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Monogamia e tradimenti: diversità di genere, due premesse – Una serie di Roberto Lorenzini

Esistono delle differenze evoluzionisticamente determinate tra uomini e donne nel loro sentire il legame affettivo, la sessualità e il tradimento?

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 02 Ott. 2020

Aggiornato il 09 Ott. 2020 09:57

Oggi pubblichiamo il terzo lavoro della serie di Roberto Lorenzini, dedicata al tema della monogamia e delle sue implicazioni psicologiche, affettive, relazionali e, perché no, sessuali. Lorenzini propone una tesi forte: la monogamia non funziona. E prosegue il suo racconto esplorando le diversità di genere rispetto alla monogamia.

MONOGAMIA E TRADIMENTI(Nr. 3 ) Diversità di genere, due premesse

 

a. Premessa nel mondo animale

In natura ciò che decreta il successo evolutivo di una specie è la massima prolificità che sembra declinarsi in due spinte apparentemente contrapposte: avere più partner possibili e restare con lo stesso partner per tutto il tempo necessario perché la prole possa cavarsela da sola. Tempo che nella specie umana originariamente e biologicamente era di alcuni anni e nella società attuale è divenuto di alcuni decenni.

Naturalmente uno dei due obiettivi è più compatibile con la monogamia, restare con lo stesso partner per tutto il tempo necessario perché la prole possa cavarsela da sola, mentre l’altro meno, avere più partner possibili. Rispetto a questi due obiettivi i generi maschile e femminile possono porsi in maniera differente. Per capire questa differenza, è importante prima introdurre qualche dato sul mondo animale.

Sappiamo che la monogamia è massima fra gli uccelli, si stima il 90% delle specie, la cui prole necessita di entrambi i genitori per sopravvivere, mentre è rara fra i mammiferi con diversificazione tra i gruppi. In alcune specie di uccelli i due partner possono tradirsi a vicenda aumentando la propria fitness riproduttiva, senza però minare la stabilità della coppia, che coverà anche le uova derivate dall’inseminazione di altri maschi (copulazione extraconiugale). Specie di animali più noti per essere di tipo monogamo sono: pinguino imperatore (mentre uno ricerca cibo l’altro bada ai piccoli), alcuni lupi (ma il branco ha una dinamica molto complessa, con individui alfa a maggiore libertà e con accoppiamenti con individui sottomessi oltre che col partner alfa) l’orso, lo sciacallo, il panda, la rondine, il tasso, il gerbillo, il falco, l’aquila, la sula, il cavalluccio marino, il cigno, il corvo, la volpe, alcuni tipi di pappagallo tra cui i cosiddetti, appunto “inseparabili”.

b. Premessa nella vicenda riproduttiva

Torniamo ora alla diversità di genere. Certamente nella nostra attuale cultura, ma non ancora in tutto il mondo, le differenze sessuali vanno via via attenuandosi e i ruoli tradizionali perdono d’importanza: uomini e donne possono fare le stesse cose, hanno gli stessi diritti, almeno sulla carta, e sono liberi di scegliere come vivere la propria esistenza. Ma siamo proprio sicuri che il loro sentire rispetto al legame affettivo, alla sessualità e al tradimento sia esattamente lo stesso?

Paragonata ad un’ora di tempo la storia evoluzionistica della specie umana dalla sua comparsa sulla terra ad oggi, il periodo storico di cui si hanno testimonianze rappresenta non più degli ultimi due minuti mentre altri 58 minuti sono la preistoria: il tempo in cui vivevamo come cacciatori e raccoglitori. È proprio in quel periodo lunghissimo che si sono selezionati quei meccanismi comportamentali ed emotivi che ancora ci portiamo appresso e che se sono stati efficienti e utilissimi a garantirci la sopravvivenza per milioni di anni, oggi spesso costituiscono uno scomodo fardello in un mondo decisamente diverso da quello in cui si sono plasmati (Harari 2018 A, 2018 B.)

La nascita della vita coincide con la nascita della prima molecola in grado di replicarsi: chi si replica di più sfruttando le opportunità dell’ambiente in cui si trova lo colonizza e prolifera: in ciò consiste il cosiddetto successo evolutivo. I geni hanno il solo scopo di produrre quante più possibili repliche di se stessi: più un gene è in grado di replicarsi, più di generazione in generazione, si afferma e si diffonde riducendo la presenza dei geni concorrenti, almeno fino a quando un cambiamento dell’ambiente renda più avvantaggiato un altro gene. I geni che hanno successo sono quelli che producono organismi che li contengono che siano in grado di sopravvivere a lungo in un certo ambiente e sappiano produrre più figli possibili (S. Pinker 1997,2006). Naturalmente gli organismi non sono affatto consapevoli di questa intenzionalità dei geni: non mangiamo per sopravvivere, ma perché il cibo è buono ed anzi spesso mangiamo così tanto e male che limitiamo la nostra sopravvivenza, ma l’importanza che per tutti i viventi ha l’alimentazione ha selezionato individui che avessero una forte appetizione per il cibo (Dawkins 1976).

I mammiferi, e tra essi gli esseri umani, in genere non fanno l’amore per fare figli ed anzi spesso si danno da fare perché tale esito non si verifichi, ma perché ciò è molto piacevole. L’inganno dei geni sta proprio qui: connotare di piacere e interesse attività utili ai fini della loro replicazione. Gli organismi che più provavano piacere a fare sesso, sono stati più motivati a farlo, lo hanno effettivamente fatto di più e i loro geni si sono diffusi a scapito di quelli che avevano scarso interesse per tale attività. Che un certo comportamento o modo di sentire si sia selezionato e dunque diffuso tra tutti gli individui di una specie vuol dire semplicemente che la sua presenza comporta un vantaggio riproduttivo almeno nell’ambiente in cui tale selezione è avvenuta; non vuol dire invece che lo scopo riproduttivo o altri scopi specifici e parziali orientati in tal senso (corteggiare un partner, sopraffare i rivali, proteggere dal tradimento, accudire la prole) siano rappresentati nella mente del soggetto. Spesso e volentieri l’individuo non ha nessuna intenzione di perseguire tali obiettivi o addirittura vuole esattamente l’opposto e ovviamente può farlo, ma la sua struttura è stata selezionata per perseguire, di default, lo scopo replicativo.

Naturalmente ciò che si verifica in natura, ciò che è naturale e spontaneo non è per questo buono e da perseguire. Altrimenti si giustificherebbero comportamenti aggressivi, di discriminazione tra i sessi o di sopraffazione dei deboli che sono inaccettabili per la nostra sensibilità. In realtà la caratteristica peculiare dell’uomo non è di assecondare la sua natura, ma di svincolarsi dai suoi legacci; la natura più caratterizzante dell’essere umano è proprio di non essere naturale, di poter decidere i propri comportamenti e addirittura di modificare consapevolmente l’ambiente alla cui pressione selettiva sottoporsi. La selezione culturale che emerge dalla selezione naturale finisce per sopravanzare e condizionare la prima. Per compiere questa operazione squisitamente umana non è necessario negare la nostra origine animale, far finta che non ci sia, ma anzi è proficuo riconoscerla per poterne tenere conto e gestirla culturalmente. Come già accennato precedentemente che ci piaccia o no per quanto riguarda la sessualità gli uomini e le donne sono diversi nei comportamenti e nel sentire perché nella loro storia evoluzionistica, e non state a guardare gli ultimi tre secondi che rappresentano il nostro secolo, ciò che era vantaggioso e adattivo per un sesso non lo era altrettanto per l’altro. Il risultato è che si sono selezionati stili di comportamento e attitudini diverse che tuttora sono iscritte dentro di noi e influenzano le nostre emozioni e talvolta anche il nostro comportamento mettendo in seria difficoltà o addirittura sconfiggendo la nostra razionalità, le scelte consapevoli e il patrimonio di valori in cui crediamo.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Harari Y. N. 2018. A “Sapiens: da animali a dei, breve storia dell’umanità” ed. Bompiani, Firenze. 
  • Harari Y. N. 2018.B “Homo deus: breve storia del futuro” ed. Bompiani, Firenze.
  • Pinker S. 1997 “Come funziona la mente” ed. Mondadori Milano.
  • Pinker S. 2006 “tabula rasa” ed Mondadori Milano.
  • Dawkins R. 1976 “il gene egoista” Oxford università press.
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