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La perdita ambigua, l’impatto sul sistema familiare e il legame con il Covid-19

La perdita ambigua, una perdita sfuggente, confusa, in qualche modo sospesa nel tempo e nello spazio. Un tipo di perdita molto presente durante il Covid-19

Di Giulia Radice, Laura Romagnoni

Pubblicato il 18 Giu. 2020

É andato via per sempre? Tornerà o non lo vedrò mai più? Non ho mai visto il suo corpo, è morto davvero? L’impossibilità di dare risposta a queste domande impedisce all’individuo di riorganizzarsi nei pensieri e nelle emozioni. La perdita ambigua ai tempi del Covid-19.

 

Da sempre gli esseri umani hanno mostrato la necessità psicologica di sancire in qualche modo la definitiva perdita di una persona cara, arrivando così a creare forme ritualistiche di diversa natura attraverso cui comunicare, a sé stessi e agli altri, che il cambiamento (la perdita) è immutabile. Queste forme di comunicazione sociale non determinano solamente l’ufficialità della morte e la perdita, ma permettono ai sopravvissuti di avviarsi verso il doloroso, ma naturale, processo di elaborazione del lutto, alla fine del quale l’individuo si scoprirà riorganizzato nella sue funzioni psicologiche, cognitive ed emotive e in grado di muoversi ancora all’interno del mondo, pur in assenza della persona cara (Boss, 2009).

Vi sono però delle situazioni in cui la messa in atto dei classici rituali di passaggio non è possibile. Sono quei casi in cui la perdita della persona cara non può essere dichiarata con certezza o in modo chiaro e definito. In questa categoria rientrano i rapimenti, i dispersi di guerra, le morti senza corpo, ma anche tutti coloro che pur essendo presenti fisicamente sono estremamente distanti cognitivamente ed emotivamente. Ecco quindi che i confini della perdita si fanno sfuocati e confusi e la perdita diventa ambigua.

La teoria della perdita ambigua compare in letteratura grazie ai lavori di Pauline Boss, e viene descritta come una perdita sfuggente, confusa, non chiara, in qualche modo sospesa nel tempo e nello spazio (Boss, 1999).

Essere in presenza di un perdita ambigua, secondo Boss (1999), congela il processo di elaborazione del dolore, impedisce la riflessione cognitiva e quindi le strategie di coping adattive, arrivando a configurare la perdita come traumatica, proprio a causa dell’incertezza che la circonda. È questa incertezza che, secondo l’autrice, alimenta nell’individuo una posizione ambivalente e contraddittoria, destinata per sua natura ad essere irrisolvibile. In tale senso, non è solo l’ambiguità a diventare la fonte di stress traumatica, ma anche l’angoscia derivante dalla conseguente costante ricerca di coerenza. É andato via per sempre o solo per un po’? Tornerà o non lo vedrò mai più? Non ho mai visto il suo corpo, è morto davvero? L’impossibilità di dare risposta a queste domande impedisce all’individuo di riorganizzarsi nei pensieri e nelle emozioni, così da poter fronteggiare l’assenza e ridefinire il proprio ruolo.

Nella teoria della perdita ambigua Boss (1999) individua due tipi di perdite: la presenza fisica della persona che risulta psicologicamente assente (good-bye without leaving) e la presenza psicologica della persona fisicamente assente (leaving without good-bye). Se nel primo tipo di perdita la persona è presente fisicamente, ma il suo stato cognitivo le impedisce di partecipare pienamente alle dinamiche familiari e di mantenere il ruolo che ha sempre ricoperto, nel secondo caso la persona pur essendo fisicamente assente, continua ad avere, su familiari e amici, un’influenza psicologica così importante da renderla al medesimo tempo viva e presente.

Colpisce come all’interno del contesto della pandemia da Covid-19 si possano spesso trovare entrambi i tipi di perdite, addirittura in modo consequenziale nei casi più gravi. Prima il ricovero, la separazione fisica e improvvisa della persona cara, che tuttavia rimane con noi, con i suoi vestiti nell’armadio e il suo spazzolino accanto al nostro. Poi, a volte, il coma indotto, una mente assente all’interno di un corpo vivo a cui non possiamo avvicinarci per il nostro stesso bene. E, infine, nei casi più sfortunati, la morte, che viene comunicata, ma non può essere vista, toccata e vissuta nella camera mortuaria o al funerale. Solo una bara vista da lontano.

La perdita di una persona cara, tuttavia è un fattore che non colpisce solamente l’individuo sopravvissuto nella sua singolarità, ma anche l’intero sistema famigliare. Secondo la prospettiva sistemica la riorganizzazione del ciclo di vita famigliare non coinvolge solamente la famiglia nucleare, ma l’intero sistema in termini trigenerazionali. È questa infatti la rete che costituisce le radici dell’individuo e, insieme agli amici, si caratterizza come risorsa di supporto importante di fronte alla perdita (Canevaro, 2005).

Ogni sistema possiede delle strategie, che si declinano in modo unico e singolare, che mette in atto per superare i compiti famigliari legati all’elaborazione del lutto. Idealmente per superare un lutto il sistema coinvolto dovrà in primo luogo riconoscere e accettare la morte, creare un luogo in cui poter comunicare emotivamente attorno alla perdita, rinunciare alla persona scomparsa, riadattare i ruoli familiari ed extrafamiliari, per giungere infine alla riaffermazione del senso di appartenenza al nuovo sistema familiare con l’ingresso in una nuova fase del ciclo di vita (Godlberg, 1973; Pereira, 1998).

Le strategie di coping che ciascun individuo possiede e che apprende nel corso dell’infanzia, intuendo ciò che può essere apertamente discusso o meno e quali stati emotivi siano accettabili (Betz e Thorngren, 2006), interagiscono con la rete costituita dai membri del sistema, in un gioco di relazioni che si evolve e viene trasmesso all’interno della storia transgenerazionale familiare (Moos, 1995). Il dolore legato alla perdita tocca le strategie legate all’attaccamento di ognuno, l’identità di ogni membro, la stabilità emotiva e relazionale, i ruoli sociali e familiari. Il sistema dovrà quindi mettere in campo modalità orientate alla ridefinizione dell’identità familiare e dei ruoli dei suoi membri, trovando un significato condiviso rispetto a quanto accaduto (Rycroft e Perlesz, 2001).

Di fronte a una perdita ambigua, però, la famiglia si trova a vivere uno stato di immobilità e incapacità di andare avanti a causa della specificità della situazione e dell’impossibilità di attribuirle un significato. I fattori che nel caso di un lutto sostengono la famiglia nel processo di elaborazione, vengono in questo caso a mancare, rendendo il processo maggiormente complesso.

Rifacendosi ai due tipi di perdite ambigue individuate da Boss (1999), gli elementi che sembrano impedire e bloccare il normale, per quanto doloroso, processo del lutto sono l’assenza di pratiche che sanciscono la perdita anche in caso di incertezza e parzialità (demenze, traumi e lesioni cerebrali, coma) e la mancanza fisica della persona e i dubbi rispetto al suo destino (è morta davvero?). Ecco quindi che l’incertezza e la sospensione della morte alimentano il senso di solitudine, di impotenza e di stallo di chi invece resta, conducendo alla cristallizzazione delle dinamiche e delle relazioni interne impedendo alla famiglia e all’individuo di evolversi e di riadattarsi.

I cambiamenti che hanno coinvolto i rituali attorno alla morte nel corso della pandemia da Covid-19 (Moore, Tulloch, Ripoll, 2020), si traducono così in un dispiacere senza diritti, in cui la mancanza di riconoscimento e condivisione sociale e culturale compromettono le risorse che supportano il processo del lutto (Zhai, Du, 2020). La narrazione interna si blocca e il lutto diventa traumatico, segnando come una ferita che continua a sanguinare la storia intrapsichica dell’individuo e quella transgenerazionale del nucleo famigliare (Paul e Grosser ,1965).

La situazione presente diventa quindi un’occasione, nel qui ed ora, per riflettere sul tipo di sostegno che il professionista della salute può e deve offrire a chi si sta confrontando (o si è confrontato) con una perdita ambigua. In una società occidentale sempre alla ricerca di risposte rapide, definite e coerenti, la perdita ambigua rappresenta la prova evidente del fatto che non tutto è controllabile e definibile in modo chiaro e preciso.

Le persone, tuttavia, hanno bisogno di un po’ di padronanza e controllo sulla propria vita. Il trucco è bilanciare la necessità di controllo con l’accettazione di una perdita irrisolvibile. Accettiamo l’ambiguità perché non c’è nient’altro che possiamo fare. Riconosciamo che il mondo non è sempre giusto, che le cose non vanno sempre come desideriamo e che possiamo esternare la colpa, additando l’ambiguità come la responsabile della nostra sofferenza. Facciamo scelte e decisioni ove possibile e troviamo aspetti che possiamo controllare, come la ricostruzione dei legami famigliari e la condivisione emotiva della perdita (Boss, 1999, 2010).

Per potersi spostare verso la speranza e i bei ricordi, quindi, è necessario che il sistema famigliare integri l’esperienza vissuta nella propria storia, modificando il significato che i suoi membri attribuiscono alla perdita ambigua.

 

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Giulia Radice
Giulia Radice

Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Betz, G., & Thorngren, J. M. (2006). Ambiguous loss and the family grieving process. The Family Journal, 14(4), 359-365.
  • Boss P., (1999). Ambiguity loss - Learning to live with unresolved grief. Cambridge, MA, USA: Harward University Press.
  • Boss, P. (2009). Ambiguous loss: Learning to live with unresolved grief. Harvard University Press.
  • Boss, P. (2010). The trauma and complicated grief of ambiguous loss. Pastoral Psychology, 59(2), 137-145.
  • Canevaro, A. (2005). Approccio trigenerazionale al lutto familiare. Child development and disabilities, 31(1).
  • Goldberg, S. B. (1973). Family tasks and reactions in the crisis of death. Social Casework, 54(7), 398-405.
  • Moore, K., Tulloch, O., & Ripoll, S. (2020). Key Considerations: Dying, Bereavement and Mortuary and Funerary Practices in the Context of COVID-19 (April 2020).
  • Moos, N. L. (1995). An integrative model of grief. Death Studies, 19(4), 337-364.
  • Paul, N. L., & Grosser, G. H. (1965). Operational mourning and its role in conjoint family therapy. Community Mental Health Journal, 1(4), 339-345.
  • Pereira, R. (1998). Le deuil: De l’optique individuelle à l’approche familiale. Cahiers critiques de thérapie familiale et de pratiques de réseau, 20, 31-48.
  • Rycroft, F., & Perlesz, A. (2001). Speaking the unspeakable: Reclaiming grief and loss in family life. Australian and New Zealand Journal of Family Therapy, 22(2), 57-65.
  • Zhai, Y., & Du, X. (2020). Mental health care for international Chinese students affected by the COVID-19 outbreak. The Lancet Psychiatry, 7(4), e22.
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