Avere un figlio rappresenta uno degli eventi più importanti per l’individuo e la coppia, ma desiderare un figlio non sempre basta. Quando la gravidanza non arriva e l’infertilità è confermata da indagini, si può iniziare a considerare l’idea di rivolgersi a centri specializzati in riproduzione umana, che si occupano della cosiddetta Procreazione Medicalmente Assistita (PMA).
Francesca Falco – OPEN SCHOOL, Studi Cognitivi San Benedetto
Introduzione: cos’è la PMA
Avere un figlio rappresenta uno degli eventi più importanti nella coppia e nell’individuo: se nel primo caso consiste nel realizzare un progetto condiviso, risultato di un legame pro-fondo e duraturo, nel secondo implica una nuova acquisizione nella propria identità, che andrà a includere per la prima volta il ruolo genitoriale, oltre quello di marito o moglie. Allo stesso tempo, si realizza anche una modifica dell’immagine sociale, che prevede per ogni membro della famiglia allargata, una riorganizzazione verso i nuovi ruoli che l’arrivo di un bambino può determinare. In questo senso, quindi, il concepimento assume un significato anche all’interno della sfera sociale, oltre che individuale e di coppia, poiché la società stessa riversa sulla coppia aspettative di formazione della famiglia, diventando il passo fondamentale verso la creazione di una nuova generazione.
Desiderare un figlio, però, non sempre basta: sempre più spesso le coppie di oggi si trovano a contatto con il grande tema dell’infertilità, che oggi colpisce circa una coppia su 5 (Ministero della Salute, 2016). Essere una coppia infertile implica che uno o entrambi i partner hanno difficoltà a portare a termine il concepimento. L’OMS definisce l’infertilità come:
una patologia caratterizzata dalla incapacità di generare una gravidanza dopo 12 mesi di regolari rapporti sessuali non protetti o dovuta una incapacità riproduttiva del singolo o del/della partner. (OMS, 2016)
Si parla di infertilità come patologia, capace di generare disabilità (OMS, 2010). Ma l’infertilità rappresenta anche la causa di una serie di difficoltà psichiche e relazionali legate proprio al vedere il proprio progetto condiviso infrangersi, andando a deludere sia le aspettative del partner, sia quelle della famiglia allargata e del contesto sociale in cui si è inseriti (Shapiro, 1988).
Infertilità nell’uomo e nella donna
L’infertilità viene distinta in primaria, se la donna non ha mai avuto precedenti gravidanze, o secondaria in caso contrario. In entrambi i casi, la distinzione dal termine sterilità deriva dal fatto che, in quest’ultimo caso, esiste una causa documentabile che impedisce il concepimento, per cui quel soggetto non riuscirebbe a partecipare al concepimento nemmeno con l’ausilio delle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). Al contrario, l’infertilità implica una difficoltà, documentabile o meno, ad ottenere il concepimento, che può essere aggirato attraverso l’intervento della medicina riproduttiva, facilitando l’incontro tra spermatozoi e oociti e, laddove possibile, risolvendo la causa dell’infertilità stessa.
Gli studi riportano che, nelle coppie infertili, la difficoltà di concepimento può essere attribuito o a uno dei due partner, o a entrambi; nella maggior parte dei casi, però, si è riscontrata un’ipofertilità di entrambi i partner, ossia una ridotta capacità di procreare attribuibile ad entrambi, invece di una vera e propria infertilità per cui, pur avendo dei sistemi riproduttivi funzionanti, combinati insieme sembrano avere difficoltà a permettere la fecondazione dell’oocita da parte dello spermatozoo (Visigalli, 2011).
Quando si analizzano le possibili cause di infertilità, sia l’uomo che la donna sono sottoposti ad una serie di analisi ed esami che cercano una spiegazione medica alle difficoltà di concepimento, procedendo con un iter composto di esami e visite specialistiche che escludono gradualmente le patologie causa di infertilità, fino a identificare quella responsabile del mancato concepimento.
Per gli uomini, che costituiscono il 20% dei casi di infertilità e il 30-40% in concausa con altri fattori, tali cause possono risiedere nella qualità del seme, intesa come alterazione della produzione di spermatozoi (sterilità secretoria), o nell’anatomia delle vie escretrici, non associate ad anomalie testicolari o ormonali (sterilità escretoria). Tra le cause mediche, quindi, possono esservi:
- insufficienze gonadiche periferiche (alti livelli di FSH);
- insufficienze gonadotrope (bassi livelli di FSH);
- anomalie delle vie escretorie di natura congenita, acquisita o traumatica.
Per le donne, invece, le cause dell’infertilità possono essere individuate in:
- fattore cervicale, riferito al muco cervicale;
- fattore ovulatorio, riferito a tutte le alterazioni dell’ovulazione, di origine ipotalamica, ipofisaria e ovarica, sia a base organica, sia a base funzionale;
- fattore uterino, riferito all’anatomia dell’utero o a processi infiammatori dello stesso;
- fattore tubarico, riferito a alterazioni anatomiche e ostruzioni parziali o totali.
Nel 10-15% dei casi, inoltre, non è possibile individuare una causa specifica alla base delle difficoltà nel concepimento, motivo per cui si parla in questi casi di infertilità idiopatica o inspiegata. Per individuare le cause dell’infertilità, è necessario, oltre alla prima visita e alle consulenze specialistiche, sottoporre entrambi i partner ad una serie di accertamenti specifici. La donna dovrà quindi eseguire analisi ormonali ed ecografia transvaginale, seguite da altri esami, richiesti in base alla specificità del caso, quali isterosalpingografia, isteroscopia, tampone vaginale, analisi genetiche; l’uomo sarà sottoposto a spermiogramma e, se ritenuto necessario, spermiocoltura, analisi ormonali e indagini genetiche (Visigalli, 2011).
Desiderare un figlio: fino a che punto?
Quando la gravidanza non arriva e l’infertilità è confermata dalle indagini, si può iniziare a considerare l’idea di rivolgersi ai centri specializzati in riproduzione umana, che si occupano della cosiddetta Procreazione Medicalmente Assistita (PMA).
Le tecniche di PMA si distinguono in tecniche di I livello, quando sono semplici da attuare e poco invasive, e tecniche di II e III livello, quando sono più complesse e più invasive. Generalmente, tenendo conto del quadro diagnostico individuato con gli esami precedentemente illustrati, si opera gradualmente, partendo dalle tecniche meno invasive e procedendo con quelle più complesse, solo in caso di fallimento del tentativo precedente. Qualora non si riscontrino particolari problematiche alla base dell’infertilità, il primo passo consiste nella stimolazione ormonale finalizzata a rapporti sessuali programmati: questo primo tentativo, non invasivo e generalmente più facile da accettare per i partner, rappresenta un modo per aumentare le probabilità di incontro di spermatozoi e oociti, sfruttando l’ovulazione indotta chimicamente per programmare il rapporto sessuale. Sebbene non invasivo, può essere per la coppia e per gli individui che la compongono una fonte di forte stress.
La famosa inseminazione artificiale rappresenta una tecnica di I livello: consiste nell’introdurre, dopo averli preparati adeguatamente, gli spermatozoi del partner direttamente nella cavità uterina. Questo procedimento richiede l’induzione farmacologica dell’ovulazione, per facilitare la fecondazione degli ovociti direttamente all’interno del corpo della donna. Si tratta di una tecnica poco invasiva, svolta in ambulatorio e non dolorosa.
La riproduzione in vitro con trasferimento dell’embrione (FIVET) è una tecnica di II livello, che prevede che spermatozoi e oociti vengano messi in contatto in laboratorio, in modo tale da facilitare la formazione degli embrioni, che saranno poi trasferiti nell’utero della donna. Prevede una serie di azioni terapeutiche, che vanno dalla stimolazione dell’ovulazione, al prelievo degli oociti e degli spermatozoi, al trasferimento in utero dell’embrione: si tratta di una procedura più complessa della precedente, ma tutte le fasi sono svolte a livello ambulatoriale e non provocano dolore.
Più complessa è la microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI), che prevede le stesse tecniche utilizzate nella FIVET, con la differenza che gli spermatozoi sono iniettati direttamente all’interno dell’oocita. È utilizzata sia in caso di fallimento della FIVET, sia in caso di gravi patologie del liquido seminale, che potrebbe rendere impossibile la penetrazione dell’oocita da parte dello spermatozoo o che non contiene spermatozoi, per cui potrebbe richiedere il prelievo di questi direttamente dalle vie seminali (MESA) o dal tessuto testicolare (TESE).
Dal momento in cui la coppia, ricevuta la diagnosi di infertilità e conosciute le cause sottostanti, decide di intraprendere un percorso di PMA, si trova a confronto con la possibilità di valutare la tecnica più adatta alle proprie esigenze, tenendo conto non solo del quadro diagnostico, ma anche dell’impegno che ogni procedura richiede in termini fisici, economici, psicologici e di tempo: ogni procedura, infatti, prevede una serie di passaggi che possono rappresentare, soprattutto per la donna, un impedimento al raggiungimento di obiettivi lavorativi o al mantenimento della carriera (McLaney, Tennen, Affleck, & Fitzgerald, 1995). Inoltre la fase pre-trattamento può essere caratterizzata da disagio psicologico sia nella donna, sia nell’uomo: alcuni studi, infatti, hanno evidenziato livelli maggiori di ansia e depressione nelle donne che stavano per sottoporsi al primo trattamento di PMA (Wisch-mann et al., 2001), con livelli di ansia maggiori rispetto alle donne che si erano già sottoposte a tecniche di PMA in precedenza (Salvatore et al., 2001), le quali però sembrano manifestare maggiormente sintomi depressivi rispetto alle precedenti (Beaurepaire et al., 1994; Oddens et al.,1999). Anche gli uomini sembrano mostrare maggiori livelli di ansia all’inizio del percorso di PMA (Fassino et al., 2002), soprattutto se alla prima esperienza.
La PMA e i suoi effetti sulla coppia
Oltre agli effetti psicologici individuali, la PMA può avere un forte impatto anche sulla relazione di coppia: secondo Schmidt (2009), scoprire l’infertilità può avere effetti positivi o, al contrario negativi sulla relazione duale, a seconda delle caratteristiche che la coppia aveva prima di scoprire il problema. Alcuni studi sembrano confermare questo paradosso, dimostrandone le conseguenze positive (Schmidt et al., 2005; Daniluk, 2001) e negative (Salvatore et al., 2001). Uno degli elementi che sembra favorire una buona accettazione della diagnosi di infertilità, sembra essere l’elevata soddisfazione nella relazione di coppia, come dimostrato dallo studio di Darwiche e colleghi (2013), che vede nella dimensione della soddisfazione coniugale un elemento predittivo del superamento della diagnosi.
Un elemento fondamentale della coppia che spesso subisce gli effetti della diagnosi di infertilità e degli interventi di PMA è la sessualità: sebbene raramente siano la causa diretta delle difficoltà di concepimento, molti studi evidenziano come le difficoltà sessuali possano essere un esito del percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (Coëffin-Driol & Gia-mi, 2004; Piva et al., 2014; Tao et al., 2011; Wischmann, 2010; Wischmann & Thorn, 2013). Gli studi a tal proposito riportano che l’infertilità provochi problemi sessuali nel 10-60% dei casi (Moller, 2001; Boivin et al., 2001), soprattutto in termini di perdita di desiderio sessuale e di riduzione della frequenza dei rapporti. Uno dei principali problemi in questo senso è la perdita di spontaneità e piacere tipici dell’atto sessuale: questo viene trasformato nel mezzo attraverso il quale raggiungere l’obiettivo di concepire, perdendo gli aspetti di intimità e gioco che caratterizzano i rapporti prima della diagnosi di infertilità (Ohl et al., 2009; Piva et al., 2014; Wischmann et al., 2014). Moller (2001) evidenzia come il 69% degli uomini riporti un calo del desiderio, a fronte del 26% delle donne, con una popolazione maschile caratterizzata per il 17% di casi di disfunzione erettile e il 13,5% di eiaculazione precoce, ed una femminile caratterizzata per il 50% da dispareunia e il 22% difficoltà nel raggiungere l’orgasmo (Moller, 2001). Un altro studio evidenzia invece il 66% di casi di eiaculazione precoce, il 15% di disfunzioni erettili, dolore coitale nel 58% dei casi nelle donne e calo del desiderio femminile nel 28% (Jain, 2000).
Tra le donne, è stata dimostrata una maggior frequenza di difficoltà sessuali sia alla ricezione della diagnosi, sia durante i trattamenti di PMA di I livello: i problemi riscontrati riguardavano l’orgasmo, l’eccitazione, la lubrificazione e la soddisfazione sessuale; allo stesso modo, anche gli uomini mostravano difficoltà sessuali, soprattutto in relazione a desiderio e soddisfazione sessuale (Marci et al., 2012). Alcuni studi hanno anche evidenziato una relazione tra funzionamento sessuale maschile e femminile (Nelson et al., 2008; Shindel et al., 2008; Yeoh, 2014).
Alcuni studi inoltre hanno evidenziato un nesso tra infertilità e disfunzioni sessuali, con un impatto maggiore sugli uomini (Smith et al., 2009). Questi ultimi, infatti, sembrano particolarmente sotto pressione quando sottoposti a PMA: soprattutto in alcune procedure, che prevedono il prelievo dello sperma, sembrano innescarsi vissuti ansiosi, causati dal timore circa il giudizio del medico e della partner, che possono costituire un forte fattore inibente per la sessualità (Testa & Graziottin, 2006).
Il ruolo dello psicologo nella PMA: prevenzione ed intervento
Dalle problematiche psicologiche e sessuologiche che possono emergere negli individui e nelle coppie che si sottopongono a PMA, appare evidente come l’inserimento di un supporto psicologico sia auspicabile fin dalle primissime fasi dell’iter diagnostico.
Il counseling psicologico rappresenta uno strumento di intervento importante nel supporto alle coppie che si trovano ad affrontare il tema dell’infertilità (Randaccio, 2001): l’obiettivo primario del supporto psicologico sarebbe quello di individuare quali sono i fattori psicologici coinvolti nel tema dell’infertilità ed indagare la possibilità che le cause dell’infertilità stessa siano di tipo psicologico (Cecotti, 2004). Questo permetterebbe l’intervento su eventuali problematiche individuali e di coppia, configurando uno screening psicologico importante per la riuscita della PMA.
Da non sottovalutare, inoltre, la possibilità di intervenire con la psicoterapia nella misura in cui il counseling dovesse evidenziare la presenza di aspetti psicologici che interferiscono con l’obiettivo della fecondazione: oltre al forte stress legato alle procedure, le ansie legate alle fasi della PMA, il vissuto personale e di coppia dell’infertilità e la sofferenza psichica che ne deriva, possono arrivare a creare un vero e proprio ostacolo alla riuscita della procedura di inseminazione. In questo senso, il counseling si propone come strumento di screening e supporto già dalle primissime fasi, ossia dalla restituzione della diagnosi di infertilità: i vissuti emotivi e i significati personali che si accompagnano al tema dell’incapacità di concepire in maniera naturale, possono infatti costituire un terreno fertile per lo sviluppo di sofferenza psicologica e difficoltà relazionali, che interferirebbero con il benessere della coppia che si approccia alla PMA, con il rischio di ridurne le probabilità di riuscita (Visigalli, 2011).
Non da ultimo, le coppie sottoposte a PMA, come evidenziato in precedenza, possono risentire notevolmente, specie in ambito sessuologico, della presenza costante del problema dell’infertilità: l’individuazione e l’intervento sessuologico mirato, costituisce un importante strumento di salvaguardia della relazione di coppia, che altrimenti potrebbe risentire enormemente dell’ingombrante ruolo della sessualità nell’infertilità della coppia. In quest’ottica, il counseling si inserisce inizialmente come uno spazio che stimola i partners a condividere emozioni e difficoltà nella sfera sessuale, informandoli preventivamente dei rischi ad essa associati quando si intraprende l’iter di PMA: un intervento di questo tipo, oltre a normalizzare eventuali difficoltà e a facilitare la comunicazione delle stesse nella coppia, permette di proporre un intervento sessuologico mirato, che abbia come obiettivo il recupero dell’intimità di coppia (Nappi et al., 2004).
Concludendo, il ruolo dello psicologo all’interno dell’equipe dei Centri di Procreazione Medicalmente Assistita, assume un ruolo fondamentale nel preservare il benessere psicologico, relazionale e sessuale dei partners e della coppia, aumentando la probabilità che l’intervento si concluda con la gravidanza tanto desiderata e riducendo le possibilità che emergano nuove problematiche in seguito ai tentativi di procreazione, configurandosi allo stesso tempo come strumento di screening e di intervento.