Il presente articolo è finalizzato ad individuare, dopo un breve inquadramento diagnostico dei disturbi dell’umore, le caratteristiche della depressione postnatale, quale fenomeno che si presenta in una specifica fase della vita di una donna.
Manuela Tedeschi e Giorgia Cipriano – OPEN SCHOOL, Psicoterapia Cognitva e Ricerca Milano
Nell’ambito della depressione post-partum, sono infatti presenti un’ampia gamma di sintomatologie sia di natura cognitiva ed emotiva, che neurovegetative di tipo più lieve. Le relative terapie si pongono in un ambito sia di stampo psicoterapeutico che farmacologico. Di seguito verrà approfondita la terapia cognitivo-comportamentale, prendendo in considerazione l’ambiente ecologico della persona, data la rilevanza delle componenti esterne come elemento di condizionamento di tale patologia. Trattandosi di una patologia correlata a molti fenomeni propri della nostra epoca, lo studio della depressione, ed in particolare di specifiche transizioni critiche come la gravidanza, è materia di crescente interesse.
I disturbi dell’umore: breve introduzione e definizione
La depressione è una patologia dell’umore, caratterizzata da fattori biologici, sociali, emotivi e psicologici che emergono nelle esperienze personali di vita fino alla compromissione di tutte le funzioni vitali e di relazione. La depressione è caratterizzata da un profondo doloroso scoramento, da un venir meno dell’interesse per il mondo esterno, dalla perdita della capacità di amare, dall’inibizione di fronte a qualsiasi attività e da un avvilimento del sentimento di sé che si esprime in auto-rimproveri e auto-ingiurie, culminanti nell’attesa dolorante di una punizione (S. Freud, 1980). L’esistenza del depresso è affiancata da correlati fisici oltre che cognitivi, quali: stanchezza e scarsa energia, problemi di insonnia, apatia, tristezza, mancanza di appetito o in caso contrario un notevole aumento di appetito, rallentamento psicomotorio oppure agitazione psicomotoria.
Questa situazione fu rappresentata da Eugenio Montale come “Il male di vivere”, laddove si percepisce che niente è come si vorrebbe, non c’è soluzione a questo dolore presente e non si riesce a dare un significato alla propria esistenza.
Ciò che differenzia questa patologia dalla normale sensazione di tristezza, che la maggior parte delle persone prova in qualche momento della vita, sono l’intensità e la durata dei sintomi correlata ad una modificata percezione del mondo e della propria esistenza, che porta ad un’incapacità di sostenere le relazioni sociali e le attività quotidiane.
Ippocrate, con la teoria umorale, fu il primo medico a concepire la depressione come una malattia, descrivendola come un’alterazione della bile nera, uno dei quattro umori corporali (bile nera, bile gialla, flegma e sangue). In passato la depressione ebbe una “interpretazione prevalentemente organica con relative prescrizioni dietetiche e un’interpretazione demoniaca”, seguita da interpretazioni diagnostiche di stampo psicodinamico dal 1500 sino al 1952, anno della pubblicazione del manuale nosografico per i disturbi mentali (Diagnostic and Statistical Manual of MentalDisorders- DSM-I) dell’Associazione statunitense degli Psichiatri.
Nell’ultima edizione di tale manuale (DSM-5), la caratteristica comune della depressione è la presenza di umore triste, vuoto o irritabile, accompagnato da modificazioni somatiche e cognitive che incidono in modo significativo sulla capacità di funzionamento dell’individuo (American Psychiatric Association, 2013).
I criteri diagnostici comprendono 5 (o più) dei seguenti sintomi durante un periodo di due settimane:
- almeno uno dei sintomi è umore depresso e/o perdita di interesse o piacere;
- significativa perdita di peso o aumento di peso (oppure diminuzione/aumento dell’appetito);
- insonnia o iperinsonnia;
- agitazione o rallentamento psicomotorio;
- faticabilità o mancanza di energia;
- sentimenti di autosvalutazione, di colpa eccessivi o inappropriati;
- ridotta capacità di pensare, di concentrarsi o indecisione;
- pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, tentativo di suicidio o un piano specifico per commettere suicidio.
Specifiche transizioni critiche: la depressione in gravidanza
Come la depressione può essere connotata come il “male di vivere”, così anche la depressione postnatale si declina in un vissuto emotivo che crea sofferenza, con caratteristiche simili al disturbo dell’umore, ma che spesso passa come invisibile agli occhi degli altri.
Da fuori, guardando dentro
Vedi un sorriso, e tutto va bene
Però se osservi un po’ più da vicino
Scopri il dolore in cui vivo.
[…]
Perché avete così paura di sentire
La verità che si cela dietro al mio sorriso?
Ho bisogno che capiate
Che mi ascoltiate un attimo. (Sherri Hardy, 1996)
Sherri Hardy, l’autrice della poesia ci mostra come poter comprendere la depressione postnatale da un punto di vista di una madre che ha sofferto di questo male invisibile e che spesso non viene visto.
La gravidanza rappresenta un cambiamento unico nella vita di una donna. I profondi cambiamenti biologici, intrapsichici e relazionali che caratterizzano la gravidanza, il parto e i mesi immediatamente successivi alla nascita del bambino possono mettere alla prova l’equilibrio e il benessere della donna, chiamata a ridefinire la propria identità anche attraverso il completamento di un processo di separazione e individuazione della propria madre, iniziato durante l’infanzia e mai completamente concluso (Saita, 2010). Questa transizione critica può scatenare una serie di disturbi dell’umore.
La depressione post-partum costituisce un problema di grande rilievo sociale, difatti circa il 15% delle madri presenta sintomi riconducibili a un disturbo depressivo maggiorenei mesi successivi al parto. Durante la gravidanza e nei primi mesi successivi alla nascita del bambino sono frequenti le reazioni emotive di carattere depressivo, che possono andare dalla semplice disforia post-partum o maternity blues fino alle vere e proprie depressioni post-partum.
Il maternity blues rappresenta una condizione di accentuata vulnerabilità che la madre può avvertire nei giorni immediatamente successivi al parto e che tende a risolversi spontaneamente nell’arco di 7-10 giorni. Si tratta di una forma lieve e transitoria di ipersensibilità, ma estremamente diffusa: infatti l’80% delle donne mostra una certa instabilità emotiva nelle prime due settimane dopo il parto. Fragilità emotiva, facilità al pianto, oscillazione del tono dell’umore ed iper-reattività agli stimoli ne costituiscono i sintomi caratteristici (Saita, 2010). Questa condizione transitoria che fa riferimento allo stato di malinconia (“blues”) è dovuta ad una combinazione tra il cambiamento nei livelli ormonali, l’esaurimento fisico mentale ed emotivo, nonché alla privazione del sonno tipica della genitorialità di un neonato. Secondo alcuni autori, forme gravi di maternity blues costituirebbero un fattore di rischio per l’insorgenza della depressione post-partum (Beck, 1996).
La psicosi puerperale è un fenomeno più raro (ne soffrono 1-2 donne su 1000) e si presenta in una manifestazione decisamente più grave rispetto alla lieve forma della maternity blues, in quanto la prima ha un esordio più acuto, che si manifesta solitamente nei primi 15 giorni dopo il parto, esibendo una sintomatologia di tipo psicotico. Gli episodi infatti tendono a presentare una certa gravità: compaiono confusione mentale, incoerenza ed elementi deliranti collegati alla maternità. Da una parte le madri tendono a manifestare sul versante depressivo senso di colpa e inadeguatezza nei confronti del proprio ruolo, mentre su quello espansivo vi è un’attribuzione grandiosa della maternità (Saita, 2010).
La depressione post-partum (PPD o postnatale) si colloca nel mezzo, in quanto a gravità, tra il maternity blues e la psicosi puerperale. La depressione post-partum si può anche presentare in forme più lievi (depressione minore) tra le quali si ritrovano un esaurimento fisico, irritabilità, diminuzione dell’appetito, riduzione del desiderio sessuale, insonnia, sintomi somatici di varia natura (3-6 mesi dopo il parto); oppure in forme più severe che, presentando una sintomatologia più persistente, può essere associata a confusione e avere un esordio acuto (Saita, 2010).
Circa il 10/20% delle donne si ammala di depressione post-partum. Questa condizione può manifestarsi durante la gravidanza o nelle settimane successive al parto e comporta un vissuto personale caratterizzato da: sentimenti di tristezza, ansia e/o colpa; senso di inutilità; pensieri sul suicidio e sulla morte; difficoltà di concentrazione e nel prendere le decisioni; sintomi neurovegetativi come disturbi del sonno e dell’appetito; mancanza di interessi e di energia (Milgrom, 1999).
Vi sono una molteplicità di fattori che concorrono nell’insorgenza di tale disturbo:
- privazione del sonno ed esaurimento fisico ed emotivo;
- fattori biologici e ormonali dovuti ad un calo dei livelli di estrogeni e progesterone;
- fattori cognitivi come l’auto-svalutazione, il senso di delusione e di insoddisfazione;
- ed infine psicosociali, come la giovane età, il basso status socioeconomico oppure eventi di vita stressanti.
Per quando riguarda i fattori di rischio psicosociali vi sono differenti variabili che incidono sull’insorgenza di questa patologia: il cambiamento del ruolo della donna nella sfera sociale, problemi di coppia, sostegno sociale inadeguato, fattori di personalità, locus of control esterno e pensiero negativo disfunzionale, umore durante la gravidanza tendente all’ansia, all’ostilità e/o alla depressione, storia personale di depressione, temperamento del bambino, esperienze infantili ed aspettative sociali rispetto alle gioie della maternità.
Il ruolo del marito in questo momento è cruciale, poiché consiste nel fornire un supporto emotivo e una base di sicurezza alla moglie, aiutandola a superare le difficoltà che si presentano. Questo supporto fornito dal marito protegge la moglie dal rischio di sviluppare una sintomatologia depressiva.
La gravidanza rappresenta un periodo di profondi cambiamenti per la donna, non solo a livello fisico ma anche psicologico: alcune donne hanno difficoltà ad accettare lo stato sperimentando sentimenti contrastanti di felicità e paura, di preoccupazione per ciò che le attende. Queste reazioni sono piuttosto diffuse e condivise, ma non sono sempre espresse dalla futura madre nel timore di sentirsi diversa e considerata inadeguata per il suo ruolo futuro (Milgrom, 1999).
Entrano quindi in gioco fattori cognitivi.
Tra i pensieri irrazionali più tipici che caratterizzano questa fase di vita, ritroviamo il sentirsi inadeguata nella cura del bambino, pensare di essere mogli e madri incapaci, non riuscire a provare emozioni verso il bambino, ed infine credere di non essere in grado di concentrarsi sulle cose quotidiane che hanno a che fare con l’interazione madre-bambino (riconoscimento dei bisogni reciproci, sintonia emotiva, semplice cura dei genitori).
Olioff (1991) ha identificato tre temi cognitivi specifici delle donne che soffrono di depressione postnatale, che le differenziano dalla depressione che colpisce le donne in altre fasi della vita: in primo luogo la percezione di autoefficacia come madre, secondariamente l’autovalutazione delle proprie capacità materne, ed infine la vulnerabilità percepita del bambino.
Questo autore identificò tre differenti tipologie di depressione postnatale:
- con presenza di contenuti cognitivi depressivi,
- con presenza di schemi di pensiero distorti inerenti la maternità,
- con presenza di ricorrenti episodi depressivi.
La depressione post-partum sembra quindi essere più debilitante della depressione che colpisce le donne in altre fasi della vita e durare di più, infatti circa il 50% delle madri sperimentano questa condizione sintomatica fino ai 2 anni del bambino (Dennerstein, 1986). Inoltre, chi soffre della depressione post-partum ha il doppio delle probabilità di sperimentare depressione nei cinque anni successivi (Cooper, 1995).
Trattamento con la terapia cognitivo – comportamentale
La psicoterapia ha come scopo principale il cambiamento: vuole fornire al paziente una diversa percezione degli eventi e la possibilità di ricollocarli in un’altra posizione, per avere una visuale diversa che comporta nuove opportunità.
La terapia cognitivo- comportamentale (CBT) è uno degli approcci più moderni delle psicoterapie, che tratta in particolare i disturbi d’ansia e i disturbi dell’umore. Dalle ricerche di Hollon et al. (2002) risulta che questo trattamento sia particolarmente efficace.
Nell’ottica di Aaron Beck, considerato il fondatore degli approcci cognitivisti classici, questa terapia è atta a modificare le modalità disadattive del pensiero. Il terapeuta cerca di aiutare il paziente depresso a cambiare le proprie opinioni riguardo a sé stesso e agli eventi che accadono, modificando le proprie aspettative, valutando la ragionevolezza dei propri pensieri automatici e sostituendoli con una più sensata interpretazione degli eventi. Il terapeuta istruisce il paziente ad individuare schemi di pensiero negativi che contribuiscono a perpetuare il suo stato di depressione (Kring, 2007).
Questo approccio si pone in modo direttivo nei confronti della persona, esso tenta di far individuare al paziente i suoi pensieri distorti, le emozioni disfunzionali ei comportamenti disadattivi, in modo tale da riuscire a prendere coscienza di questi fattori che determinano l’insorgenza di stati emotivi disturbanti, insegnando loro specifiche abilità per far fronte a situazioni stressanti (coping).
Le tecniche cognitive che funzionano anche per la depressione post-partum comprendono la ristrutturazione cognitiva, le procedure di autocontrollo e modalità per contrastare le distorsioni cognitive, aiutando a riconoscere il legame tra pensieri, sentimenti e comportamenti.
Secondo la teoria comportamentale, la depressione in generale è causata da un numero insufficiente di esperienze positive o fonti di rinforzo che la persona ha a disposizione. Perciò, facendo riferimento a queste teorie, vengono introdotte le seguenti tecniche per far fronte alla depressione post-partum:
- aumentare la frequenza delle attività piacevoli e ridurre il numero degli eventi spiacevoli;
- training per l’acquisizione delle abilità sociali, le quali influenzano l’umore;
- incrementare le abilità di autocontrollo in quanto vi sono delle carenze nelle capacità di automonitoraggio, autovalutazione e autorinforzo;
- potenziare abilità di problem-solving, le quali sembrano modificare la relazione tra stress e depressione;
- ed infine sviluppare abilità di rilassamento, utili per gestire l’ansia, l’agitazione psicomotoria e l’insonnia (Milgrom, 1999).
Per quanto riguarda il trattamento farmacologico con antidepressivi, si evidenzia un’efficacia nell’intervento sulla depressione. Tuttavia, a proposito dell’assunzione di farmaci durante la gravidanza o nel periodo dell’allattamento, le madri sembrano abbastanza restie ad assumere queste sostanze per quanto concerne l’effetto che i farmaci possono avere sul loro bambino se allattano al seno. In conclusione, il trattamento cognitivo-comportamentale sembra quindi essere una migliore alternativa e più accettata terapia rispetto a quella farmacologica (Milgrom, 1999).
Una donna che soffre di depressione post-partum ha bisogno di riguadagnare fiducia nelle sue capacità di madre, a volte deve lavorare per ricostruire il suo rapporto con il figlio. Dovrebbe sempre essere accolta, ascoltata, sostenuta e liberata da sentimenti di colpa e vergogna che questa sofferenza le ha causato, minando profondamente la sua autostima e l’immagine di sé stessa come donna e come madre.