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La metacognizione e i comportamenti di dipendenza: una relazione di natura bidirezionale?

Le credenze metacognitive contribuiscono ai comportamenti di dipendenza promuovendo stili di pensiero dannosi e strategie di coping disfunzionali

Di Dominique De Filippis

Pubblicato il 22 Feb. 2021

Aggiornato il 26 Feb. 2021 13:07

Le credenze metacognitive positive sembrano essere coinvolte nell’inizio del comportamento di dipendenza, motivando ad impegnarsi in esso, quelle negative invece nella perpetuazione dei comportamenti di dipendenza.

 

Per metacognizione si intende qualsiasi conoscenza e processo cognitivo coinvolto nella valutazione, nel monitoraggio e nella conseguente regolazione della cognizione stessa (Flavell, 1979).La maggior parte dei teorici in questo campo distingue la conoscenza metacognitiva dai processi di regolazione metacognitiva. Nel primo caso ci si riferisce alla conoscenza che gli individui hanno dei propri processi cognitivi e delle strategie necessarie per modificarli, mentre, con il termine regolazione metacognitiva ci si riferisce alle strategie utilizzate per regolare o controllare la cognizione (Wells, 2000). Il modello Self-Regulatory Executive (Wells & Matthews, 1994) fu il primo a suggerire che le problematiche di natura psicologica siano strettamente connesse alla metacognizione. Secondo il suddetto modello, specifiche credenze metacognitive determinano l’attivazione ed il mantenimento di strategie di coping disadattive (come eccessivo monitoraggio delle minacce o evitamento) che determinano la perseveranza del disagio psicologico. Collettivamente, le strategie disadattive determinano lo sviluppo di una sindrome cognitiva attenzionale (CAS; Wells, 2000, 2013).

Le credenze metacognitive possono essere suddivise in tre sottotipi (Spada, Caselli, Nikčević, & Wells, 2015):

  • credenze metacognitive generiche riguardanti le esperienze cognitivo-affettive interne (es. “Devo controllare i miei pensieri in ogni momento”) e al loro significato;
  • credenze metacognitive positive sull’utilità delle strategie CAS (es. “Se mi preoccupo sarò preparato”) che sono legate all’attivazione della CAS;
  • credenze metacognitive negative sulla controllabilità e pericolosità degli eventi mentali (es. “Non posso controllare i miei pensieri”).

Una recente meta-analisi ha dimostrato la presenza di livelli più elevati di credenze metacognitive nei disturbi alimentari, nel disturbo d’ansia generalizzato, nel disturbo depressivo maggiore, nel disturbo ossessivo-compulsivo e nella schizofrenia rispetto ai gruppi di controllo sani, soprattutto per quanto concerne le credenze metacognitive generiche sull’incontrollabilità, il pericolo e sulla necessità di controllare i pensieri (Sun et al., 2017).  Nel complesso, questi risultati confermano la caratteristica transdiagnostica delle credenze metacognitive e mostrano come gli individui che sviluppano una psicopatologia presentano spesso una valutazione negativa dei propri eventi mentali.

Rispetto alle dipendenze, diversi ricercatori hanno indagato il legame tra credenze metacognitive e uso di alcol, tabacco, gioco d’azzardo o uso problematico di Internet (Spada, Caselli et al., 2015) e, data la recente natura di questo campo di ricerca, fornire una panoramica delle prove esistenti appare giustificato. Pertanto, una revisione sistematica presa in esame si è proposta di identificare e presentare le attuali evidenze riguardanti il ruolo delle credenze metacognitive nei comportamenti di dipendenza.

La revisione ha incluso 38 studi pubblicati tra il 1999 e il 2018.

Le indagini prese in esame hanno evidenziato la presenza di un’associazione positiva tra le credenze metacognitive sugli stati cognitivo-affettivi e diversi comportamenti di dipendenza. Difatti, esse hanno mostrato che le persone che si impegnano in comportamenti di dipendenza hanno credenze metacognitive generiche disfunzionali, credenze metacognitive sui pensieri legati alla dipendenza e credenze metacognitive sul craving. Queste credenze metacognitive sono più prevalenti nelle popolazioni cliniche che in quelle di controllo e predicono l’appartenenza alla categoria del comportamento di dipendenza, la gravità del comportamento, il craving e la ricaduta.

Nello specifico, la revisione ha messo in luce che le credenze metacognitive generiche sull’incontrollabilità e il pericolo, sulla necessità di controllare i pensieri e una mancanza di fiducia cognitiva sono quelle più strettamente associate ai comportamenti di dipendenza. Dal punto di vista del modello metacognitivo dei comportamenti di dipendenza, le credenze metacognitive contribuiscono all’inizio e alla perseveranza dei comportamenti di dipendenza perché promuovono stili di pensiero dannosi e strategie di coping disfunzionali, che a loro volta aumentano la probabilità di impegnarsi in comportamenti di dipendenza. Secondo Spada, Caselli e Wells (2013), questo suggerisce che i comportamenti di dipendenza possono essere visti come una strategia per controllare il pensiero e gli stati emotivi indesiderati. Questa ipotesi è coerente con la ricerca sulla ruminazione e sui pensieri legati al desiderio, che suggerisce che la ruminazione predice l’uso di alcol e il desiderio (Caselli et al., 2010, 2013) e che le persone che tendono ad avere una valutazione negativa dei loro pensieri legati al desiderio presentano un rischio maggiore di ricaduta dopo la cessazione (Nosen & Woody, 2009).

Scendendo più nello specifico, secondo i risultati presi in esame, le credenze metacognitive positive sembrano essere coinvolte nell’inizio del comportamento di dipendenza, motivando le persone a impegnarsi in esso. Al contrario, le credenze metacognitive negative sembrano essere prevalentemente coinvolte nella perpetuazione dei comportamenti di dipendenza. Quando vengono attivate, queste credenze rafforzano la percezione del fallimento dell’autoregolazione e l’effetto dannoso del comportamento di dipendenza sul funzionamento, che a sua volta può promuovere il pensiero ripetitivo negativo e le emozioni negative. Inoltre, se gli individui credono di non poter regolare il loro comportamento, è probabile che limitino i loro tentativi di controllarlo (Raylu & Oei, 2004).

Tuttavia, la maggior parte degli studi inclusi nella revisione sono trasversali e quindi impediscono di trarre conclusioni sulla natura causale delle credenze metacognitive. È dunque possibile che le credenze metacognitive siano solo una conseguenza dei comportamenti di dipendenza. Infatti, gli effetti delle sostanze possono modificare la percezione dei pensieri e promuovere credenze disfunzionali. Allo stesso modo, l’emozione negativa spesso associata ai comportamenti di dipendenza (Brière, Rohde, Seeley, Klein, & Lewinsohn, 2014; Lorains, Cowlishaw, & Thomas, 2011) può influenzare l’elaborazione delle informazioni in modo negativo e portare a una valutazione pessimistica degli eventi mentali (Teasdale, 1983), o aumentare la tendenza a presentare pensieri negativi ripetitivi, che potrebbero stimolare credenze metacognitive negative (Papageorgiou & Wells, 2003). Inoltre, Nosen e Woody (2014) hanno dimostrato che il successo dell’astinenza dal fumo è associato alla diminuzione delle credenze metacognitive sul desiderio. Per questi autori, questo risultato è segno di una relazione bidirezionale tra credenze metacognitive e comportamenti di dipendenza.

Concludendo, l’attuale evidenza supporta il modello metacognitivo dei comportamenti di dipendenza e suggerisce che gli interventi che mirano alle credenze metacognitive, come la terapia metacognitiva (Wells, 2013; Spada, Caselli & Wells, 2012), potrebbero essere utili per i soggetti affetti da comportamenti di dipendenza.

 

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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