La combinazione tra altitudine, stress estremo, affaticamento, deprivazione prolungata del sonno e uso di psicostimolanti in quantità elevate funge da fattore di rischio per fenomeni allucinatori e dispercezioni.
L’esposizione dell’essere umano ad elevati livelli di altitudine, può influenzare aspetti psichici e neuro-comportamentali; provocando talvolta fenomeni di dispercezione sensoriale (Alonso et al., 2004; Bolmont et al., 2000; Dong et al., 2013; Fagenholz et al., 2007). Molti atleti, che praticano attività a media ed alta quota, manifestano sovente disturbi somatici legati alle difficoltà di adattamento e alla ridotta pressione parziale dell’ossigeno nell’atmosfera, accompagnati da un incremento dei livelli di ansia (Cheng, 2010; Huber et al., 2014; Sracic et al., 2014). Tra i sintomi insoliti, possono sperimentare ritardi nella risposta a compiti cognitivi, allucinazioni visive (Hurdiel et al., 2015) o sensazioni di galleggiamento non associate ad alcun deficit neurologico o psichiatrico (Dietz & McKiel, 2000).
Lo studio di Carbone et al. (2020), ha indagato le conseguenze neuro-comportamentali e psichiche legate all’adattamento umano in condizioni ambientali estreme, in soggetti che svolgevano attività agonistica in montagna. Gli ultra-trail runners praticano uno sport che combina corsa ed escursionismo in forte pendenza, compiendo gare in condizioni psico-fisiche caratterizzate da deprivazione del sonno e stress (Millet et al., 2011; Saugy et al., 2013).
Gli autori, durante le interviste hanno riscontrato un elevato tasso di esperienze allucinatorie temporanee riportate dai 21 atleti, perfino tra coloro che gareggiavano ad altitudini relativamente basse.
La maggioranza dei soggetti che riportavano anomalie percettive, avevano rielaborato in modo fantasioso aspetti come nuvole, rocce, cespugli o alberi; interpretandoli come bestie fantastiche (draghi, goblin o gremlis). Queste illusioni, responsabili di forte disagio emotivo, sono state considerate fenomeni para-fisiologici legati alle condizioni avverse (Smailes et al., 2020).
Un soggetto ha riportato allucinazioni visive più elaborate, ovvero l’apparizione dei suoi familiari durante la corsa per sostenerlo nella fatica, che lo hanno accompagnato per diversi chilometri. Mentre un altro atleta ha riportato la percezione vivida della presenza di un compagno che lo ha aiutato e incoraggiato a concludere la gara, un altro ha sperimentato la sensazione di fluttuare.
Le percezioni illusorie del campione, sono coerenti con quelle riportate nella letteratura clinica e alpina (Dinges et al., 1994; Goel et al., 2013; Lucas et al., 2009); mentre la maggioranza riportava dispercezioni visive di oggetti reali, o percezioni del tutto errate in assenza di oggetto, sono pochi coloro che hanno avuto allucinazioni complesse e fenomenologicamente simili a quelle causate da danno cerebrale o da psicosi maggiori (come disturbo bipolare e schizofrenia).
L’assenza di un disturbo medico o psichiatrico alla base delle esperienze illusorie e allucinatorie, permette di ipotizzare che l’origine dei fenomeni sia ricondotta alla peculiarità della condizione.
I partecipanti, oltre a subire lo stress legato allo sforzo fisico, facevano uso eccessivo di sostanze psicostimolanti come caffeina e teina, trovandosi in condizioni di deprivazione del sonno.
Secondo alcuni autori, la carenza di sonno, tollerato fino a 72 ore, compare come causa comune dei fenomeni allucinatori; coerentemente con il fatto che i corridori dello studio hanno iniziato a sperimentare allucinazioni visive a partire dal terzo giorno di gara (Belenky et al., 2003; Goel et al., 2013)
Sebbene non siano presenti dati più specifici a supporto del legame causale tra attività fisica intensa in contesto montuoso ed esperienze allucinatorie; emergono osservazioni cliniche che coinvolgono l’ipossiemia acuta (ridotta quantità di ossigeno disponibile nel sangue), l’ipocapnia (ridotta concentrazione di anidride carbonica nel sangue), alterazioni dell’emodinamica cerebrale e la privazione del sonno (Brugger et al., 1997; Hurdiel et al., 2015). L’esercizio fisico intenso e l’iperventilazione in ambienti ipossici, ovvero privi di ossigeno, producono ridotta concentrazione di anidride carbonica e ossigeno nel sangue con il rischio della comparsa di allucinazioni.
Probabilmente, anche aspetti secondari sono coinvolti nel processo; come disfunzioni specifiche di alcune aree del cervello conseguenti alle altitudini estreme. La corteccia temporo-parietale è responsabile delle sensazioni di caduta, delle illusioni parossistiche riferite dalla percezione di una presenza accanto, delle esperienze extracorporee, delle sensazioni di fluttuazione e distorsioni corporee (Penfield & Perot, 1963). Queste aree cerebrali sono sensibili alla riduzione di ossigeno, in quanto in condizioni ipossiche l’afflusso di sangue diviene inadeguato, compromettendo anche l’integrazione senso-moria.
In accordo con la psicopatologia classica, le dispercezioni sensoriali riportate dagli atleti dello studio, sono state raggruppate in tre diversi cluster.
Al primo gruppo appartengono coloro che hanno riportato fenomeni di alterazione dello stato di coscienza; soprattutto variazioni dell’esperienza percettiva come derealizzazione (percezione di irrealtà) e depersonalizzazione (percezione di distacco dal proprio corpo). Questi soggetti avevano in comune tratti ansiosi, soffrivano di panico e agorafobia; tutti aspetti di vulnerabilità che concomitanti alla condizione di stress avrebbero potuto causare tali anomalie percettive.
Le illusioni percettive sperimentate dagli atleti appartenenti al secondo cluster, ricondotte alle condizioni avverse della gara; sono emerse sotto forma di semplici pareidolie (tendenza istintiva a strutturare gli stimoli sensoriali secondo forme ordinate e familiari) o distorsioni delle immagini.
Le illusioni vengono sperimentate quando stimoli esterni si fondono con elementi psichici soggettivi, formando un insieme percettivo non corrispondente alla realtà. Esse non implicano la perdita del senso di realtà, ma sono favorite da un particolare stato emotivo o un abbassamento della soglia attentiva, causato da fatica, stress ed abuso di stimolanti.
Nel terzo cluster sono stati collocati soggetti che riportavano vere e proprie allucinazioni sensoriali; ovvero false percezioni soggettivamente percepite come reali, ma insorte senza la presenza dell’oggetto. Gli atleti che le hanno sperimentate, avevano in comune tratti specifici dello spettro psicotico, esacerbati dalle condizioni di stress e dall’uso di psicostimolanti.
Complessivamente, questa indagine preliminare, rileva come l’altitudine, concomitante ad uno stress estremo, affaticamento, deprivazione prolungata del sonno e uso di psicostimolanti in quantità elevate; sia una combinazione che funge da fattore di rischio per fenomeni allucinatori. Inoltre, tratti temperamentali e personologici possono essere fattori predisponenti all’insorgenza di determinati fenomeni dispercettivi, ad esempio la derealizzazione e depersonalizzazione riscontrate tra coloro tendenzialmente ansiosi.
Infine, l’elevata prevalenza e la natura ben definita delle allucinazioni visive valutate in questo campione privo di disturbi psichiatrici o neurologici, danno spunto alla ricerca futura per un’indagine più approfondita del fenomeno in un contesto para-fisiologico.