Una recente metanalisi ha mostrato che l’efficacia del biofeedback cardiorespiratorio nel ridurre la sintomatologia ansiosa è robusta indipendentemente dallo specifico protocollo utilizzato e dalle caratteristiche dei pazienti.
Elisabetta Patron – OPEN SCHOOL, Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Mestre
Lo stress e la respirazione lenta e cadenzata
I disturbi dell’umore, come il disturbo depressivo maggiore, e i disturbi ansiosi o il disturbo da stress post traumatico affliggono un’alta percentuale della popolazione mondiale (Bandelow & Michaelis, 2015; World Health Organization, 2017). Tali condizioni possono essere causate o peggiorate da livelli di stress eccessivamente elevati (Hidaka, 2012). Per ridurre i livelli di stress quotidiano e migliorare lo stato psicofisico esistono diverse strategie e tecniche, tra le più conosciute troviamo le tecniche meditative orientali come ad esempio lo yoga. Nella tradizione millenaria delle discipline orientali, la respirazione lenta e cadenzata è un aspetto essenziale attraverso cui l’individuo può regolare il proprio stato di attivazione psicofisiologica (Brown & Gerbarg, 2005), ridurre i livelli di stress e ansia e aumentare il benessere percepito (Zaccaro et al., 2018). È curioso il fatto che anche una delle preghiere più conosciute della religione Cristiana, l’Ave Maria, sembri indurre una riduzione del ritmo respiratorio in modo simile a quella indotta dalla meditazione (Bernardi et al., 2001). Una recente revisione della letteratura ha mostrato come la respirazione lenta e cadenzata abbia effetti benefici e diffusi sull’attività cerebrale, attraverso un aumento delle onde alpha e una riduzione delle onde theta in maniera diffusa sulla corteccia cerebrale. Inoltre, la respirazione lenta e cadenzata ha effetti positivi sul sistema cardiovascolare, migliorando il bilanciamento del sistema nervoso autonomo attraverso un aumento dell’attività della branca parasimpatica (Zaccaro et al., 2018). Tali modifiche nel funzionamento corticale (Lomas et al., 2015) e autonomo (Sloan et al., 2017) sono state associate ad una maggiore flessibilità psicofisiologica, ad una migliore regolazione emozionale e in generale ad un maggior benessere psicofisiologico.
Il biofeedback
Se la respirazione lenta e cadenzata è conosciuta e praticata fin dall’antichità nelle discipline orientali, nella cultura occidentale si è diffusa a partire dagli anni ‘80 attraverso una tecnica specifica di autoregolazione chiamata biofeedback. Il biofeedback permette, attraverso la registrazione di modificazione fisiologiche che avvengono all’interno del nostro corpo (come ad esempio la frequenza cardiaca), di essere informati riguardo le proprie modificazioni fisiologiche, in modo da poter apprendere a controllare quelle stesse funzioni fisiologiche nella direzione desiderata, attraverso un meccanismo per prove ed errori (per una rassegna completa sulle tecniche di biofeedback si veda Schwartz & Andrasik, 2003). Attraverso il biofeedback è possibile ad esempio imparare a controllare, entro un certo grado, le variazioni di alcune onde cerebrali, o della propria frequenza cardiaca.
Negli ultimi anni, una specifica forma di biofeedback, il biofeedback della variabilità della frequenza cardiaca, o biofeedback cardiorespiratorio, è diventato sempre più popolare, soprattutto negli Stati Uniti (Gevirtz, 2013), anche grazie allo sviluppo e commercio di sistemi di registrazione sempre più piccoli, portatili ed economici. Il biofeedback cardiorespiratorio, nello specifico, mira ad incrementale la flessibilità cardiovascolare, al fine di fronteggiare adeguatamente quelle situazioni altamente stressanti (così dette di attacco/fuga) che determinano una elevata attivazione psicofisiologica. Attraverso una maggiore flessibilità cardiovascolare è possibile quindi ridurre lo stress percepito. Nella pratica, durante il biofeedback cardiorespiratorio vengono registrate la frequenza cardiaca e la frequenza respiratoria attraverso dei sensori di superficie. Quindi vengono mostrati questi segnali fisiologici, solitamente rappresentati come due linee su uno schermo corrispondenti rispettivamente alla frequenza cardiaca e alla respirazione (si veda Figura 1). All’individuo viene richiesto di cercare di sincronizzare le due linee in modo che le variazioni di frequenza cardiaca seguano le fasi della respirazione (inspirazione ed espirazione). Tale sincronizzazione può essere facilitata dalla tecnica del respiro lento e cadenzato tipico delle discipline orientali, ma è stato dimostrato come attraverso il biofeedback sia possibile massimizzare gli effetti associati alla respirazione lenta, ottenendo una ancor maggiore riduzione dello stress e dei livelli di ansia (Wells et al., 2012). Infatti, attraverso il biofeedback cardiorespiratorio è possibile agire fisiologicamente su tre sistemi: la respirazione, permettendo che i polmoni siano massimamente ossigenati, le variazioni di frequenza cardiaca e le variazioni di pressione arteriosa, stimolando in particolare l’attività dei barocettori (dei piccoli meccanocettori che monitorano la pressione arteriosa). Per quanto riguarda i protocolli di biofeedback cardiorespiratorio, non esiste un accordo univoco su uno specifico protocollo di biofeedback, infatti il protocollo di biofeedback deve essere adeguato alle necessità del paziente. Negli anni sono stati proposti vari protocolli, come ad esempio quello della durata di 10 sedute settimanali (Lehrer et al., 2000), o la più recente versione breve della durata di 5 sedute settimanali (Lehrer et al., 2013).
Figura 1 – Esempio di setting di biofeedback cardiorespiratorio. Il fotopletismografo permette di rilevare la frequenza cardiaca momento per momento. La fascia addominale permette di rilevare la frequenza respiratoria. La centralina permette di rilevare i segnali fisiologici e trasmetterli al computer. Sullo schermo viene proiettato il feedback cardiorespiratorio che include una linea rossa (corrispondente alla frequenza cardiaca) e una linea blu (corrispondente alla frequenza respiratoria). Il paziente inoltre vede sullo schermo le istruzioni: “Cerca di sincronizzare la frequenza cardiaca (linea rossa) con il respiro addominale (linea blu)”.
Il biofeedback cardiorespiratorio per la riduzione dello stress, dei sintomi ansiosi e depressivi
Esistono solide basi scientifiche a sostegno del fatto che il biofeedback cardiorespiratorio sia efficace nel ridurre lo stress e la sintomatologia ansiosa (Futterman & Shapiro, 1986; Gevirtz, 2013; Goessl et al., 2017). Infatti recentemente una metanalisi su decine di studi scientifici ha mostrato come l’efficacia del biofeedback cardiorespiratorio nel ridurre la sintomatologia ansiosa sia robusta indipendentemente dallo specifico protocollo utilizzato e dalle caratteristiche dei pazienti (Goessl et al., 2017). Inoltre, una sola seduta di biofeedback cardiorespiratorio è risultata efficace nel ridurre i livelli di ansia anticipatoria in un gruppo di musicisti professionisti (Wells et al., 2012) ed in un gruppo di giocatori di pallacanestro (Paul & Garg, 2012). Il biofeedback cardiorespiratorio, in affiancamento ai classici trattamenti psicoterapici, è risultato utile nel ridurre la sintomatologia depressiva e a migliorare la flessibilità cardiovascolare in pazienti con depressione maggiore (Caldwell & Steffen, 2018; Karavidas et al., 2007; Lin et al., 2019) ed anche in pazienti cardioperati con sintomatologia depressiva subclinica (Patron et al., 2013). Alcuni studi suggeriscono che gli effetti del biofeedback siano simili a quelli ottenuti attraverso il trattamento con farmaci inibitori di ricaptazione della serotonina (SSRI) e placebo (Fournier et al., 2010; Rene et al., 2011). Infine, esistono prove a supporto del fatto che il biofeedback cardiorespiratorio sia efficace nel ridurre lo stress (McCraty et al., 2009; Reiner, 2008) e nel migliorare la qualità del sonno (McLay & Spira, 2009).
Gli effetti positivi del biofeedback cardiorespiratorio sugli aspetti psicologici come la riduzione dello stress, dei livelli di ansia e depressione sembrano essere dovuti ad una incrementata connettività cerebrale in quelle aree che sono deputate alla regolazione emozionale, e soprattutto tra l’amigdala e la corteccia prefrontale (Mather & Thayer, 2018). Questo incremento nell’attivazione della connessione cuore-cervello potrebbe essere alla base degli effetti benefici del biofeedback sul tono dell’umore e sui sintomi ansiosi (Thayer & Lane, 2000, 2009).
Il futuro del biofeedback
Oggigiorno l’applicazione del biofeedback si è estesa ben oltre il setting tradizionale. Sistemi tecnologicamente avanzati permettono di registrare i segnali fisiologici attraverso sensori portatili o addirittura indossabili (come magliette “tecnologiche” che permettono di monitorare i parametri fisiologici). Inoltre, la computazione degli indici fisiologici può avvenire su computer portatili, tablet e telefonini, in questo modo i sistemi di biofeedback diventano sempre più portatili ed economici. Tali innovazioni nel design stanno migliorando l’accettazione e l’utilizzabilità del biofeedback, rendendo possibile per il paziente, una volta appresa la tecnica in seduta con il terapeuta, svolgere gli esercizi di biofeedback all’esterno del setting clinico, in modalità domiciliare, mentre il clinico può essere costantemente informato dei progressi del paziente.