settimanale di 30-45 minuti.
I criteri di inclusione nel campione saranno: età compresa tra 18 e 65 anni; criteri DSM-5 soddisfatti per il disturbo dello spettro autistico; presenza di ideazione suicidaria (punteggio SIDAS ≥ 21); livello di suicidio e/o comportamento autolesionistico valutato come grave sulla LPC; trattamento ambulatoriale. Tra i criteri di esclusione troviamo: QI <80; dipendenza da sostanze illecite e necessità di disintossicazione clinica; padronanza insufficiente della lingua olandese.
Poiché non ci sono dati empirici per guidare i professionisti nella riduzione del rischio suicidario nelle persone con ASD, è importante determinare se la DBT sia un intervento efficace per ridurre o prevenire l’ideazione e i tentativi di suicidio. Questo studio ha diversi punti di forza. Innanzitutto, è il primo studio clinico controllato randomizzato in singolo cieco per esaminare l’efficacia del DBT nelle persone con autismo e suicidio. Inoltre, la possibilità di generalizzare i risultati ottenuti è migliorata perché condotto nei servizi di salute mentale ordinari. Infine, il campione è relativamente ampio e bilanciato. Uno degli ostacoli principali sembrerebbe rappresentato dal reclutamento poiché alcuni terapisti potrebbero essere più riluttanti a raccomandare questo trattamento ai loro clienti. Un’altra limitazione è l’idoneità del terapeuta nel lavorare sia su pazienti autistici che a somministrare la DBT. Oltre a questo, le qualifiche dei terapisti TAU non sono chiare e il limite a 6 mesi della durata del trattamento DBT piuttosto che a 1 anno, come nel trattamento originale, potrebbe influenzare l’esito del trattamento stesso.
Il suicidio nelle persone con autismo rimane un fenomeno scarsamente compreso e poco studiato. Gli studi precedenti hanno sottolineato la necessità di ulteriori ricerche di approfondimento sull’efficacia delle strategie di prevenzione e degli interventi di trattamento allo scopo di trovare interventi utili nel prevenire il comportamento suicidario.