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Il vissuto psicologico del bambino chirurgico: persone coinvolte e fattori protettivi

I bambini che devono sottoporsi a interventi di chirurgia pediatrica sono comunemente confusi, spaventati e hanno bisogno di sostegno e spiegazioni

Di Giulia Bresciani

Pubblicato il 02 Ott. 2020

La degenza in ospedale implica cure e terapie, significa relazioni con persone sconosciute e alle quali bisogna affidarsi, ma, soprattutto, comporta la separazione dal nucleo familiare e l’ingresso in un ambiente diverso. Quando si tratta di bambini, tutto ciò influenza lo sviluppo emotivo, cognitivo, affettivo e relazionale, portando, inoltre, a modificazioni dell’immagine di sé e del proprio corpo.

Giulia Bresciani – OPEN SCHOOL, Studi Cognitivi e Ricerca Mestre

 

Ci sono eventi della vita che segnano profondamente lo sviluppo del bambino e che necessitano di attenzione e cura da parte delle persone coinvolte, tra questi troviamo l’iter chirurgico.

A partire dagli anni ’30 Anna Freud iniziò ad occuparsi del concetto di malattia cronica e di come questo può interferire con lo sviluppo del bambino.

L’ingresso in ospedale e il periodo di ricovero diventano per il bambino delle situazioni nuove, alle quali deve adattarsi, sia da un punto di vista fisico che psicologico. Come riportato da Falck nel 1987 “l’ospedale è come un paese straniero alle cui abitudini, lingua e orari devono imparare ad adattarsi”, infatti, la degenza implica cure e terapie, significa relazioni con persone sconosciute ed alle quali bisogna affidarsi, ma, soprattutto, comporta la separazione dal nucleo familiare e l’ingresso in un ambiente diverso. Tutto ciò influenza lo sviluppo emotivo, cognitivo, affettivo e relazionale, portando, inoltre, a modificazioni dell’immagine di sé e del proprio corpo. Se immaginiamo quindi, lo sviluppo di un bambino come una linea retta dobbiamo pensare all’ospedalizzazione ed all’intervento chirurgico come ad un’interruzione di questa.

È necessario quindi, affrontare e gestire nel modo più adeguato possibile questo momento, rendendo la malattia un’occasione di crescita e maturazione.

Il momento del ricovero è un’esperienza nuova che il bambino deve assimilare velocemente e che inevitabilmente separa il prima dal dopo.

Sono diverse le dimensioni nelle quali si può sviluppare una condizione di rischio:

  • La dimensione affettiva: si riferisce alla regolazione emotiva, alla percezione che il bambino ha della malattia e conseguentemente di sé. È necessario il supporto allo sviluppo dell’intelligenza emotiva e soprattutto alla creazione di uno spazio, esterno ed interno, che permetta al bambino di esprimersi.
  • La dimensione relazionale: si riferisce all’alterazione della relazione con l’altro e con la propria identità sociale. Bisogna tenere presente che il momento del ricovero e dell’intervento chirurgico comporta la deprivazione familiare, dagli amici, dal contesto scolastico.
  • La dimensione del corpo: il ricovero e soprattutto l’intervento chirurgico comporta un’alterazione dell’immagine di sé e della percezione del proprio corpo, portando a sentimenti di autosvalutazione e inadeguatezza.
  • La dimensione cognitiva: si riferisce ad alterazioni sul piano dell’apprendimento e delle strategie di coping. Il ricovero modifica sia le condizioni esterne che interne al bambino, incidendo sul tono dell’umore e sulla motivazione.

Diversi studi hanno dimostrato che la mancanza di controllo sull’ambiente ospedaliero e sulle procedure mediche imminenti è una delle principali fonti di stress, che può causare una notevole ansia ai bambini ricoverati in ospedale.

A tal proposito, una recente revisione della letteratura, condotta da Gabriel e colleghi (2018), ha preso in esame 11 studi che hanno analizzato il vissuto psicologico ed i bisogni dei bambini e dei loro genitori all’interno di un contesto chirurgico. Complessivamente, sono stati considerati diversi trattamenti chirurgici: chirurgia cardiaca, chirurgia dell’orecchio, del naso e della gola, chirurgia ortopedica, circoncisione, chirurgia dentale e chirurgia ambulatoriale elettiva. Dal punto di vista psicologico, i diversi studi hanno individuato la presenza di ansia, depressione, paura, stress, sofferenza post-operatoria, trauma psicologico ed il decremento generale del benessere non sono nel bambino stesso, ma anche nei suoi genitori. Nel caso specifico delle figure di riferimento, questi vissuti emotivi sembrano riflettere la mancanza di informazioni, consigli e strategie di coping per affrontare al meglio l’intervento chirurgico del figlio. Gli autori sottolineano però la forte interconnessione che esiste tra l’esperienza del bambino e quella dei suoi genitori, portando l’attenzione alla necessità di uno stretto monitoraggio psicologico del genitore al fine di intervenire indirettamente anche su quello del bambino: i genitori fanno da modello ai propri figli, anche rispetto alle abilità di regolazione emotiva.

Un altro aspetto importante è lo sviluppo di ricordi negativamente distorti, compresi i ricordi del dolore. In uno studio di Fischer e colleghi (2019) gli autori hanno indagato, in un campione di bambini che hanno subìto un intervento chirurgico di tonsillectomia, quanto l’esperienza di ansia dei genitori e dei figli influisce sullo sviluppo di ricordi dolorosi. A tal proposito, ricerche precedenti (Noel et al., 2015) hanno dimostrato che gli adolescenti i cui genitori tendevano a ruminare maggiormente sul dolore del loro figlio prima dell’intervento chirurgico e quindi ad amplificare il valore della minaccia, successivamente, sviluppavano ricordi del dolore più negativamente distorti. Inoltre, queste memorie del dolore influenzate negativamente ponevano i bambini/ragazzi ad un più alto rischio di esiti di dolore post-operatorio. I risultati dello studio di Fischer e colleghi (2019) hanno rivelato che l’ansia dei genitori, ma non quella dei figli, prima dell’intervento chirurgico, contribuisce allo sviluppo di pregiudizi negativi legati alla paura del dolore nei ricordi dei bambini dopo un mese dall’intervento. In particolare, livelli più elevati di ansia genitoriale hanno influenzato i bambini nel ricordare livelli più elevati di paura legata al dolore rispetto a quanto inizialmente veniva riportato da loro stessi, tramite la somministrazione di alcuni questionari pre-intervento chirurgico. Gli autori inoltre riportano che i genitori più ansiosi usano un linguaggio che si concentra sui dettagli dolorosi e angoscianti dell’esperienza del bambino e ciò può incidere nella costruzione di ricordi negativamente distorti. Lo sviluppo della paura e dell’angoscia legate al dolore nei giovani è una delle principali preoccupazioni per la loro salute, poiché i bambini che hanno paura del dolore legato alle procedure (es. anestesia) possono crescere fino a diventare adulti che scelgono di evitare il dolore mettendo a rischio sia loro stessi che gli altri. Questi risultati sottolineano la necessità di lavorare ed indirizzare l’ansia dei genitori e di migliorare la gestione del dolore post-operatorio per modificare i ricordi dei bambini piccoli rispetto alla paura legata al dolore e per migliorare potenzialmente le traiettorie del dolore dei bambini.

Ciò che emerge dai lavori citati è che durante l’ospedalizzazione si manifestano stati d’ansia, non solo nei bambini, ma anche nei loro genitori, e che questi possono influire sia sulla percezione della malattia stessa che delle sensazioni di dolore post-operatorie. L’ansia e le conseguenti modalità di comunicazione possono inoltre contribuire alla creazione di ricordi distorti negativamente che non solo incidono sul bambino nel momento del ricovero e dell’intervento chirurgico, ma che possono avere anche un’influenza a lungo termine, determinando come deciderà di prendersi cura di sé stesso. Rispetto al trattamento dei disturbi d’ansia, sia negli adulti che negli adolescenti, le linee guida di trattamento raccomandano la terapia cognitivo comportamentale (CBT) e l’utilizzo degli inibitori selettivi della ri-captazione della serotonina (SSRI) come trattamenti di prima linea. Diversi studi nel corso dell’ultimo decennio indica che la CBT fornisce un trattamento efficace per l’ansia infantile (Sigurvinsdottir et al., 2020). È possibile quindi intervenire sull’intero nucleo familiare, sia nella fase preoperatoria, durante il ricovero e nel post-operatorio al fine di aiutare nell’elaborazione e nella modifica di pensieri ed emozioni che incidono sullo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino.

L’importanza di creare uno spazio di gioco e la presenza di personale qualificato e volontario

Negli anni ‘50 Renata Gaddini fu la prima a segnalare i rischi del distacco del bambino dal suo ambiente familiare e ad evidenziare la necessità di salvaguardare il bambino da separazioni in caso di malattia e necessità di ricovero. È proprio per questo motivo che in Italia si inizia a porre maggiore attenzione ai bambini ospedalizzati offrendo diversi servizi come l’assistenza scolastica, il soggiorno dei genitori ed uno spazio dedicato al gioco.

Come già anticipato, il ricovero in ospedale può essere un’esperienza minacciosa e stressante per i bambini, a causa della scarsa familiarità con l’ambiente e le procedure mediche e dell’inconsapevolezza delle ragioni del ricovero. Tutto ciò, può provocare nei bambini rabbia, incertezza, ansia e sentimenti di impotenza (Li et al., 2016).

L’ansia è la più comunemente riportata tra queste risposte negative e alti livelli di ansia possono essere dannosi per la salute dei bambini, sia da un punto di vista psicologico che fisiologico. L’eccessiva ansia ostacola inoltre i bambini nell’affrontare le cure mediche, aumenta il loro comportamento poco collaborativo e le emozioni negative nei confronti dei professionisti che in quel momento si prendono cura del bambino.

Un altro aspetto importante è che il livello di attività fisica dei bambini ospedalizzati è intrinsecamente limitato e quindi i loro mezzi per dare un senso al mondo che li circonda sono determinati. (Rokach, 2016). I bambini ricoverati tendono a svolgere meno attività ludiche e quando giocano, il loro gioco è caratterizzato da temi ripetitivi e solitari.

Il coinvolgimento in attività ludiche durante il ricovero in ospedale può migliorare le capacità di gestione dei bambini e alleviare il loro stress, portando ad un migliore adattamento psicosociale sia alla loro malattia che al ricovero ospedaliero. (Li et al., 2016)

Attraverso il gioco, i bambini hanno l’opportunità di sviluppare la padronanza di sé e dell’ambiente e di migliorare la loro comprensione del mondo.

Nel lavoro di Li e colleghi (2016), gli autori hanno dimostrato che la play-intervention ha dato ai bambini l’opportunità di praticare le routine mediche o infermieristiche attraverso il gioco e ha permesso loro di interagire attivamente con l’ambiente in modo non minaccioso.

A tal proposito è necessaria la presenza, non solo di personale qualificato e dedicato come gli psicologi all’interno dei reparti ospedalieri, ma risulta fondamentale la presenza dei volontari che dedicano il loro tempo e la loro persona alle attività con i bambini.

I volontari nei reparti aiutano a portare all’interno ciò che continua ad esserci all’esterno, aiutando il bambino attraverso il gioco a normalizzare e rielaborare la situazione in cui sta vivendo. Inoltre, supportano i genitori permettendogli di avere uno spazio proprio, in un momento in cui sono focalizzati unicamente sul loro bambino.

Come già anticipato, il benessere del bambino non dipende unicamente da lui stesso, ma i genitori giocano un ruolo fondamentale: tanto più i genitori vivono un vissuto di stress, tanto maggiore sarà tale vissuto anche nei bambini. Inoltre, un ulteriore fattore di stress da considerare potrebbe essere collegato alla necessità di andare in un’altra città per le cure del proprio figlio. In Italia fortunatamente, sono diverse le realtà Associative che si prendono cura dell’intero nucleo familiare, offrendo ospitalità alle famiglie. Per quanto riguarda nello specifico i bambini chirurgici di cui abbiamo trattato finora porto l’esempio di A.B.C. Associazione per i Bambini Chirurgici del Burlo Onlus che opera all’interno dell’IRCCS Burlo Garofolo, affinché questi bambini e le loro famiglie possano trovare il sostegno e l’aiuto necessari per affrontare più serenamente l’ospedalizzazione e il percorso di cura. Questa Associazione di volontariato, così come altre, offre diversi servizi alle famiglie, legati a tutte le necessità evidenziate fino ad ora, tra cui: l’ospitalità gratuita in appartamenti dedicati e pensati ad hoc per le famiglie; la presenza dei volontari in reparto, al fine di allietare il tempo del bambini e come già detto, di aiutarli a creare un loro spazio; un servizio di sostegno emotivo in reparto al fine di affiancare le famiglie ed accogliere le loro preoccupazioni, supportandole passo dopo passo; il supporto psicologico dalla diagnosi prenatale, progetto realizzato in collaborazione con l’IRCCS Materno Infantile Burlo Garofolo. Tale progetto consiste nella presenza di uno psicoterapeuta qualificato, che affianchi la famiglia fin dalla prima ecografia in cui viene diagnosticata una malformazione restando vicino ai genitori durante tutto il percorso di cura.

Sono molteplici le realtà italiane come A.B.C. Burlo Onlus, che sostengono e supportano le famiglie in un momento così delicato come il ricovero chirurgico.

Conclusione

In conclusione, così come riportato da Gabriel e colleghi (2018) l’esperienza chirurgica può incidere sul bambino sia da un punto di vista psicologico che comportamentale (es. disturbi del comportamento, disturbo d’ansia da separazione..) e questi a loro volta possono incidere su diversi outcome di tipo medico (es. aumento della percezione del dolore, bassi livelli di benessere generale).  È quindi importante considerare tutti questi aspetti ed intervenire precocemente ed in maniera preventiva sullo sviluppo di tali difficoltà.

Inoltre, ciò che emerge dalla letteratura è che gli ospedali pediatrici devono andare oltre l’aspetto medico della cura delle malattie, ma devono migliorare le implicazioni del disagio ospedaliero sui bambini, fornendo comunicazione, sostegno ed empatia.

Si è visto inoltre come il gioco sia di fondamentale importanza per la vita dei bambini e come sottolineano Li ed i suoi colleghi (2016), non dimentichiamo che i bambini hanno bisogno di giocare anche quando sono malati.

È fondamentale quindi la co-presenza di personale professionale dedicato, come gli psicologi, che possa supportare l’intero nucleo familiare durante il periodo del ricovero e dell’intervento chirurgico: intervenendo sugli aspetti emotivi del bambino e dei suoi genitori, aiutando nello sviluppo dell’intelligenza emotiva e supportando nell’elaborazione del momento; così come la presenza di personale non qualificato, come i volontari, che si dedica al bambino permettendo la creazione di un suo spazio di gioco, dove il bambino può esprimersi e liberare la mente da pensieri e preoccupazioni, anche solo per un breve periodo di tempo.

Per concludere, quindi, come riportato da Rokach (2016), i bambini ricoverati in ospedale sono comunemente confusi, spaventati e hanno bisogno di sostegno, rassicurazione, spiegazione di ciò a cui saranno esposti, ma, soprattutto, hanno bisogno di essere riconosciuti come persone che desiderano essere trattate non solo come “corpi”, ma come esseri umani con emozioni, dolore, malattia e preoccupazioni.

Ed è proprio ricollegandomi a quanto appena riportato che desidero concludere con questa poesia:

 

Io devo essere chiamato per nome:
Chiara, Mohammed, Antoine o Simone. E poi… chiamatemi con un sorriso,
dite il mio nome guardandomi in viso! ……………
Mi chiamo Asad, e un “leone” mi sento.
Mi chiamo Brigit, “la forte”, stai attento!
Mi chiamo Carmela, che vuol dire “giardino”.
Mi chiamo Luciana, “nata al mattino”.
Mi chiamo Wefo, “cavallo”, ti piace?
Io Kemirembe, “che porta la pace”.
E se mi chiamassi VATTELAPESCACOME….
Io devo essere chiamato per nome!  (Sarfatti, Fatus)

 

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