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Il bilinguismo come fattore di protezione nell’invecchiamento sano e patologico

iI bilinguismo sembrerebbe agire da fattore protettivo nei confronti dello sviluppo di una demenza attraverso l’aumento della riserva cerebrale e cognitiva

Di Margherita Rovida

Pubblicato il 01 Giu. 2020

Vista la mancanza di trattamenti risolutivi per la demenza, l’OMS sottolinea l’importanza di focalizzarsi sulla riduzione dei fattori di rischio di demenza, o, specularmente, sullo sviluppo dei fattori di protezione.

 

La popolazione italiana sta invecchiando: questa considerazione, ormai parte del dibattito pubblico, è supportata dai dati Istat. Per citarne alcuni, la percentuale di individui di età superiore ai 65 anni in Italia nel 2019 era del 22,8%; quella di bambini e adolescenti fino ai 14 anni era pari al 13,2%. L’indice di vecchiaia, pari al 173.1%, ribadisce l’invecchiamento della popolazione italiana.

Uno dei risvolti di questa situazione demografica è la presenza, in Italia, di oltre un milione di pazienti affetti da demenza. In aggiunta, la prevalenza delle demenze tenderà ad aumentare, con conseguenze sulla qualità della vita dei malati di demenza, dei loro familiari o caregiver e con conseguenze anche a livello economico (i costi annuali per la presa in carico di ciascun paziente variano tra i novemila e i sedicimila euro; Osservatorio Demenze Istituto Superiore di Sanità).

Considerando la mancanza di trattamenti risolutivi per queste patologie neurodegenerative, cioè che comportano la perdita o l’alterata funzione delle cellule nervose (Vallar e Papagno, 2018), l’OMS sottolinea l’importanza di focalizzarsi sulla riduzione dei fattori di rischio di demenza, o, specularmente, sullo sviluppo dei fattori di protezione.

Uno dei possibili fattori di protezione preso in considerazione attualmente nel dibattito scientifico è il bilinguismo. Un esempio è lo studio di Alladi e colleghi (2013), il quale ha mostrato che l’esordio della demenza risulta ritardato di 5 anni nei bilingui rispetto ai monolingui cresciuti nello stesso contesto culturale.

Tuttavia, i meccanismi neurali e cognitivi che spiegano come il bilinguismo possa agire da fattore di protezione per la demenza sono ancora incerti. Ossia: quali sono i cambiamenti a livello cerebrale e a livello del funzionamento cognitivo che rendono il bilinguismo un fattore di protezione rispetto all’invecchiamento sano e patologico?

Gallo, Myachykov, Shtyroy e Abutalebi (2020) hanno proposto che il bilinguismo possa agire da fattore protettivo attraverso l’aumento della riserva cerebrale e cognitiva. Il costrutto di riserva si riferisce alla discrepanza tra l’estensione di un danno cerebrale e la sua manifestazione clinica (Stern, 2009). In altre parole, lo stesso danno cerebrale potrebbe causare difficoltà cognitive diverse, in base ad alcune differenze individuali nei processi cognitivi o nelle reti neurali ad essi sottese.

Stern (2009) individua due tipologie principali di riserva: la riserva cerebrale (ad esempio avere un cervello più grande, più neuroni o più sinapsi) e la riserva cognitiva (riguarda le differenze individuali nei processi cognitivi). La riserva cognitiva comprende: la riserva neurale (ossia l’efficienza, capacità e flessibilità dei network neurali che supportano i processi cognitivi) e la compensazione neurale (cioè la capacità di sfruttare strutture o reti neurali diverse da quelle usate da un individuo con un cervello sano per implementare lo stesso processo cognitivo / svolgere lo stesso compito).

Gallo e colleghi (2020), nella loro review, argomentano che il bilinguismo possa contribuire ad incrementare:

  • La riserva cerebrale: le persone bilingui hanno una maggior integrità della sostanza bianca e un maggior volume della materia grigia. L’aumento di volume della materia grigia riguarda sia aree corticali (tra cui ad esempio la corteccia prefrontale, la corteccia cingolata anteriore e i lobi temporali), sia aree sottocorticali coinvolte nel controllo esecutivo e nel linguaggio.
  • La riserva neurale: le persone bilingui sembrano avere maggiore flessibilità ed efficienza a livello delle reti neurali che supportano il controllo esecutivo, riuscendo così a compensare eventuali diminuzioni nel loro funzionamento cognitivo legate all’invecchiamento sano o patologico.
  • La compensazione neurale: gli studi considerati da Gallo e colleghi (2020) indicano che, a parità di funzionamento cognitivo, i bilingui hanno danno cerebrali più severi dei monolingui. Questo significa che i bilingui, pur avendo strutture cerebrali atrofizzate o danneggiate, riescono a manifestare un funzionamento cognitivo quasi normale.

Gallo e colleghi (2020) suggeriscono inoltre che una migliore teorizzazione degli effetti protettivi del bilinguismo sull’invecchiamento dovrebbe includere il costrutto di mantenimento cerebrale (Nyberg, 2012). Il mantenimento cerebrale si riferisce alle condizioni che consentono di preservare l’integrità strutturale, neurochimica e funzionale del cervello in età avanzata. Il mantenimento cerebrale è un concetto complementare a quello di riserva: il primo riguarda il rinvio della comparsa del declino cognitivo legato all’invecchiamento, il secondo riguarda le capacità di far fronte alla sua presenza (Nyberg, 2012).

Le conclusioni di Gallo e colleghi (2020) mettono in luce i benefici che il bilinguismo può apportare alla qualità della vita delle persone più anziane e, indirettamente, di chi se ne prende cura; benefici che bisognerebbe tenere in considerazione a livello personale, educativo e sociale.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Alladi S., Bak T.H., Duggirala V., Surampudi B., Shailaja M., Shukla A.K., Chaudhuri J.R., Kaul S. (2013). Bilingualism delays age at onset of dementia, indipendent of education and immigration status. American Accademy of Neurology, 81, 1-7.
  • Gallo F., Myachykov A., Shtyrov Y. e Abutalebi, J. (2020). Cognitive and brain reserve in bilinguals: filed overview and explanatory mechanisms. Journal of Cultural Cognitive Science.
  • Nyberg, L., Lövdén, M., Riklund, K., Lindenberger, U., & Bäckman, L. (2012). Memory aging and brain maintenance. Trends in Cognitive Sciences, 16, 292–305.
  • Stern Y., (2009). Cognitive reserve. Neuropsychologia, 47, 2015-2028.
  • Vallar G., Papagno, C. (2018, terza edizione). Manuale di neuropsicologia. Bologna: Il Mulino.
  • World Health Organization (2019). Risk reduction of cognitive decline and dementia: WHO guidelines. Geneva: World Health Organization.
Sitografia
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