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Il colloquio motivazionale in psicoterapia: spingere il paziente al cambiamento – Report dal webinar organizzato da CIP Modena

CIP Modena mostra l'utilità del colloquio motivazionale, strumento per chi presenta alcune difficoltà nel modificare i propri comportamenti disfunzionali

Di Lia Cirillo, Gianluca De Angelis

Pubblicato il 09 Mar. 2021

Aggiornato il 13 Mag. 2022 15:20

Il colloquio motivazionale (CM), è particolarmente utile per facilitare il processo di cambiamento, proponendosi come una valida soluzione quei pazienti che mostrano una resistenza al cambiamento.

 

Spesso, durante il corso della terapia, potrebbe accadere che alcuni pazienti, pur essendo pienamente consapevoli dei propri comportamenti disfunzionali che generano sofferenza, insoddisfazione e che hanno conseguenze negative, perseverino e non sembrino intenzionati a modificarli in alcun modo. Tali pazienti danno l’impressione di essere intrappolati in una condizione di “stallo”, ancorati allo stesso punto della terapia poiché il loro “blocco” è indice di una resistenza al cambiamento. Il colloquio motivazionale (CM), è particolarmente utile per facilitare il processo di cambiamento, proponendosi come una valida soluzione per questa tipologia di pazienti.

Cos’è il CM?

Esso è stato descritto per la prima volta da Miller e colleghi (1983) ed inizialmente impiegato nel trattamento di pazienti con dipendenza da alcol e, successivamente, esteso all’ambito delle tossicodipendenze, dei disturbi alimentari e delle malattie croniche. Il CM viene definito dallo stesso autore come:

uno stile di comunicazione collaborativo e orientato che presta particolare al linguaggio del cambiamento, progettato per rafforzare la motivazione personale e l’impegno verso un obiettivo specifico, attraverso la facilitazione e l’esplorazione delle ragioni proprie della persona per cambiare, il tutto in un’atmosfera di aiuto e accettazione.

Il primo degli aspetti importanti del CM è che esso presuppone una relazione collaborativa tra professionista e cliente, infatti, quest’ultimo è attivamente coinvolto nel processo modificazione del comportamento. Dunque, l’obiettivo del CM non è né imporre il cambiamento né convincere il paziente ad attuare una modifica dei propri comportamenti disfunzionali, ma far sì che sia egli stesso consapevole dei motivi per cui valga la pena cambiare. In poche parole, la scelta di raggiungere un determinato obiettivo rimane sempre una responsabilità della persona (Miller & Rollnick, 2004).

Del tutto normale nel processo di cambiamento è la condizione di ambivalenza, una situazione che può permanere per un periodo di tempo in cui il soggetto pondera i costi e i benefici (bilancia decisionale) rispetto alla possibilità di cambiare e percepisce un conflitto (frattura interiore). Dinnanzi ad una persona ambivalente, uno stile troppo direttivo del terapeuta nel sottolineare la necessità di cambiare, rischia di attivare resistenze.

Quali sono le tecniche di base del CM?

Per gestire con competenza un CM, il clinico può ricorrere a quattro tecniche fondamentali:

1. Porre domande aperte: sono domande che non prevedendo una risposta dicotomica (“si” o “no”) e che permettono di comprendere motivazioni, stati interni e valori della persona e migliorare la collaborazione; le domande aperte invitano le persone a riflettere prima di rispondere e ad ampliare i confini della risposta, mentre le domande chiuse riducono la possibilità di risposta e, quindi, anche la possibilità di comprendere il paziente. Esempi di domande aperte sono: «Cosa l’ha portata qui oggi?»; «In che modo questo problema influenza la sua quotidianità?»; «Come spera che questo percorso la possa aiutare? Cosa sta cercando nell’aderire a questo trattamento?»; «A fine terapia come vorrebbe reagire alle stesse situazioni (emotivamente e nel comportamento)?».

2. Ascoltare in modo attivo e riflessivo: è una competenza indispensabile del terapeuta ascoltare attivamente quello che il cliente riferisce. Ciò si rivela essere un’ottima opportunità per raccogliere informazioni preziose circa la storia di vita della persona, il proprio parere, per approfondire la comprensione dei suoi bisogni, e per capire il motivo alla base della sua richiesta terapeutica. Si riporta un breve esempio di conversazione tra clinico e paziente:

«ho perso il controllo, mi sono arrabbiata e ho lanciato degli oggetti addosso al mio compagno, non so cosa mi sta succedendo…»
«si sente agitata e confusa per quello cha ha fatto»
«sì, ho perso il controllo e non è la prima volta»
«quindi non è la prima volta che le capita di provare questa rabbia che le fa lanciare oggetti»
«esatto, quando mi lasciano sto malissimo…(piange)»
«sono emozioni intense e dolorose»
«sì, e mi fanno rovinare le relazioni e allontanare le persone»
«dunque, finora mi ha parlato di queste reazioni forti che non le piacciono, che la agitano e sconfortano e che ostacolano le sue relazioni. La ostacolano in qualche altro modo?»
«non dormo bene per giorni poi e tendo a ritirarmi e a lavorare meno, questo è un problema»
«la preoccupa il modo in cui si sente dopo queste reazioni e il modo in cui condizionano le sue giornate facendola ritirare e lavorare meno».

3. Sostenere il paziente tramite osservazioni di apprezzamento: consiste nel fare attenzione alle risorse, ai progressi positivi, alle intenzioni e agli sforzi del cliente, usando, espressioni quali «in questa settimana si è impegnato a fondo»; «le sue intenzioni erano buone anche se poi le cose non sono andate come avrebbe voluto»; «si sente triste per non essere riuscito a sospendere del tutto il suo rimuginio in quella situazione, tuttavia è riuscito a posticiparlo di qualche ora, questo è un notevole progresso»; «conoscendo la sua storia, mi sembra che lei abbia fatto tutto ciò che poteva per far fronte a quegli stati d’animo così dolorosi».

4. Fare una sintesi: un riassunto riunisce le informazioni offerte dal paziente e può essere di riordino, di collegamento o di transizione. Il paziente non solo ascolta sé stesso mentre descrive la sua esperienza ma ascolta anche il terapeuta riflettere e riassumere ciò che ha detto per incoraggiarlo a proseguire. Ecco alcuni esempi esplicativi: «quindi le cose che lei sente necessario modificare sono la sua eccessiva attenzione ai suoi sintomi corporei, la sua eccessiva preoccupazione sul suo stato di salute e l’eccessivo uso di internet per verificare il suo stato di salute. Cos’altro le viene in mente che in questo momento ritiene essere d’ostacolo per la sua quotidianità?»; «si è sentito deluso e poco rispettato in quella situazione. Ricordo che mi ha già detto che quando qualcuno la ignora come in questo caso lei si arrabbia molto»; «bene, si ricorda che le ho detto che oggi, prima della fine del nostro incontro, avremmo deciso insieme quale situazione, nella piramide delle situazioni che lei evita, sarà l’oggetto della sua attenzione e dei suoi tentativi questa settimana. Ma prima di questo mi permetta di verificare se ho capito bene quali sono le esperienze che al momento lei evita, dalla meno spaventosa alla più spaventosa: camminare da solo in strada, salire su un autobus, salire sulla metropolitana, andare al cinema…».

Quali sono i processi del CM?

All’interno della terza edizione del manuale di Miller e Rollnick (2004), vengono delineati i quattro processi che compongono il CM. Essi sono sia sequenziali sia ricorrenti: ogni processo si sovrappone al precedente, che continua a sussistere in quanto fondamento del seguente. Nel corso del colloquio o del trattamento, si può salire o scendere la scala, tornando al gradino precedente quando è necessario porvi nuovamente attenzione. Gli autori sottolineano che il processo decisionale non va inteso come una sequenza stadiale, poiché spesso ha un andamento più circolare che lineare (Miller & Rollnick, 2004)

Inoltre, i processi non necessariamente si verificano secondo l’ordine con cui verranno descritti:

1. Stabilire una relazione: è il processo con cui entrambe le parti stabiliscono una connessione utile (di fiducia e rispetto reciproci) e una relazione collaborativa. La letteratura scientifica mostra come le persone che vengono coinvolte attivamente hanno più probabilità di rimanere, aderire e beneficiare del trattamento psicoterapico (Horvath, Del Re, Flückiger, & Symonds, 2011; Martin, Garske, & Davis, 2000). A seguire verranno riportate le “trappole” che non permettono di attivare e mantenere un processo relazionale, collaborativo e di qualità con il cliente.

2. Focalizzare: è il processo con il quale si definisce e si mantiene col cliente una direzione specifica nelle conversazioni sul cambiamento, concordando con lui il tema del colloquio. Alcune volte c’è un singolo focus chiaro, altre volte ci sono diverse possibilità problematiche ed altre ancora può capitare che il focus sia piuttosto confuso. Qualora il focus non fosse chiaro si raccomanda di:

  • Elaborare una mappatura del percorso, ossia concordare in maniera esplicita il tema dei colloqui, anche con l’ausilio di una mappa visiva;
  • Scambiare informazioni (es. sul disturbo, sul «funzionamento del paziente) secondo lo schema suscita-fornisci-suscita che consiste nel chiedere alla persona se vuole ricevere informazioni o consigli, fornirgliele in caso di risposta affermativa e, infine, chiedergli un feedback sull’informazione richiesta.

3. Evocare: implica far emergere la motivazione al cambiamento del cliente; ha lo scopo di aiutare a risolvere l’ambivalenza nella direzione del cambiamento. Data la rilevanza di questa fase del processo del CM, essa verrà descritta di seguito in maniera più approfondita.

4. Pianificare: comprende sia lo sviluppo dell’impegno al cambiamento sia la formulazione di un piano d’azione concreto da parte del paziente.

Quali sono le trappole che non aiutano a stabilire una relazione?

Alcuni fattori, circostanze o comportamenti del clinico potrebbero ostacolare il consolidamento di una relazione collaborativa tra le due parti (Miller & Rollnick, 2004). Pertanto è necessario che il professionista vi presti attenzione al fine di non incappare in alcuni errori:

  1. Trappola domanda-risposta: lo schema domanda-risposta adottato intensivamente durante il primo contatto (fase di assessment) preclude la possibilità di favorire una discussione più ampia sui motivi e le sofferenze del cliente e, quindi, può portare quest’ultimo ad assumere un atteggiamento di passività e subordinazione;
  2. Trappola dell’esperto: il professionista assume il ruolo dell’esperto dando l’impressione di conoscere e di saper fornire tutte le risposte. In modo del tutto analogo alla “trappola domanda-risposta”, anche in questo caso c’è il rischio di relegare il paziente ad un ruolo secondario e di passivo distacco;
  3. Trappola della focalizzazione prematura: concentrarsi sul problema da risolvere prima di aver stabilito una relazione e, quindi, prima di aver dato inizio ad una collaborazione e aver concordato gli obiettivi del trattamento;
  4. Trappola dell’etichettatura: si raccomanda di de-enfatizzare il ruolo dell’etichettatura diagnostica (nei casi in cui il cliente viva tale etichetta come un ostacolo al cambiamento), ponendo maggiore attenzione al contenuto del problema del paziente, al funzionamento del paziente e agli ostacoli che incontra;
  5. Trappola delle chiacchiere: è rischioso non avere una direzione specifica o un obiettivo terapeutico condiviso. La condivisione del funzionamento del paziente con il paziente è fondamentale per non fare «quattro chiacchiere».

Come riconoscere le affermazioni orientate al cambiamento?

Esistono due tipologie di affermazioni orientate al cambiamento:

1. Affermazioni di preparazione orientate al cambiamento (DARN- Desire, Ability, Reasons, Need), ossia frasi pronunciate dal cliente che riflettono la sua intenzione ad attuare una modifica comportamentale. Esse indicano:

  • Desiderio (“voglio, mi piacerebbe, vorrei…”);
  • Capacità (posso, potrei, sono in grado, sarei in grado…);
  • Ragioni (se…allora);
  • Bisogno (ho bisogno, devo, è necessario…).

2. Affermazioni di attivazione orientate al cambiamento (CATs- Commitment, Activation, Taking steps) indicano che il cliente ha maturato la scelta di raggiungere un determinato cambiamento ed è pronto ad adottare strategie e comportamenti per ottenerlo. Le affermazioni di attivazione al cambiamento indicano:

  • Impegno (“lo farò, intendo farlo…”);
  • Mobilizzazione (“sono pronto a…, sono preparato a…”);
  • Fare passi avanti (“ho fatto…”).

Attraverso l’applicazione dei principi, delle tecniche e delle strategie del CM, definiti da Miller e Rollnick, il paziente dovrebbe essere sufficientemente motivato ad intraprendere un cambiamento e portarlo a compimento. Il metodo del CM e i suoi successivi sviluppi, dai primi anni Novanta ad oggi hanno reso questo strumento versatile e particolarmente utile nella pratica clinica.

 

IL COLLOQUIO MOTIVAZIONALE – Guarda il video integrale del webinar:

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Miller, W. R., & Rollnick, S. (2004). Il colloquio motivazionale. Preparare la persona al cambiamento, Erickson.
  • Horvath, A. O., Del Re, A. C., Flückiger, C., & Symonds, D. (2011). Alliance in individual psychotherapy. Psychotherapy, 48(1), 9.
  • Martin, D. J., Garske, J. P., & Davis, M. K. (2000). Relation of the therapeutic alliance with outcome and other variables: a meta-analytic review. Journal of consulting and clinical psychology, 68(3), 438.
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