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Obesità: quando l’assunzione di cibo da attività ludica diventa patologica. Verso nuove prospettive diagnostiche e di intervento

Attraverso l'intervento cognitivo comportamentale CBT-O si incoraggia il paziente obeso a diventare attore attivo del proprio processo di cura e oltre.

Di Antonio Cafaro

Pubblicato il 31 Mar. 2021

Aggiornato il 02 Apr. 2021 11:52

I trattamenti tradizionali per la cura dell’obesità si focalizzano unicamente sui fattori biologici, tralasciando i fattori psicologici coinvolti che ostacolano il mantenimento della perdita di peso a lungo termine. Il trattamento rivolto all’obesità dovrebbe integrare attività fisica, correzione alimentare e intervento psicoterapico.

 

  Un importante contributo per il trattamento dell’obesità viene dato dall’integrazione tra correzione alimentare e psicoterapia. I metodi tradizionali, orientati alla sola correzione alimentare, risultano infatti inefficaci nel lungo termine per mantenere il dimagrimento, esponendo la persona a importanti ripercussioni sul piano fisico e psichico. Risulta necessario valorizzare maggiormente l’intervento anche sul piano psicologico per far fronte a questa problematica.

Definizione di obesità

L’obesità è una malattia cronica corrispondente a un eccesso di massa grassa, che ha conseguenze dannose sulla salute delle persone. Ha un’eziologia multifattoriale: è legata a fattori genetici, metabolici, psichici e sociali che condizionano e sostengono il quadro clinico (Società italiana di Chirugia dell’Obesità e delle Malattie Metaboliche [SICOB], 2011).

La condizione di obesità può essere definita in base al calcolo dell’indice di massa corporea (BMI= peso/altezza2 con peso in kg e altezza in metri). Con un BMI ≥ 30 KG/m2 si è in condizione di obesità. Le complicazioni legate all’obesità riguardano l’apparato respiratorio, cardiovascolare, con importanti limitazioni anche sul piano della mobilità articolare oltre che sul piano sociale e psicologico (Ciangura et al., 2009)

Il tema dell’obesità è quanto mai attuale e le spese sostenute per ridurne gli effetti sono diventate ormai di rilievo, questo è dato anche dal fatto che si continua ad intervenire su questa particolare condizione unicamente dal punto di vista nutrizionale, tralasciando invece gli aspetti psicologici che vi sono implicati.

Condotte alimentari disfunzionali

Nella società occidentale dei nostri giorni, l’assunzione di cibo non è più legata al semplice scopo di nutrirsi per sopperire bisogni fisiologi primari, bensì l’alimentazione ha assunto connotazioni molto diverse, è legata a scopi ricreativi, ludici e molto spesso viene utilizzata in maniera impulsiva per far fronte a stati emotivi disfunzionali dati ad esempio da ansia o depressione o per alleviare lo stress.

Fin dall’infanzia, il cibo viene associato a forme di premio, si apprende quindi ad utilizzarlo per scopi anche diversi rispetto alla mera soppressione della fame, il cibo cosi assume una componente simbolica, ad esso sono associate diverse emozioni. Questo modus operandi risulta però disfunzionale, poiché può comportare un eccesso di introito calorico con conseguenza dell’aumento del peso ponderale comportando difficoltà alla persona che ne soffre anche sul piano sociale, relazionale e spesso anche lavorativo.

Gli stili alimentari delle persone obese, possono essere visti lungo un continuum che parte da condotte non patologiche, fino a veri e propri disturbi alimentari. Tra le condotte alimentari non patologiche che comportano e che mantengono lo stato di obesità troviamo:

  • Grazing: ovvero una masticazione continua, dovuta ad una serie di spuntini a base di cibi grassi e dolciumi. Tra i vari alimenti assunti in questa condotta alimentare troviamo ad esempio molti snack calorici che vengono esposti in vista nei vari supermercati. I dolciumi hanno effetto di sollievo su stress ed umore negativo.
  • Iperfagia prandiale: consiste in un’alimentazione eccessiva, a pasto o fuori pasto, in maniera consapevole, e ciò la distingue dalle abbuffate patologiche di cui parlerò in seguito.
  • Salto dei pasti: è una condotta utilizzata occasionalmente dalle persone obese, che tentano di controllare il peso, che però non risulta funzionale, in quanto fa giungere al pasto successivo con ancora più fame, introducendo così calorie in eccesso. (Badussi, et al., 2011).

Per quanto riguarda invece una condotta alimentare patologica in cui l’obesità molto spesso può presentarsi come conseguenza, è quella delle abbuffate, caratteristiche del Binge Eating Disorder (disturbo da alimentazione incontrollata). Il BED rientra tra i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, categoria presente nel DSM-5. Gli episodi di abbuffata consistono in un’ingestione di cibo smisurata, che avviene in solitudine e sono seguite da forte senso di colpa, imbarazzo e forte perplessità sul mutamento del proprio fisico da parte della persona. (American Psychiatric Association (2013).

Queste sono modalità di consumare alimenti che possono comportare obesità, in particolare se la persona non svolge attività fisica, che consente di consumare calorie ed è geneticamente predisposto all’obesità, questa infatti ha un’importante componente ereditaria. Le ricerche riportano infatti come i fattori genetici siano responsabili in almeno il 70% dei casi (Molinari & Castelnuovo, 2011).

Perché si può essere propensi a mangiare tanto?

Il cibo ha importanti effetti neurobiologici. In particolare, lo “junk food” (cibo spazzatura) stimolerebbe il sistema di ricompensa nel nostro cervello, provocando sensazione di benessere esattamente come succede con l’assunzione di alcune sostanze stupefacenti. Il cibo spazzatura, ovvero tutto quel cibo ad alto contenuto calorico, attivando il sistema di ricompensa fa sì che venga rilasciato il neurotrasmettitore dopamina che consente di provare piacere. Il cibo spazzatura, provocando un rilascio notevole di dopamina rispetto ad alimenti maggiormente salutari e con ridotto contenuto calorico fa sì che il nostro cervello percepisca uno squilibrio e ne rimuova i recettori per riportare l’omeostasi. La persona per provare il medesimo livello di piacere, dovrà necessariamente mangiare maggiori quantitativi di cibi calorici, la conseguenza di questo comportamento sarà quindi, in chi è predisposto, l’aumento di peso (Gunnars, 2019).

Il cibo può diventare una strategia di coping disfunzionale per sopperire alcuni stati emotivi negativi come potrebbero essere ansia, depressione e stress.

Il ruolo dello psicologo nel trattamento dell’obesità

Secondo le ricerche, più del 90% delle persone in sovrappeso finisce per autocommiserarsi perché non riesce a mantenere il peso perduto a seguito di una dieta: dopo un iniziale entusiastico successo, il peso perduto viene recuperato, esponendo la persona a vivere questa situazione come un fallimento personale. Le diete, in particolare, espongono al rischio di quella che viene definita “sindrome dello yo-yo” ovvero fasi alterne di aumento e perdita di peso. Regimi alimentari eccessivamente restrittivi inducono ad un circolo vizioso: da un’eccessiva restrizione alimentare, si passa inevitabilmente ad una perdita di controllo sull’alimentazione. Questo genera senso di colpa e frustrazione nella persona che ritenterà di fronteggiare il problema ripetendo la restrizione alimentare. Da questo si evince come mente e corpo non sono entità separate e vi è necessità di intervenite su entrambi i fronti per risolvere questa problematica. (Alleri, Ruocco, 2017).

Le linee guida riportano come sia fondamentale un trattamento di tipo multidisciplinare per il trattamento dell’obesità che coinvolga diverse figure professionali, tra cui lo psicologo. Tuttavia, i tentavi di cura dell’obesità risentono ancora di una notevole impronta di tipo medico/chirurgica ed il ruolo dello psicologo resta mal definito in quest’ambito. Il lavoro dello psicologo viene limitato in particolare nella fase di valutazione, come avviene ad esempio nella fase pre operatoria per i pazienti candidati alla chirurgia bariatrica. I dati in letteratura riportano inoltre come siano coinvolti importanti processi cognitivi che influenzano la perdita dipeso ed il suo mantenimento, tali processi influenzano in particolare la capacità di mantenere uno stile di vita attivo ed un’alimentazione caratterizzata da alimenti salutari. Si evince come fare leva solo sulla forza di volontà della persona, nel processo della perdita di peso non risulta sufficiente e può condurla a stati di profondo malessere emotivo. Risulta quindi riduttivo la sola educazione alimentare per promuove l’importanza di un’alimentazione sana o la sola motivazione a svolgere attività fisica quotidiana, vi è necessita quindi di integrare l’intervento con la psicoterapia per poter gestire al meglio e sul lungo termine, questa problematica (Calugo et al., 2020).

Una risposta ci viene data dalla CBT

I trattamenti tradizionali per la cura dell’obesità, risultano unicamente focalizzati sul tentativo di controllo dei fattori biologici e tralasciano invece i fattori psicologici che vi sono coinvolti e che ostacolano il mantenimento della perdita di peso a lungo termine. Il trattamento rivolto all’obesità dovrebbe invece integrare attività fisica, correzione alimentare e intervento psicoterapico. La CBT-O è la psicoterapia cognitivo comportamentale specifica per il trattamento dell’obesità e prevede un intervento integrato da parte di un’equipe multidisciplinare.

Le ricerche in particolare dimostrano come pazienti obesi sottoposti alla CBT-O in trattamento residenziale, hanno raggiunto una perdita di peso del 15% dopo 12 mesi senza tendenza a riprendere peso a distanza di 6-12 mesi. Riportando quindi come sia fondamentale lavorare su tutti i fattori che sono implicati in questa particolare condizione (Dalle Grave et al., 2020).

Attraverso la CBT-O si incoraggia il paziente a diventare attore attivo del proprio processo di cura e oltre. L’intervento va oltre alla correzione alimentare, andando a modificare i processi cognitivi e gli stati emotivi del paziente che ostacolano la perdita di peso ed il mantenimento del dimagrimento, con l’obiettivo di dare dei benefici a lungo termine alla persona. Questa psicoterapia si distingue da altri trattamenti perchè sposta l’enfasi dall’aspetto fisico all’importanza della salute fisica, raggiungibile solo con uno stile di vita salutare ed inoltre il focus dell’intervento non è solo sulla modificazione del peso, che è soggetto, come detto in precedenza, anche a variabili biologiche e quindi non controllabili, ma allo stile di vita. La CBT-O si svolge mediante moduli specifici, gestiti da un’equipe multidisciplinare composta da medico, dietista, psicologo e fisioterapisa. Il paziente viene inizialmente educato a monitorare la propria alimentazione e le variazioni di peso, a seguire verrà modificata la sua alimentazione e imparerà a gestirla autonomamente, verrà sostenuto ad intraprendere uno stile di vita attivo. La CBT-O si prefigge inoltre di sostenere il paziente ad affrontare gli ostacoli alla perdita di peso o eventuale insoddisfazione per i risultati ottenuti, fattori che possono riportare la persona ad uno stato di malessere. La terapia ha lo scopo di far giungere il paziente alla fase di mantenimento del peso perso con uno stato mentale di soddisfazione tale che gli consentirà di mantenere i risultati raggiunti.

Questo intervento si differenzia dai metodi prescrittivi classici che vedono la persona impegnarsi in attività fisica e diete mettendo in campo la sola forza di volontà. I metodi prescrittivi, inoltre, vengono molto spesso percepiti dalla persona come coercitivi, vissuti in maniera non positiva non consentendo di ottenere così risultati duraturi (Dalle Grave, n.d.).

In conclusione

Le difficoltà sul piano psicologico per la persona che soffre di obesità, emergono in particolare quando vi è il confronto con i canoni estetici della società occidentale, in cui vi è l’esaltazione del fisico perfetto che rientra nei criteri della magrezza. La società moderna propone inoltre alimenti ad alto contenuto calorico e di facile e veloce reperibilità da un lato e l’esaltazione di un fisico perfetto dall’altra. Due poli opposti che possono facilmente entrare in contrasto e generare malessere.

L’insoddisfazione corporea porta spesso ad attuare dei regimi alimentari ristretti, che molto spesso falliscono nel loro scopo, riportando la persona al peso iniziale con l’aggiunta degli interessi (Zucchetti e Cipriano, 2017).

L’intervento sul piano psicologico deve porre attenzione anche al fatto che la persona possa aver subito dei traumi legati allo stigma sociale o che possa aver sperimentato numerosi fallimenti legati alle diete, come solitamente avviene. La psicoterapia risulta quindi un metodo fondamentale per il trattamento dell’obesità (Cuppini, Matteini, 2005).

Un tema ancora aperto su cui riflettere è quello della rivalutazione dell’obesità all’interno del DSM: al momento questa condizione non rientra come categoria diagnostica a sé stante ma può tuttavia presentarsi con preoccupazione e non accettazione del proprio aspetto fisico, generando uno stato di profondo malessere che merita maggiore attenzione (OPL, 2017).

 


 

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Alleri, P., Ruocco, R. (2017). Il “peso” delle emozioni. Conoscere, affrontare e vincere l’obesità.
  • American Psychiatric Association (2013). DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tr. It Raffaello Cortina, Milano, 2014.
  • Baldussi, L., Bogliolo, C., Dalle Grave, R., Della Porta, P., Di Cosmo, C., Gremini, P., Marsero, S., Marucci, S., Sommaruga, M. (2011). Il problema obesità. Manuale per tutti i professionisti della salute. Santarcangelo di romagna: Maggioli editore.
  • Calugi, S., Sermatteri, S., Sartirana, M., Camporese, L., Filardo, D., Campagna, S., Banderali, A., Massa, M., Iarrera, F., Dalle Grave, R. (2020, 31 gennaio). Il ruolo dello psicologo nella gestione dell’obesità: Position Paper di AIDAP. Italian Journal of Eating Disorders and Obesity, 2, 1-4.
  • Ciangura, C., Czernichow, S., Oppert, J. M. (2009). EMC-AKOS-Trattato di Medicina, 4, 1-9.
  • Cuppini, A., & Matteini, P. (2005). Obesità e Sindrome Metabolica: considerazioni cliniche e terapeutiche. Monaldi Archives for Chest Disease, 64, 45-49.
  • Dalle Grave, R., (n.d.). Terapia cognitivo comportamentale dell’obesità.
  • Dalle Grave, R., Sartirana, M., Calugi., S. (2020, 9 marzo). Personalized cognitive-behavioural therapy for obesity (CBT-OB): theory, strategies and procedures. BioPsychoSocial Medicine, 14, 1-8. .
  • Gunnars, K. (2019). How food addiction works (and what to do about it). Healthline.
  • Molinari, E., Castelnuovo, G. (a cura di) (2011). Clinica psicologica dell’obesità. Esperienze cliniche e di ricerca. Milano: springer-verlag italia srl.
  • Molinari, E., Riva, G. (2004). Psicologia clinica dell’obesità. Ricerche e interventi. Torino: Bollati Boringhieri Editore.
  • Ordine Psicologi Lazio (2017). Il ruolo della psicologia prima e dopo la chirurgia bariatrica.
  • Società italiana di Chirugia dell’Obesità e delle Malattie Metaboliche [SICOB], 2011. Suggerimenti per la valutazione psicologico-psichiatrica del paziente obeso candidato alla chirurgia bariatrica.
  • Zucchetti, A., Cipriano, G. (2017). L’immagine corporea nell’obesità e l’insoddisfazione per il corpo. State of Mind.
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