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Benefici dell’attività fisica sull’invecchiamento cognitivo. Come l’attività fisica incide sulle caratteristiche cognitive e psicologiche degli anziani

Alcuni studi suggeriscono che l'attività fisica potrebbe essere un mezzo efficace per mantenere le funzioni cognitive e motorie nell’invecchiamento.

Di Daniela Renzi

Pubblicato il 21 Set. 2020

E’ stato segnalato l’effetto positivo sull’invecchiamento di un regolare allenamento fisico che sembrerebbe migliorare l’umore, alleviare l’ansia e la depressione, e migliorare le funzioni cognitive globali come memoria, attenzione, inibizione e velocità di elaborazione.

Daniela Renzi – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi, San Benedetto del Tronto

 

La vita media si allunga, ne sono un esempio Paesi come Italia, Giappone, Singapore, dove si registra una speranza di vita alla nascita di 80 anni. Questo fenomeno ha portato a suddividere comunemente l’invecchiamento in due tempi: un primo compreso tra i 65 e i 74 anni, anzianità o terza età, un secondo che comprende la popolazione oltre i 75 anni, vecchiaia o quarta età. Negli ultimi anni un’ulteriore fascia ha acquisito rilievo, data la sua notevole crescita soprattutto in Italia, Spagna e Giappone, quella dei centenari. (ISTAT, 2011).

Quando si parla di invecchiamento, dunque non ci si riferisce a una categoria omogenea. Generalizzando si potrebbero elencare i tre tempi succitati, ma in realtà si devono considerare tutte quelle differenze inter-individuali che formano profili singoli, in base a caratteristiche biologiche, sociali, psicologiche e cognitive.

Sebbene molti individui sperimentino una qualche forma di declino fisico e cognitivo mentre invecchiano, abbondano esempi di persone che sembrano essere immunizzate contro questo processo. Uno di questi è la scrittrice canadese di 82 anni, Alice Munro, che ha ricevuto il Premio Nobel per la letteratura nel 2013. Alcuni individui mostrano grandi capacità fisiche; ad esempio, Olga Kotelko, a 94 anni, stava ancora viaggiando per competere in atletica leggera nella sua fascia d’età (è morta a 95 anni). Un ultimo esempio, è un altro canadese, Ed Whitlock, che ha compiuto il suo primo record mondiale in una maratona del 2004 nella categoria over 70; ha poi stabilito un altro record, a 80 anni, con un tempo migliore rispetto a tanti concorrenti più giovani. Questi sono alcuni tra i tanti individui per i quali il tempo sembra essere l’ultima preoccupazione, e che ispirano la ricerca a comprendere come lo stile di vita possa agevolare l’adattamento della persona al processo d’invecchiamento e proteggere il cervello dal declino cognitivo legato all’età. (Bherer, 2015)

I benefici dell’esercizio fisico

L’attività motoria permette di mantenere una propria indipendenza, previene la fragilità dell’anziano e quindi la richiesta di ospedalizzazione, che incide a sua volta sulla longevità della persona. Negli ultimi anni si è evidenziato che l’inattività fisica è uno dei predittori più forti della disabilità: una persona anziana, in forma e attiva ha un rischio inferiore del 36% di sviluppare limitazioni funzionali e un rischio inferiore del 38% di frattura dell’anca (Fried L.P. et al., 2001).

In uno studio recente Stathi et al. (2018) hanno elaborato un programma di allenamento, dal nome REtirement in ACTion (REACT), con lo scopo di prevenire la disabilità legata alla mobilità, rivolto alle persone anziane in pensione. L’obiettivo principale dello studio con REACT è valutare l’efficacia di un intervento di attività fisica incentrato sulla comunità, per ridurre la progressione delle limitazioni funzionali legate alla mobilità nelle persone anziane che sono ad alto rischio di transizione dall’indipendenza alla disabilità legata alla mobilità.

Inoltre un sotto-studio, condotto dal Wellcome Center for Integrative Neuroimaging, dell’Università di Oxford, attraverso la risonanza magnetica (MRI), si propone di testare l’ipotesi che l’intervento REACT rallenti il tasso di atrofia cerebrale e il declino della funzione cognitiva. I risultati sono ancora da attendere ma la direzione è quella di identificare programmi di allenamento che sostengano questa fase di vita o che addirittura riescano a migliorarne la qualità sia da un punto di vista fisico e strutturale, sia da uno psicosociale e cognitivo.

Un’altra ricerca rileva come l’attività fisica incida sui livelli di stress, nello specifico, sui livelli di ossidanti che vanno a condizionare il processo di invecchiamento. Questo studio comparativo ha esaminato gli effetti del normale esercizio aerobico a bassa intensità sui marcatori di stress ossidativo negli anziani. Lo studio è stato condotto su 15 soggetti sedentari, contro 18 soggetti che eseguono esercizi di fitness, tutti con almeno 65 anni. I risultati suggeriscono che l’esercizio aerobico, a bassa intensità, può essere utile per prevenire il declino degli antiossidanti legati all’invecchiamento (Bouzid et al., 2014).

Benefici sul piano cognitivo e psicologico

Negli adulti più anziani sani, è stato segnalato l’effetto positivo di un regolare allenamento fisico per migliorare l’umore, alleviare l’ansia e la depressione, e migliorare le funzioni cognitive globali come memoria, attenzione, inibizione e velocità di elaborazione. Gli effetti dell’allenamento fisico sulle funzioni cognitive e motorie sono stati generalmente esaminati separatamente. Una scissione alquanto sorprendente, dato che queste funzioni condividono sistemi di rete cerebrale simili e quindi si prevede che saranno influenzati da processi neurodegenerativi paralleli nell’invecchiamento. Ad esempio, i cambiamenti legati all’età, a livello strutturale e funzionale, delle sottostrutture prefrontali e dei gangli basali, sono stati associati a una serie di deficit cognitivi, come il declino della memoria, della velocità di elaborazione delle informazioni e dell’inibizione (Aron et al., 2007).

Un crescente numero di prove suggerisce che l’allenamento fisico generale aumenta la materia grigia e il volume della materia bianca nelle reti cerebrali prefrontali, che sono compromesse dai processi di invecchiamento, con una maggiore estensione rispetto ad altre regioni del cervello (Pfefferbaum et al., 2005) .

La National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES-III) ha rilevato che l’attività fisica, auto-riportata, correla positivamente con buone prestazioni cognitive, al contrario, bassi livelli di attività fisica cardiorespiratoria, sono stati associati a un più rapido declino cognitivo e una maggiore probabilità di sviluppare demenza (Carrington et al., 2014).

In un altro studio sull’esercizio aerobico è stato possibile evidenziare come questo tipo di allenamento, anche a breve termine, faciliti la neuroplasticità e riduca le conseguenze biologiche e cognitive dell’invecchiamento. Sono stati assegnati programmi di allenamento aerobico a un gruppo di 37 adulti, cognitivamente sani, tra i 57 e i 75 anni. Il programma era di 3 sessioni a settimana, un’ora a sessione, per 12 settimane. Una volta suddiviso il campione in attivi e sedentari, sono stati esaminati i livelli ematici del cervello e riscontrati miglioramenti a livello cerebrovascolare e cardiovascolare; a livello cognitivo i risultati positivi riguardano la memoria, le funzioni esecutive, le abilità visuo-spaziali e la velocità di elaborazione. Il dato più interessante riguarda l’attivazione dell’area cingolata, recentemente associata ai processi cognitivi superiori in età avanzata. I risultati dimostrano come gli adulti sedentari abbiano ricevuto un guadagno cerebrale, cognitivo e fisico, dopo solo 3 mesi di allenamento aerobico (Chapman et al., 2013).

Prese insieme, queste osservazioni suggeriscono che l’allenamento fisico potrebbe essere un mezzo efficace per prevenire l’atrofia cerebrale e mantenere (o addirittura migliorare) le capacità cognitive e motorie nell’invecchiamento.

Emergono domande come: ‘In che misura i miglioramenti nelle funzioni cognitive predicono i guadagni nelle funzioni motorie? E in che misura i diversi tipi di esercizio fisico influenzano in modo differenziale le funzioni cognitive e motorie?’.

In una rassegna sistematica, condotta nell’ultimo decennio, è stato esaminato l’effetto di diversi tipi di allenamento per le funzioni motorie e cognitive negli anziani. Il primo obiettivo consisteva nel verificare gli effetti benefici, specifici, degli interventi di esercizio fisico sul funzionamento cognitivo e motorio, in una popolazione sana di anziani. Il secondo obiettivo era studiare l’interazione tra guadagni cognitivi e motori, in relazione all’allenamento fisico usato. In linea con i suddetti scopi, la strategia di ricerca incluse combinazioni di interventi unendo, per esempio, programmi cardiovascolari (aerobica), con programmi di forza e/o di equilibrio e compiti motori e cognitivi, comunemente usati per la valutazione delle relazioni cervello-comportamento negli studi sull’invecchiamento. Lo studio si è concentrato principalmente sulle funzioni esecutive come elaborazione, attenzione, inibizione, che si sono mostrate cruciali per una buona prestazione nel funzionamento motorio grossolano e fine (locomozione, controllo del bilanciamento, tempo di reazione e coordinamento) (Seidler et al., 2010).

Attività specifiche

L’allenamento derivante dal Tai Chi. Un gruppo di ricerca di geriatri, neurologi, specialisti della riabilitazione, esperti di medicina sportiva e professionisti della medicina tradizionale cinese, ha elaborato una serie di esercizi denominati ‘Cognition Protecting Tai Chi’ (CPT). L’obiettivo era valutare gli effetti sulla funzione cognitiva, comportamentale, sullo stato d’animo e nelle attività quotidiane, in pazienti con una lieve demenza. Il gruppo di intervento praticava il CPT tre volte alla settimana, in sessioni da 20 minuti, sotto la guida dei terapisti. Il gruppo di controllo non praticava il CPT. Lo studio è stato condotto per 10 mesi. Il Tai Chi è un esercizio di mente-corpo aerobico con movimenti lievi e moderati, sicuri per gli anziani. Richiede concentrazione mentale e spostamento dell’equilibrio del corpo, con dolcezza e continua respirazione. È un allenamento consigliato per prevenire le cadute e inoltre, secondo uno studio condotto da Mortimer et al. (2012), questi esercizi abbinati a quelli del Baduanjin, incidono nella modulazione della struttura cerebrale e della funzione mnestica negli anziani. Dai risultati della risonanza magnetica (MRI) e delle prove di memoria, si evidenzia che le due attività potrebbero aumentare significativamente il volume della materia grigia nell’insula, nel lobo temporale mediale e nel putamen, dopo 12 settimane di esercizi. Da questa ricerca risulta che il Tai Chi e il Buduanjin aiutano a prevenire i deficit di memoria negli anziani, migliorano le funzioni cognitive e l’interazione sociale (Lyu et al., 2018).

Una ricerca si è concentrata sugli effetti dell’esercizio aerobico sulle funzioni esecutive, utilizzando il test di Stroop, negli anziani sani. Lo studio prevedeva 3 mesi di allenamento aerobico, 3 volte alla settimana, per 60 minuti a sessione. Il gruppo di intervento rispetto a quello di controllo, che non eseguiva il programma di allenamento, ha avuto migliori risultati nelle capacità fisiche e nella prestazione al test di Stroop, di inibizione/commutazione. Alla luce di questo studio è possibile affermare che gli interventi fisici, anche a breve termine, possono migliorare le funzioni esecutive degli anziani (Predovan et al. 2012).

Anche la danza è stata oggetto di studio, per valutare i cambiamenti che essa apporta su intelligenza, attenzione, tempo di reazione, abilità motorie, tattili e posturali, ma anche riguardo al benessere soggettivo e alla capacità cardiorespiratoria. I risultati sono stati positivi per le capacità posturali e tattili, ma anche per quelle cognitive e il benessere soggettivo (Kattenstroth et al., 2013).

Il nuoto, secondo una ricerca recente, risulta essere un’attività che, praticata regolarmente, correla con un migliore funzionamento cognitivo. I partecipanti allo studio dovevano eseguire una batteria di dieci attività: due sul tempo di reazione, che valutano la velocità di elaborazione delle informazioni, e 8 attività che valutano tre funzioni esecutive (inibizione comportamentale, aggiornamento della memoria di lavoro e flessibilità cognitiva). I risultati hanno mostrato che gli anziani che praticano nuoto in modo costante hanno migliori prestazioni sulle tre funzione esecutive, ma non sulla velocità di elaborazione delle informazioni (Abou-Dest et al., 2012).

Sulla scia di queste evidenze, insieme al gruppo di ricerca con cui ho lavorato sul mio progetto di tesi, abbiamo preso in esame due allenamenti differenti, la ginnastica dolce e l’escursionismo, con lo scopo di confrontare gli effetti sul piano cognitivo di un allenamento leggero rispetto ad uno più intenso.

È stato reclutato un campione totale di 116 partecipanti di cui 38 praticanti la ginnastica in palestra, 40 l’escursionismo in montagna e un terzo campione di 38 partecipanti sedentari, il gruppo di controllo.

La selezione dei partecipanti ha coinvolto uomini e donne tra i 65 e gli 89 anni, che praticavano attività fisica in modo regolare (2-3 volte alla settimana). Per reperire questi soggetti ci siamo avvalsi dell’aiuto dell’Università della Terza Età per i soggetti della ginnastica, e del CAI (Club Alpino Italiano) per coloro che fanno escursionismo.

Sono state valutate nello specifico la riserva cognitiva, l’attenzione, il funzionamento cognitivo globale e l’autoefficacia.

Dai risultati della ricerca è emerso che il gruppo sperimentale dell’escursionismo si è differenziato in modo significativo dai restanti due campioni, della ginnastica e dei sedentari, mentre i soggetti che praticano la ginnastica in palestra non hanno riportato significative differenze rispetto ai sedentari, piuttosto una somiglianza.

Ciò che rende gli escursionisti diversi dagli altri è una migliore Riserva Cognitiva che si riflette nei compiti di attenzione e nel funzionamento cognitivo globale. Dato il basso punteggio ottenuto nella sezione Lavoro del CRIq (Cognitive Reserve Index questionnaire), possiamo dire che gli escursionisti hanno avuto esperienze lavorative meno ‘protettive’ per la Riserva Cognitiva. Si potrebbe quindi ipotizzare che il tipo di lavoro non incida sulla qualità delle prestazioni cognitive, in quanto gli stessi hanno ottenuto migliori risultati nelle prestazioni attentive e nel funzionamento cognitivo globale, rispetto agli altri due gruppi.

Inoltre, gli escursionisti hanno ottenuto un punteggio migliore nella sezione del Tempo Libero, relativa alla Riserva Cognitiva, il ché mostra che queste persone hanno sempre svolto attività più salutari che, ipoteticamente, preservano dall’invecchiamento.

Quanto alla prestazione nel compito di attenzione (LCT), gli escursionisti sono stati più veloci e più accurati, poiché hanno ottenuto un numero inferiore di errori, ma, nonostante ciò, hanno realizzato un numero maggiore di omissioni. Si potrebbe dire che gli escursionisti sono più veloci, poiché caratterizzati da un maggiore spirito competitivo, che li porta a tralasciare maggiormente gli stimoli target necessari alla buona riuscita della prova.

In conclusione, è possibile affermare che l’attività di escursionismo indica profili migliori da un punto di vista cognitivo, anche se non è possibile definire la direzione di tale relazione in quanto non è possibile specificare se l’escursionismo migliori le abilità cognitive, oppure se, chi ha migliori prestazioni, tende a praticare questa attività. Certo è che i due aspetti vanno insieme. Nuovi studi serviranno a chiarire questa relazione.

Gli studi trattati evidenziano l’eterogeneità degli effetti di allenamenti specifici, ma ciò che risalta, è che ognuno di essi apporta guadagni notevoli, sia su un piano fisico sia su uno cognitivo e psicologico. Dunque la promozione di programmi per un invecchiamento attivo e di successo e una continua ricerca in questo campo è di fondamentale importanza per l’intera popolazione sia in un’ottica di prevenzione che nella gestione dei disagi legati a una fase di vita che vediamo espandersi nel tempo.

 

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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