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Non-binary e salute mentale: ragionando su esperienze, identità ed espressioni che possono essere sia viaggio sia destinazione

Vivere in un mondo già costruito su esigenze altrui, senza poter trovare uno spazio proprio, è una questione chiave in terapia per i pazienti non-binary.

Di Greta Riboli

Pubblicato il 03 Set. 2020

Aggiornato il 01 Lug. 2022 13:58

Meg-John Barker (The Open University) e Alex Iantaffi (University of Minnesota) si sono occupati approfonditamente di psicoterapia con persone con identità non-binary, evidenziando una serie di punti che verranno riportati nel seguente articolo. Per una lettura più approfondita sul tema si rimanda agli articoli in bibliografia.

 

Pochi sono gli studi che si sono dedicati all’indagine della salute mentale delle persone con identità di genere non-binary. Gli studi presenti hanno però mostrato come le persone non-binary hanno livelli di salute mentale più bassi delle persone cisgender binary e transgender binary: coloro che esprimono il proprio genere in termini non binary sono ad alto rischio di autolesionismo e suicidio (Harrison et al. 2012). Detto questo, risulta importante sottolineare come l’esperienza di genere non binaria non ha di per sé una relazione intrinseca con la psicopatologia. Gli alti tassi di suicidio ed autolesionismo presenti in questa popolazione sono più ascrivibili alle sfide che tali persone devono affrontare nella vita di tutti i giorni: stigmatizzazione e discriminazione (Barker & Richards, 2013). Inoltre, le persone con identità non binaria vivono in un ambiente in cui le divisioni binarie sono applicate ad ogni aspetto della vita. Il genere è infatti uno dei primi elementi che riscontriamo in una persona che incontriamo. I negozi di abbigliamento hanno dei reparti binari, divisi infatti per genere, i bagni sono maschili o femminili, le persone ti chiamano “signore o signora”, spesso alle scuole dell’infanzia le file vengono create per genere, così le sfide durante l’ora di ginnastica, e così via. Lo stress che deriva dal vivere in un mondo già costruito su esigenze altrui, senza poter trovare uno spazio proprio, è una delle questioni chiave che la maggior parte dei clienti non-binary riporta in terapia. Imparare a navigare in un mondo prevalentemente binario come persona non-binary diventa uno degli obiettivi principali.

In altri casi, invece, la pressione può esser percepita ancora più pesantemente: le persone non-binary, immerse in un ambiente binario, sentono spesso di doversi conformare alle regole binarie del genere perché la loro esistenza venga legittimata. Il sentirsi invisibili o discriminati sono due tra le sensazioni più riportate da coloro i quali vivono questa esperienza.

Barker e colleghi (2015) hanno rilevato come le persone non-binary vivono stressor simili a quelli vissuti dalle persone con orientamento bisessuale e pansessuale, le quali presentano livelli di salute mentale significativamente più bassi di quelli riportati da persone eterosessuali o omosessuali.

Altri aspetti che vengono portati in terapia da persone non-binary possono essere il coming-out, stati di disagio legati alla possibile disforia di genere, e l’accesso al percorso di transizione di genere. Il percorso di transizione anche per le persone non binarie può essere totale come parziale, e nel percorso psicologico la soddisfazione o insoddisfazione per specifiche parti del proprio corpo (in relazione a sé o agli altri) prende uno spazio importante. Inoltre, la transizione parziale in alcuni casi porta a corpi “nuovi”, che la società sembra non essere ancora abituata a vedere ed integrare. Corpi che integrano le caratteristiche sessuali maschili-femminili o corpi che vanno totalmente oltre tali caratteristiche. Per questo motivo, per motivi legati all’accesso alle cure (differenti a seconda della nazione di riferimento) e per motivi che risultano ancora da esplorare, le persone non-binary si sottopongono meno a percorsi di transizione medicalizzati, rispetto alla controparte trans binaria.

Ulteriori tematiche portate in terapia sono le eventuali difficoltà riscontrate nelle relazioni romanticosessuali, all’apertura comunicativa con un altro che non necessariamente comprende/sperimenta/accoglie l’esperienza non-binary del partner.

I clienti non-binary potrebbero inoltre voler discutere con un esperto dell’esigenza di scegliere la terminologia che preferirebbero usare e che preferirebbero gli altri usassero per riferirsi ad ess*, spaziando tra le “etichette” (genderqueer, neutral, bigender, agender e così via), il nome e pronomi di riferimento. Importante considerare come, a questo proposito, la lingua italiana non è facilmente adattabile ad un linguaggio neutrale, al contrario della lingua inglese, in cui con il pronome “they” ci si può avvicinare molto più facilmente alla neutralità. Inoltre, è stato da poco inserito l’uso del suffisso “Mx”, inserito in alternativa a “Mr”, “Mrs”, “Miss” e “Ms”.

Essere a conoscenza dei possibili modi che una persona ha per esprimere il proprio genere diventa importante nel poter guidare il proprio paziente nell’esplorazione di ciò che è più adeguato ad esso: cambio di abbigliamento, uso degli accessori, taglio di capelli, uso del make-up, cambiamenti di postura, andatura, modificazioni del corpo tramite attività fisica e impostazione vocale. Il tutto non può prescindere dal tenere in considerazione il fatto che per persone con sesso assegnato alla nascita maschile, ogni piccolo cambiamento nei sopra citati aspetti comporta una percezione più marcata del genere, determinando una netta spaccatura tra il sesso assegnato alla nascita e l’espressione di genere, mentre per la controparte femminile tale confine è sdoganato. Nella moda stessa, già da molti anni, abiti socialmente considerati maschili sono stati indossati e disegnati per essere indossati da persone percepite come donne, basti pensare al vedere un uomo indossare una gonna rispetto al vedere una donna indossare un completo con cravatta. Nel primo caso molto probabilmente le persone potrebbero mettere in dubbio l’identità di genere della persona, mentre nel secondo caso l’impatto sulle riflessioni di genere è sicuramente meno marcato.

Non bisogna dimenticare il lavoro da svolgere con coloro che per anni hanno occupato un’identità sessuale omosessuale e che si ritrovano a ristrutturare la propria identità, considerando una visione non binaria legata più al genere che all’orientamento, perdendo in taluni casi il sostegno della propria comunità di riferimento o dovendo affrontare un ulteriore coming out con parenti e amici.

 


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La rubrica fluIDsex è un progetto della Sigmund Freud University Milano.

Sigmund Freud University Milano

 

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Barker, M. (2013). Mindful Counselling & Psychotherapy: Practising Mindfully Across Approaches and Issues . London: Sage.
  • Barker, M. J. (2015a). Depression and/or Oppression? Bisexuality and Mental Health. Journal of Bisexuality. doi: 10.​1080/​15299716.​2014.​995853.
  • Iantaffi, A. (2014). Family Therapy and Sexuality: Liminal Possibilities Between Systemic and Existential Approaches. In M.J. Milton (Ed.), On Sexuality: Existential Perspectives on Psychotherapy, Sexuality and Related Experiences . Ross-on-Wye, UK: PCCS Books.
  • Harrison, J., Grant, J., & Herman, J. L. (2012). A Gender Not Listed Here: Genderqueers, Gender Rebels, and Otherwise in the National Transgender Discrimination Survey . Los Angeles: eScholarship, University of California.
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