L’esistenza di una diversa incidenza di vari quadri psicopatologici nei due sessi ha suggerito l’ipotesi che gli ormoni steroidei potessero essere uno dei fattori eziologici di ansia, depressione, demenza ed autismo. Questa ipotesi trova conferma nei risultati di varie ricerche scientifiche.
Esistono diverse evidenze che documentano l’influenza che gli ormoni steroidei, in particolare estrogeni e progestinici, hanno nel determinare modificazioni strutturali e funzionali a livello celebrale. Gli ormoni sessuali subiscono, nella donna, fluttuazioni legate al ciclo vitale e questo sembra essere un fattore determinante per comprendere la maggiore vulnerabilità del sesso femminile alla psicopatologia relativa ai disturbi della sfera emozionale, affettiva e cognitiva (Pluchino et al., 1998).
Gli ormoni steroidei sono, a livello celebrale, dei modulatori della sintesi di specifici fattori trofici, come ad esempio il Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF). Il BDNF è necessario per la sopravvivenza di specifiche popolazioni neuronali quali quelle monoaminergiche, GABAergiche e colinergiche. Queste evidenze neurobiologiche hanno fatto formulare l’ipotesi che, nel sesso femminile, durante la pubertà la produzione degli steroidi faciliti e garantisca il trofismo e la sopravvivenza neuronale. Si ipotizza che nella donna gli estrogeni, prodotti prima della menopausa, abbiano un importante effetto protettivo sul cervello (Singh e Su 2013, Wei e Berman 2019, Bethea et al. 2002).
La variabilità dei livelli o le disfunzioni nella secrezione degli ormoni sessuali sembrano essere un fattore determinante per la comparsa di modificazioni strutturali e funzionali nel cervello femminile durante il ciclo mestruale, la gravidanza, il post-partum e la menopausa. La riduzione dei livelli plasmatici e cerebrali di questi ormoni, può generare una riduzione della plasticità funzionale delle diverse popolazioni neuronali implicate nella regolazione della sfera emozionale, affettiva e dei processi cognitivi (Del Rio JP.,Alliende M., Molina N., et al. 2018)
La fluttuazione ormonale nella donna è riconosciuta come uno dei fattori eziologici del disturbo disforico pre-mestruale, della depressione post-partum ed è, secondo vari autori, la causa della maggiore incidenza della malattia di Alzheimer nel sesso femminile (Pacitti et al. 2006, Altmann et al. 2014).
Molti studi epidemiologici, condotti in Europa, riportano un tasso di incidenza per il morbo di Alzheimer maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Uno studio coordinato da Lisa Mosconi della Weill Cornell Medicine di New York, di recente pubblicato online sulla rivista Neurology, oltre a ribadire che l’Alzheimer è più frequente nelle donne, sostiene che tale incidenza non è imputabile semplicemente al fatto che le donne tendono a vivere più a lungo. I cambiamenti ormonali che arrivano con la menopausa possono in parte spiegare la maggior predisposizione delle donne all’Alzheimer.
Alcune ricerche riguardo al rischio di demenza nel sesso femminile suggeriscono come la proteina apoE possa essere considerata un intermediario critico degli effetti benefici degli estrogeni sulla protezione e riparazione dei neuroni. Si è ipotizzato che l’apolipoproteina E, codificata dal gene apoE possa interferire negativamente con l’azione neuroprotettiva degli estrogeni. Gli studi sperimentali, condotti sui topi con il gene apoE soppresso rispetto ai controlli, indicano che gli estrogeni possono modulare la proteina APOE e il suo recettore. In conclusione, le evidenze sperimentali confermano l’ipotesi che la proteina apoE influenza negativamente gli effetti benefici che gli estrogeni hanno a livello celebrale e questa evidenza supporta quanto evidenziato dagli studi epidemiologici condotti sulle donne (Altmann et al. 2014, Jorm et al. 2007).
L’autismo colpisce più i maschi che le femmine, ciò ha suggerito che i livelli degli ormoni steroidei influiscano sullo sviluppo celebrale del feto. Secondo uno studio pubblicato su Molecular Psychiatry e condotto dai ricercatori dell’Università di Cambridge, un’elevata concentrazione di ormoni steroidei nel liquido amniotico potrebbe essere responsabile dello sviluppo di disturbi dello spettro autistico. Tuttavia, secondo Simon Baron-Cohen, primo firmatario dell’articolo, i risultati raggiunti non escludono altre concause e richiedono la verifica del fatto che gli aumenti dei livelli di ormoni osservati siano specifici per l’autismo e non condivisi da altre condizioni dello sviluppo neurologico fetale (Baron-Cohen et al. 2015).
E’ piuttosto recente la scoperta che la sintesi di steroidi avviene anche nel cervello e non solo nelle gonadi. Da circa 20 anni la ricerca si è concentrata sugli effetti che alcuni neurosteroidi, tra cui l’allopregnanolone (THP), possono avere nella regolazione della depressione e dell’ansia.
Nel 2000 grazie al lavoro di ricerca di Graziano Pinna, docente dell’Università dell’Illinois, di due scienziati italiani, Costa e Guidotti e di un gruppo di studiosi giapponesi è stato dimostrato che la quantità di allopregnanolone prodotta a livello celebrale è importante per il corretto funzionamento del recettore GABA-A.
Il THP è sintetizzato in risposta allo stress ed è in grado di ridurre l’ansia rinforzando l’azione inibitoria del GABA mediata dai recettori GABA-A a livello dell’ippocampo (Murray et al. 2007). Diversi studi hanno evidenziato bassi livelli di questo neurosteroide in soggetti affetti da ansia e depressione, ma anche in donne anoressiche ed obese.
Nel marzo 2019 la Food and Drug Administration, l’agenzia che si occupa di verificare la sicurezza dei farmaci negli Stati Uniti, ha approvato un nuovo farmaco, il cui principio attivo è un neurosteroide, il brexanolone, usato per trattare la depressione postpartum.
Nella fase successiva al parto si ha, infatti, una diminuzione degli ormoni steroidei, in particolare del progesterone, ma soprattutto dell’allopregnanolone. Il brexanolone permette di ripristinare la funzione che viene a mancare per la diminuzione drastica dei livelli endogeni degli steroidi.