La sindrome dell’intestino irritabile (Irritable bowel syndrome; IBS), colpisce dal 5 al 30% della popolazione mondiale (Enck et al., 2016) e consiste in un disturbo funzionale del tratto gastrointestinale che si manifesta con dolore addominale ed alterazione dell’intestino (Longstreth et al., 2006).
La sua diagnosi, non basandosi su metodi definitivi o biomarcatori, avviene esclusivamente mediante raccolta anamnestica condotta sul paziente. Gli unici criteri diagnostici oggettivi e riconosciuti ad oggi, sono quelli stabiliti da Roma III, che rimandano alla manifestazione sintomatologica di dolore o fastidio nel tratto addominale (Gwee, 2007).
L’eziologia della sindrome dell’intestino irritabile, probabilmente multifattoriale, coinvolge aspetti di disagio psicologico tra cui disturbi dell’umore, ansia e disturbi somatoformi (Mykletun et al., 2010; Roy-Byrne et al., 2008). Sebbene non emergano prove oggettive a supporto della relazione causale tra sindrome dell’intestino irritabile e psicopatologia, quest’ultima aggrava la condizione sintomatologica dell’intestino, generando ulteriori complicanze come ipocondria, disturbi di somatizzazione e dissociazione (Salmon et al., 2003; Wilhelmsen, 2000).
La gravità dei sintomi della sindrome dell’intestino irritabile aumenta se in passato l’individuo ha vissuto una condizione di stress, subito un trauma o è stato abusato cronicamente (Kanuri et al., 2016; Leserman & Drossman, 2007). Una storia di abuso fisico o sessuale viene riportata di frequente da questi pazienti e contribuisce alla persistenza della sintomatologia.
L’indagine di Torun et al. (2020) si è occupata di valutare i sintomi psichiatrici, tra cui ansia e depressione, in 54 pazienti con sindrome dell’intestino irritabile; indagando il ruolo degli eventi traumatici passati (fisici o psicologici) nella predisposizione della malattia somatica.
Confrontando i pazienti aventi sindrome dell’intestino irritabile con un gruppo di controllo senza alcuna patologia fisica, emergono per i primi, punteggi più alti sulle scale del Symptom Checklist-90-R (SCL-90R; Derogatis, 1977), volto a valutare la sintomatologia psichiatrica. Nel dettaglio, in accordo con la letteratura precedente, riportavano maggiori livelli di somatizzazione, tratti ossessivo-compulsivi, e ostilità nella condizione emotiva di rabbia (Sykes et al., 2003; Whitehead et al., 2002). Tra loro, la tendenza a somatizzare, può aumentare l’impiego dei servizi sanitari e diminuire la risposta al trattamento oltre che l’aderenza allo stesso, con conseguente incremento degli effetti avversi sintomatologici.
Rispetto alle valutazioni dell’ansia effettuate mediante State-Trait Anxiety Inventory (STAI; Spielberger, 2010), emerge che mentre l’ansia di tratto (caratteristica relativamente stabile della personalità) era maggiore tra i pazienti con sindrome dell’intestino irritabile, l’ansia di stato (sensazione soggettiva di tensione e reattività dovuta alla rottura dell’equilibrio emotivo) era significativamente più alta nel gruppo di controllo. Quest’ultimo risultato, è stato ricondotto alla condizione dei partecipanti che sebbene senza patologia, si trovavano in ospedale e dunque in una condizione potenzialmente stressante.
La presenza di ansia tra coloro con sindrome dell’intestino irritabile è coerente con studi precedenti che riportavano, oltre a questa, maggiori livelli di depressione e somatizzazione (Palsson & Drossman, 2005; Sykes et al., 2003; Whitehead et al., 2002). Anche coloro che con l’insorgenza della malattia non sviluppano una psicopatologia, tenderanno a manifestarla al follow-up dopo diversi anni (Koloski et al., 2012). Secondo la letteratura, i disturbi d’ansia, in comorbilità con la sindrome dell’intestino irritabile nel 30-50% dei casi, svolgono un ruolo rilevante nella patogenesi e nella cronicità dei sintomi gastro-intestinali, stimolando eccessivamente il sistema nervoso autonomo (Agosti et al., 2002).
Coloro con sindrome dell’intestino irritabile ed una storia di abuso fisico alle spalle, avevano punteggi significativamente maggiori sugli indici psicopatologici valutati mediante l’SCL-90-R (somatizzazione, tratti ossessivo-compulsivi, ostilità, sensibilità interpersonale, depressione, ansia, ansia fobica, ideazione paranoide e psicoticismo).
Rispetto all’ansia, l’aver subito un trauma precedente può aver abbassato la soglia di comparsa dei sintomi ansiosi, rendendo l’individuo più vulnerabile.
Gli eventi quotidiani stressanti sono quantitativamente maggiori nell’arco della vita tra coloro con sindrome dell’intestino irritabile (Bradford et al., 2012); punizioni fisiche, abusi emotivi e sessuali esacerbano la sintomatologia intestinale, determinando un uso più frequente dei servizi sanitari (Lackner & Gurtman, 2004; Sperber et al., 2012). Inoltre, ad aggravare la loro condizione, questi soggetti possiedono funzioni gastro-intestinali più sensibili allo stress (Brandt et al., 2008).
L’indagine di Torun et al. (2020), ha riportato punteggi maggiori sugli indici psicopatologici anche tra i pazienti con sindrome dell’intestino irritabile e una storia familiare di malattia psichiatrica tra i parenti di primo grado. Secondo la letteratura, è più comune l’incidenza di disturbi psichiatrici tra i parenti di pazienti con sindrome dell’intestino irritabile rispetto a quelli di pazienti sottoposti a colecistectomia (Woodman CL, Breen K, Noyes R, Moss C, Fagerholm R, Yagla SJ, 1998). Oltre ad una maggiore incidenza del disagio psicologico, la letteratura riporta come tra i parenti di primo grado sia presente spesso una storia di abuso di alcol (Knight et al., 2015).
La presente ricerca ha rilevato come il disagio psicologico, oltre ad essere un importante fattore di rischio implicato nello sviluppo, nella persistenza ed esacerbazione dei disturbi funzionali intestinali, può influenzarne notevolmente l’esito compromettendo e condizionando negativamente la relazione tra medico curante e paziente (Addolorato et al., 2008).
I pazienti che sperimentano sindrome dell’intestino irritabile necessitano di essere valutati negli aspetti psicologici che sono spesso di ostacolo alla guarigione. Perciò, si rende necessario un approccio di valutazione olistico e multidisciplinare della sindrome, grazie al quale poter migliorare la qualità della vita dei pazienti, riducendo i costi di trattamento ed il tempo necessario alla guarigione.