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I legami patologici nei casi di maltrattamento domestico: la Battered Woman Syndrome (BWS)

Nei casi di violenza domestica l’incapacità di separarsi dal carnefice è attribuito all’effetto di una sindrome che porta il nome di Battered Woman Syndrome

Di Marta Rebecca Farsi

Pubblicato il 19 Feb. 2021

Elementi costitutivi della Battered Woman Syndrome sono impotenza appresa, legame asimmetrico e ciclo della violenza.

 

Molte donne soggette a maltrattamento non sembrano in grado di spezzare il legame che le vincola al proprio carnefice, con l’effetto di perpetrare una sofferenza che uccide il corpo e l’anima.

Sovente si parla di masochismo. In altre occasioni si preferisce far riferimento ad una sorta di compiacenza. E facendo ricorso ad euristiche ben poco empatiche, si pensa che, in fondo, ognuno ha ciò che desidera.

Il determinismo psichico sostiene come ogni azione sia costruita sulla base di una motivazione psicologica. Non può non essere così anche in questo frangente, in cui la psiche, ancora più del corpo, si trova coinvolta in un triste gioco al massacro.

In particolare sembra che nella donna maltrattata si instauri un meccanismo patologico che la spinge a negare la propria soggettività e a trasformare il carnefice in una sorta di “appiglio esistenziale”, la sola giustificazione ad una vita che in sua assenza verrebbe svuotata di ogni senso.

La donna maltrattata viene isolata, privata di ogni autoconsapevolezza e autonomia, resa vittima di una disperazione senza uscita in cui la totale assuefazione al maltrattante costituisce l’unica alternativa.

Ma c’è un istinto di sopravvivenza, nella continuazione di questo legame indubbiamente patologico e distruttivo. Perpetrare un rapporto di vicinanza con colui che attenta quotidianamente alla propria integrità psico-fisica costituisce in realtà un mezzo di difesa per mantenere una sorta di equilibrio psicologico in una situazione nella quale non esiste via d’uscita.

Elementi costitutivi della Battered Woman Syndrome

Da un legame di violenza ricorsivamente perpetrato si origina un vissuto di soggezione collusiva, in cui la donna rifiuta di riconoscere la propria condizione di maltrattata, arrivando a negarne l’esistenza o a minimizzarne la gravità. Ma è proprio questa negazione a costituire la più grave conseguenza patologica scaturita dal maltrattamento.

Come accade nella Sindrome di Stoccolma la vittima è terrorizzata dall’asimmetria del rapporto che la lega al carnefice, e anziché cercare mezzi di liberazione decide di assuefarsi completamente a quest’ultimo, mostrando atteggiamenti apatici e anedonici rispetto ad un’eventuale fuga dallo stesso  (Walker, 1979).

Le possibili motivazioni sono la volontà di evitare ritorsioni ancor più violente e lesive del Sé, la dissociazione mentale causata dall’alternarsi di condotte punitive e premiali volontariamente posta in essere dal carnefice- proprio per disorientare le reazioni della vittima- e infine la volontà di quest’ultima di aggrapparsi all’unico legame affettivo messo a sua disposizione in un contesto dominato dalla coercizione e dall’isolamento.

Nei casi di violenza domestica, la psicologa Lenore Walker (1979) attribuisce l’incapacità di separarsi dal carnefice all’effetto di una sindrome piuttosto affine a quella di Stoccolma, che porta il nome di Battered Woman Syndrome, e i cui elementi costituivi sono i seguenti:

  • Impotenza appresa: la donna, vittima di una paralizzante situazione di marginalità, sviluppa un locus of control esterno che la rende incapace di gestire gli eventi della propria vita e di apportare agli stessi una modifica migliorativa. Dopo aver tollerato per lungo tempo condotte abusanti da parte del partner, ella perde non solo la speranza di potersi liberare ma anche la motivazione a farlo, scegliendo di ignorare gli stimoli esterni che le offrono una potenziale occasione di cambiamento. Aspetti come agency ed autoefficacia vengono dunque neutralizzati in favore di una passività distruggente;
  • Legame asimmetrico: la donna si trova intrappolata in una situazione coercitiva “totalizzante” e non può che assuefarsi al differenziale di risorse volontariamente posto in essere dal partner, al fine di privarla di ogni possibilità di ribellione. È l’abusante a disporre di qualsiasi potere all’interno della coppia: dalle questioni ordinarie a quelle più importanti, la sua volontà è la sola che detenga potere attuativo. L’asimmetria, intesa come sperequazione di diritti e autonomie nel legame, è il frutto del programma di soppressione psichica posto in essere dal carnefice, al fine di isolare gradatamente la vittima da qualsiasi legame -estraneo alla realtà dell’abuso- che serva a renderla cosciente della propria condizione e quindi a fornirle un bacino di risorse- fisiche, psichiche ed economiche- utili a ripristinare una simmetria nel legame o a spezzarlo definitivamente;
  • Ciclo della violenza: nei casi di Battered Woman Syndrome, la violenza si perpetra attraverso l’evolversi di un ciclo ricorsivo- denominato “ciclo della violenza”, suddiviso in quattro fasi distinte (Walker, 1980): una prima fase, chiamata di crescita della tensione, in cui la donna viene resa oggetto di critiche, rimproveri e continue umiliazioni da parte del partner, anche di fronte ai figli o ad estranei; una seconda fase, quella della violenza acuta, in cui l’irritabilità si trasforma in un’autentica aggressione fisica all’indirizzo della donna; una terza fase, definita delle scuse, in cui il maltrattante vive la propria condotta aggressiva con intenso disagio e senso di colpa, e sembra pentito di ciò che ha fatto; la quarta, definita della luna di miele, in cui l’abusante si profonde in promesse di cambiamento, corroborate da occasionali attenzioni, gentilezze e richieste esplicite di perdono. Disorientata da questo alternarsi di condotte punitive e premiali, e sempre più limitata da uno stato di soggezione psichica nella quale ha perduto ogni certezza del Sé, la donna è disposta a dare fiducia alle promesse del partner e, scegliendo di non riconoscere la portata fittizia dei suoi buoni propositi, si illude che ogni occasione sarà quella giusta per ottenere un cambiamento reale da parte sua;

Non esiste una codificazione formale per la Battered Woman Syndrome, ma si ritiene che la donna possa esserne considerata affetta ove abbia subito due cicli di violenza completi, estrinsecati in ciascuna delle fasi sopra elencate (Walker, 1980; Reale, 2011).

Sintomatologia e correlati cognitivo – emotivi della Battered Woman Syndrome

Tra gli indici emotivi e cognitivi potenzialmente riscontrabili nella sindrome della donna maltrattata troviamo:

  • un vissuto depressivo, cui si accompagnano stati di ansia generalizzata e di ipervigilanza alle condotte del partner; nello specifico è stata rilevata la marcata capacità, nelle donne soggette a maltrattamento, di interpretare la mimica facciale, i movimenti e le posture corporee dell’abusante che, in un tragico legame di rievocazione mnestica, hanno appreso ad associare all’evento aggressivo (Reale, 2011). La medesima ipervigilanza viene posta nel controllo delle proprie condotte, che la vittima si sforza di rendere adesive alle volontà del partner cercando non solo di soddisfarle ma altresì di intuirle e anticiparle, attraverso comportamenti premurosi che la spingono a mettere le sue esigenze sempre al primo posto, cancellando totalmente le proprie;
  • lo sviluppo di meccanismi di difesa quali negazione, minimizzazione e razionalizzazione, in base ai quali la vittima o non riconosce la violenza del partner o tende a giustificarla con argomentazioni contingenti, ad esempio definendola un episodio passeggero, transitorio o dettato dallo stress. Ma nella maggior parte dei casi ella sceglie di attribuire a se stessa il verificarsi dell’agito aggressivo, convincendosi che in assenza del suo errore la violenza non avrebbe avuto luogo (autocolpevolizzazione). In realtà l’agito violento è il risultato dell’aggressività endogena del maltrattante, proiettata difensivamente sulla donna a prescindere dalla condotta di quest’ultima (Schimmenti, Craparo, 2014). Ma l’impossibilità di riconoscerlo è dovuta proprio al risultato delle condotte manipolatorie che l’abusante esercita su di lei, a seguito delle quali viene privata di ogni autostima e capacità di giudizio circa il Sé e la realtà. Per questo molte vittime arrivano addirittura a mostrarsi acriticamente collusive con il pensiero maschilista e prevaricatore dell’abusante, nel quale la donna viene considerata per natura inferiore all’uomo e dunque liberamente violabile da parte di quest’ultimo. Non si tratta di un pensiero che la donna ha maturato volontariamente, ma di una realtà eteroimposta cui è costretta ad assoggettarsi a caro prezzo: quello della totale rinuncia alla propria soggettività;
  • il consolidarsi progressivo di una coercizione mentale simile ad un brainwashing, -lavaggio del cervello- e la presenza di gaslighting, un’ulteriore forma di abuso psicologico nel quale il maltrattante, servendosi di subdole tecniche manipolatorie, induce la donna a credere ad una realtà fittizia nella quale millanta eventi mai accaduti e le imputa azioni mai commesse (Schimmenti, Craparo, 2014). Malgrado i tentativi di resistenza iniziale, la vittima finisce col dubitare continuamente del proprio agito fino al punto di credere a qualsiasi menzogna le venga propinata dall’abusante, sperimentando autentici vissuti dissociativi;
  • numbing, identificabile in una sorta di intorpidimento emotivo e cognitivo che tende a permanere nella dimensione psichica della vittima privandola della capacità di mentalizzazione, simbolizzazione e valutazione oggettiva degli eventi (Reale, 2011). Al numbing si accompagnano una serie di sintomi affini a quelli tipici del PTSD, quali vissuto di negazione dell’evento traumatico, elevata potenzialità riattivante dello stesso, impossibilità di ricostruirne le fasi da un punto di vista logico-narrativo, vissuti di iperarousal e stati intrusivi nei quali la vittima rivive drammaticamente le aggressioni subite e non riesce a reagire a quella presente;
  • condizione di paralisi traumatica, che sussiste in tutti i casi in cui la donna si trova relegata in una condizione di non azione psichica e cognitiva, a causa della quale è incapace di difendersi dall’azione violenta e appare passiva, fragile, demotivata a reagire all’abuso (Reale, 2011). Affinché si parli di paralisi psicologica traumatica è richiesta la presenza di tre elementi: almeno un episodio di abuso consumato all’interno della relazione; la realizzazione di tale abuso in un contesto di legame traumatico, mirato a porre la donna in una condizione di inferiorità e ad instaurare all’interno del rapporto un differenziale di potere appannaggio del maltrattante; infine la incapacità della vittima di difendersi e tutelare i propri diritti e quelli dei figli.

La sindrome della donna maltrattata costituisce l’ennesima testimonianza di come il femminicidio sia una soppressione psichica prima ancora che fisica, un crudele piano nel quale l’uomo si pone l’obiettivo di cancellare la donna, e questa si lascia cancellare.

Data la presenza di un sempre maggiore interesse sociale e scientifico per un fenomeno tristemente attuale come quello del maltrattamento, il riconoscimento formale della Battered Woman Syndrome potrebbe risultare opportuno ai fini di una più precisa identificazione diagnostica dei disturbi collegati alla violenza domestica e di un più adeguato intervento terapeutico sugli stessi.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Reale, E. (2011), Maltrattamento e violenza sulle donne. Criteri, metodi e strumenti per l’intervento clinico, vol. II, Franco Angeli, Milano;
  • Schimmenti, V., Craparo, G. (2014), Violenza sulle donne: aspetti psicologici, psicopatologici e sociali, Franco Angeli, Milano;
  • Walker, L. E. (1979) The Battered Woman, Harper Colophon Books, New York;
  • Walker, L. E. (1980), Battered Woman, Paperback, New York.
 
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