La pandemia di Covid-19 ha mutato l’esperienza della morte di un caro: da un lato il divieto di visitare la persona ammalata nelle strutture ospedialiere, dall’altro l’interruzione senza precedenti dei rituali culturali e religiosi che spesso forniscono alle persone in lutto un contesto sociale di supporto.
Il lutto è l’esperienza di perdere una persona cara e il dolore è la risposta naturale a questa perdita. In genere, il dolore acuto è dirompente e difficilmente gestibile. Tuttavia, la maggior parte delle persone si adatta alla morte di un caro, insieme ai cambiamenti che ne derivano nelle circostanze della vita, accettando un mutato rapporto con il defunto e trovando modi per ricordarlo e onorarlo. Si ripristina il senso e lo scopo della propria vita e la possibilità di felicità. Ciononostante, il processo di adattamento richiede tempo, e il dolore è complesso, sfaccettato e variabile (Goveas & Shear, 2020).
Le restrizioni in atto a causa della pandemia di COVID-19 hanno mutato l’esperienza della morte di un caro, infatti nelle strutture ospedaliere spesso non è permesso visitare la persona ammalata. Comprendere la realtà di una perdita è difficile in qualsiasi circostanza, ma può esserlo ancora di più quando la morte è improvvisa e la persona amata si spegne in solitudine. Da aggiungere al fardello di non essere con il caro morente c’è l’interruzione senza precedenti dei rituali culturali e religiosi che spesso forniscono alle persone in lutto un contesto sociale di supporto. Durante la pandemia, solo un numero limitato di membri della famiglia può riunirsi per il funerale, inoltre non sono consentite pratiche come il lavaggio del corpo o il bacio del defunto (Goveas & Shear, 2020). La visione privata spesso non è possibile e, se consentita, viene offerta solo ai familiari più stretti. Le persone in lutto devono astenersi dall’abbracciarsi l’un l’altro poiché qualsiasi contatto fisico, prima, durante e dopo i servizi funebri è fortemente sconsigliato a causa del COVID-19. Le morti che si verificano nel periodo della pandemia possono perciò intensificare il senso di isolamento sociale e solitudine che spesso caratterizzano il lutto (Goveas & Shear, 2020).
Quando l’adattamento alla dipartita del proprio caro viene bloccato o interrotto, il risultato può essere il Disturbo da Sofferenza Prolungata (PGD, Prolonged Grief Disorder), recentemente incluso come nuova diagnosi nella undicesima edizione della Classificazione Internazionale delle Malattie, (ICD-11) (World Health Organization, 1993) e di cui è stato discusso l’inserimento nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, (DSM-5) (American Psychiatric Association [APA], 2020). Questa sindrome è caratterizzata da desiderio e nostalgia del defunto in maniera persistente e pervasiva, pensieri preoccupanti accompagnati da altri sintomi di sofferenza emotiva, che causano disagio significativo o compromissione del funzionamento della persona e che durano almeno 6 mesi, superando il lasso di tempo previsto dalle norme sociali, culturali o religiose (APA, 2013). Le circostanze, il contesto e le conseguenze dei decessi nel corso della pandemia comprendono fattori di rischio che potrebbero aumentare i tassi di PGD (Goveas & Shear, 2020). Oltre al desiderio e alla tristezza, la maggior parte delle persone prova ansia, rabbia o senso di colpa (APA, 2013), infatti chi è in lutto potrebbe avere una tendenza ad immaginare scenari alternativi in cui il caro non è morto e può sentirsi in colpa per essere sopravvissuto. Inoltre, molte persone in lutto cercano di evitare situazioni che potrebbero innescare un intenso dolore emotivo. Sebbene tali comportamenti, pensieri e sentimenti siano naturali, qualora dovessero prendere il sopravvento, potrebbero far deragliare il processo di guarigione ed elaborazione del lutto (Goveas & Shear, 2020). Altri esempi di fattori di rischio per lo sviluppo del PGD includono depressione, ansia, traumi precedenti, una storia di attaccamento insicuro, o una relazione particolarmente stretta con il caro scomparso; ulteriori fattori di rischio sono legati a circostanze, contesto o conseguenze della morte (APA, 2013).
In una corretta elaborazione del lutto, le persone solitamente superano traguardi adattandosi alla perdita e imparando a comprendere e ad accettare il dolore (Goveas & Shear, 2020). L’acronimo H.E.A.L.I.N.G. (ing. guarigione), ideato dal Center for Complicated Grief della Columbia University, racchiude le pietre miliari per affrontare il lutto in maniera naturale, contrastando l’insorgenza del PGD (The Center for Complicated Grief, 2020). Le persone in lutto che utilizzano H.E.A.L.I.N.G.:
- H. rafforzano le relazioni in corso e ripristinano il loro ruolo in un mondo senza la persona amata (Honor, onora),
- E. A. si aprono all’affrontare le emozioni accettando il dolore (Ease pain, allevia il dolore; Accept grief, accetta il dolore),
- L. I. e imparano a convivere con il ricordo del defunto (Learn to live with reminders, Impara a vivere con i ricordi; Integrate memories, integra i ricordi).
- N. Raccontando la storia della morte del caro, si rendono gradualmente conto di avere una connessione continua con il defunto, che è interiorizzata e permanente (Narrate, racconta),
- G. e allo stesso tempo accolgono altre persone accanto a sé (Gather others, riunisci) (The Center for Complicated Grief, 2020).
Comprendendo come la pandemia potrebbe influenzare lutto e dolore correlato e apprendendo le pietre miliari della guarigione si potrebbe ridurre l’insorgenza del PGD (Goveas & Shear, 2020). Per affrontare la sintomatologia di questo disturbo è consigliabile rivolgersi a specialisti in modo da intraprendere un percorso psicoterapeutico individuale o di gruppo. In particolare, gli studi di Jordan e Litz pubblicati nel sito internet dell’APA, hanno dimostrato come la psicoterapia di orientamento cognitivo-comportamentale mirata al dolore possa essere un valido trattamento per il PGD (Jordan & Litz, 2014). Ciononostante, poiché esiste una pressante necessità di attuare misure per ridurre le conseguenze negative del lutto nell’era COVID-19, sarebbe auspicabile implementare ulteriormente la formazione dei professionisti al riconoscimento e al trattamento della PGD.