L’appartenenza al gruppo permette al singolo di rispecchiarsi nelle persone che ne fanno parte. Il processo cognitivo che vi è alla base è l’identificazione, la persona si comprende cognitivamente membro di quel particolare insieme.
Non è tanto il tipo di persona che un uomo è, ma la situazione in cui si viene a trovare, che determina come si comporterà. (Stanley Milgram)
John Donne afferma «Nessun uomo è un’isola». L’uomo è calato in una interdipendenza necessaria verso gli altri essere umani, ha bisogno di interazioni sociali, di far parte di un gruppo relazionale. Quest’ultimo offre un’illusione di salvezza nei confronti della solitudine, della fragilità e dello smarrimento. Si può affermare che l’appartenenza al gruppo è una caratteristica intrinseca del genere umano (Brewer, 1997). Il gruppo fa da riferimento a un concetto chiave dell’individuo: l’identità sociale, quella parte del concetto di sé che deriva dalla consapevolezza di appartenere ad un insieme collettivo, unito al significato emotivo associato a tale adesione. Si attiva un processo di categorizzazione in un determinato gruppo in modo da definire la propria identità nella collettività o in un momento specifico. L’appartenenza al gruppo permette al singolo di rispecchiarsi nelle persone che ne fanno parte. Il processo cognitivo che vi è alla base è l’identificazione, la persona si comprende cognitivamente membro di quel particolare insieme. L’individuo si riconosce nelle persone del suo ingroup (assimilazione) e allo stesso tempo si distingue dalle persone che fanno parte dell’outgroup (differenziazione). Per natura, gli esseri umani si trovano a dover soddisfare questi due bisogni tra loro opposti (Brewer, 1991). Questa differenza tra ingroup e outgroup è data dal rapporto di metacontrasto (Turner, 1987) ovvero il rapporto tra le differenze medie intercategoriali e le differenze medie intracategoriali, più alto è questo rapporto e maggiore sarà l’adeguatezza dell’individuo con l’ingroup e la discrepanza con l’outgroup. Questa distinzione cambia a seconda dell’accessibilità di una determinata categoria che può riferirsi ad aspetti legati alle preferenze personali o a fattori di tipo contestuali. Secondo Tajfel (1981) è importante che le percezioni psicologiche degli individui siano sempre contestualizzate e cioè sempre considerate nella specifica situazione sociale in cui sorgono e si sviluppano.
La percezione dell’identità dell’individuo ovvero del proprio sé, della propria autostima dipende da quanto è giudicato positivamente o negativamente l’ingroup. Aspetto chiave che sottende questo processo è il confronto sociale, confronto che avviene con l’outgroup. Data la naturale predisposizione degli individui a ricercare un’immagine di sé positiva, il successivo processo al confronto sociale sfocerà in una valutazione più positiva per l’ingroup piuttosto che per l’outgroup (Voci, 2003). Si è motivati a migliorare l’immagine e lo status del gruppo di appartenenza nei confronti degli altri, in quanto ciò si riflette su di noi.
Nelle singole persone che si ritrovano nel gruppo si consolida un senso di appartenenza, data dall’attrazione reciproca, coesione che è il risultato stesso dell’appartenenza allo stesso gruppo. L’individuo è depersonalizzato in quanto non percepisce più sé stesso come singola unità ma come un tutt’uno con l’ingroup. Turner et al. (1984) considerano questo fenomeno come positivo in relazione all’assimilazione al gruppo, ma va distinto dalla deindividuazione e dalla deumanizzazione. Quest’ultima relega in una sfera sub-umana l’individuo (dell’outgroup), ridotto al rango di oggetto o di essere inferiore. Sparisce l’empatia e il senso di colpa, per far posto ad esecuzioni caratterizzate da atti di violenza nei confronti della “vittima”. Troviamo la deindividuazione per la prima volta nella teoria di Gustave Le Bon (1895), il quale sostenne che la folla tende a far perdere l’identità personale, la consapevolezza, il senso di responsabilità, arrivando ad alimentare anche la comparsa di impulsi antisociali. La condotta viene dettata dall’ambiente e dalle situazioni. L’individuo non è più responsabile delle sue azioni, concetto che verrà ripreso da Philip G. Zimbardo (1970-2007) con l’esperimento carcerario di Stanford. Qui emerge il processo psicologico della diffusione di responsabilità (Bandura et al., 1996; Caprara et al., 1996) ovvero quando in uno stato d’emergenza o in una situazione estrema la responsabilità viene divisa tra i partecipanti e di conseguenza, percepita come non appartenente a nessuno, producendo indifferenza. In queste dinamiche psicologiche di gruppo prevale una compromissione dell’azione morale identificata da Alber Bandura nel disimpegno morale. Questi meccanismi inibiscono la censura interna nell’eseguire azioni amorali, liberando l’individuo da sentimenti di autocondanna che sarebbero lesivi per l’autostima, così da mantenere intatta l’immagine di sé. Il comportamento delle persone nel gruppo è affascinante ma allo stesso tempo temibile: produce un’influenza sociale che porta alla modificazione di atteggiamenti, giudizi e condotte degli stessi individui che lo compongono. Influenza che va distinta in influenza informativa e normativa (Deutsch & Gerard, 1955). La prima si riferisce a quando un individuo, trovandosi in situazioni ambigue, confuse, incerte, assume il comportamento degli altri come fonte di informazioni e si adegua a tali condotte, pensando che gli altri possano aiutarlo ad essere nel giusto. La seconda riferisce la tendenza che hanno gli individui a conformare le proprie opinioni e i propri comportamenti al modo di agire e di pensare delle persone che stanno loro intorno, al fine di venirne accettati e apprezzati. Vi è una pressione sociale che porta a un’acquiescenza pubblica, ma non a un’accettazione privata. Nel gruppo si può provare timore della disapprovazione e quindi conformarsi per paura di essa, imitare comportamenti e giudizi dell’insieme a cui si appartiene per pura compiacenza.
Tutti questi processi psicologici danno al gruppo una connotazione negativa meglio identificata con il nome di massa. Massa che identifichiamo come un aggregato di persone facilmente malleabili allo stampo della fonte. In questo senso W. R. Bion (1961) afferma “la massa in quanto tale è sempre priva di mente” cioè acefala. Ci si conforma come pecore di un gregge. Il gruppo crea l’identità sociale dell’individuo e allo stesso tempo il suo anonimato all’interno di esso; non ricorda la differenza, l’eterogeneità che sussiste tra il nome proprio della persona e il numero, andando a confermare l’anonimato del numero. Se da un lato il gruppo garantisce le interazioni necessarie per la socializzazione e l’identificazione sociale, dall’altra parte può portare alla regressione a una condizione infantile, ovvero l’abbandono del pensiero critico.