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Immaginazione guidata e video-terapia

L'immaginazione guidata e video-terapia: il racconto delle molte potenzialità di questi strumenti attraverso il caso di Mirko.

Di Virginia Failoni

Pubblicato il 18 Giu. 2020

Siamo a inizio marzo, si inizia a parlare di distanza sociale, quarantena, lockdown. Il pensiero corre velocemente ai miei pazienti: dovremo interrompere le terapie? Quanti di loro accetteranno di continuare online?

 

Riusciremo a sentirci a nostro agio con uno schermo che ci separa (col senno di poi, direi più “che ci unisce”)? Ma soprattutto, la video-terapia sarà ugualmente efficace e potremo ottenere benefici da questo nuovo setting? L’isolamento sociale a cui siamo stati chiamati ha richiesto alla psicoterapia un adattamento importante a condizioni, oserei dire, uniche.

Prima dell’8 marzo di quest’anno, mi era capitato di fare delle sedute Skype solamente con una paziente e solo per 4 o 5 volte. Non mi allettava particolarmente l’idea della video-terapia, più che altro perché non ero sicura di esserne in grado, in realtà senza nemmeno averci mai provato realmente.

Ora però la faccenda della video-terapia si fa più pressante, andare in studio mette a rischio me e gli altri: decido di non voler interrompere le sedute perché alcune terapie sono in pieno assessment e stiamo gettando le basi per la ricostruzione degli schemi interpersonali, altre sono nel pieno della condivisione del funzionamento, altre ancora sono in una fase avanzata di promozione del cambiamento. Decido quindi di proporlo a tutti i pazienti, ma per alcuni in particolare sentivo ancor più opprimenti le domande che mi ponevo.

Tecniche esperienziali in psicoterapia: a quale scopo?

La Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) negli anni si è sempre più arricchita di tecniche esperienziali includendo tecniche corporee, drammaturgiche e meditative (Dimaggio et. al., 2019). Nell’utilizzare questi strumenti, possiamo perseguire differenti scopi a seconda della fase di terapia e, più nello specifico, della procedura decisionale che stiamo seguendo (Dimaggio et al., 2013). In TMI, se ci troviamo nella macrosezione iniziale di formulazione condivisa del funzionamento, con l’utilizzo delle tecniche esperienziali puntiamo a migliorare l’accesso al mondo interno del paziente ed accrescere il suo senso di agency su di esso, a migliorare le capacità metariflessive, a ricostruire gli schemi interpersonali, a promuovere la differenziazione. In una fase più avanzata, di promozione del cambiamento, ci porremo gli obiettivi di ampliare la differenziazione, adottare nuovi punti di vista e accedere alle parti sane, costruendo una visione di sé integrata (Dimaggio et. al., 2019). Fondamentale è l’utilizzo di queste tecniche prestando costante attenzione alla formulazione del caso e delle procedure decisionali, cercando sempre di lavorare nella zona terapeutica di sviluppo prossimale (Leiman, Stiles, 2001).

Quello che emerge dalla pratica clinica e dalla ricerca è che l’utilizzo di tecniche esperienziali e corporee quali immaginazione guidata, role-play, gioco delle due sedie, mindfulness migliora l’accesso al mondo interno ed accelera il cambiamento, coadiuvando senza dubbio le tecniche puramente cognitive (Arntz, 2012; Brewin et al., 2009; Lee & Kwon, 2013; Morina, Lancee, & Arntz, 2017; Norton & Abbott, 2016; Reimer & Moscovitch, 2015).

Tecniche esperienziali in video-terapia: immaginazione guidata

La quarantena mi ha costretta a fare ricorso alla costruzione di una massiccia dose di auto-regolazione del mio assetto mentale riguardo i miei timori sull’efficacia della video-terapia, ma soprattutto sull’essere personalmente in grado di lavorare in questo nuovo setting. Mi sono riallineata quindi con gli scopi delle terapie in corso che sarebbero proseguite online. In parole povere, ho deciso di sperimentare insieme ai miei pazienti ciò che avevamo già/non avevamo ancora provato in seduta dal vivo.

L’immaginazione guidata mi ha sempre affascinata ed ho deciso di approfondirne lo studio. Si ripete spesso che il terapeuta dovrebbe utilizzare strumenti che ben padroneggi e che – soprattutto – gli piacciano e lo facciano sentire a proprio agio, no? Ed è ciò che ho voluto fare.

Inizialmente mi sono domandata se lo schermo di un PC potesse rendere più difficile l’utilizzo di questa tecnica. Poi ho pensato anche che in fondo nell’immaginazione guidata il terapeuta non viene propriamente incluso, è una sorta di voce fuori campo, il paziente ha gli occhi chiusi ed è immerso nel ricordo. Lo vedremo tra poco, mi dico.

Immaginazione guidata in video-terapia: la storia di Mirko

Piuttosto che descriverne la teoria rischiando di annoiare (e annoiarmi), ho preferito snocciolare l’applicazione dell’immaginazione guidata attraverso il racconto di un paziente. Insieme abbiamo deciso di rivivere un ricordo emerso nelle ultime due settimane di terapia su Skype ed identificato da lui stesso come elemento centrale dei suoi problemi relazionali attuali: se esprimo le mie emozioni e i miei bisogni, oppure se perseguo i miei piani, l’altro soffre ed io mi sento in colpa perché faccio male alle persone che amo.

Mirko è un ragazzo di 27 anni. Evitare la critica dell’altro per paura del rifiuto e dell’abbandono è sempre stata una costante nella sua esistenza, la profonda convinzione di valere meno degli altri e di essere intellettualmente limitato lo bloccano da tempo, il resto del mondo è descritto come “capace” e dominante rispetto a lui. Dopo una vita vissuta all’insegna dell’evitamento cognitivo ed emotivo, entrare in contatto con le proprie emozioni sembra una vera sfida.

Regolazione della relazione terapeutica

Per prima cosa condivido con Mirko l’utilità ed il possibile beneficio dell’esercizio che gli sto proponendo. Gli anticipo anche che con tutta probabilità ciò evocherà dolore psicologico, ma che saremo in grado di regolarlo insieme, anche attraverso lo schermo. E’ la prima volta che torniamo su questa scena, perciò spiego al paziente che il nostro obiettivo primario è l’incremento dell’esperienza emotiva. In realtà per lui anche solo entrare in contatto con un’emozione sarebbe un ottimo risultato, quindi l’obiettivo è impegnativo. Ma entrambi ne siamo consapevoli perché la condivisione del funzionamento ormai è assodata da un bel pezzo. Mirko dice di essere curioso di quello che accadrà. L’alleanza terapeutica è solida ed entrambi siamo pronti ad intraprendere questo viaggio nel passato.

Evocare una scena definita nello spazio e nel tempo

Il racconto strutturato dell’episodio lo abbiamo dalla seduta precedente, perciò propongo un breve riassunto per entrambi, facendo attenzione ad includere chi era presente nella scena, dove e quando si è svolto l’episodio e tenendo a mente la struttura dello schema interpersonale di Mirko.

Brevi istruzioni

Spiego al paziente che dovrà raccontare la scena utilizzando la prima persona e l’indicativo presente, descrivendo suoni, colori, voci delle persone presenti, tutto ciò che lo aiuti a rivivere il ricordo come se fosse lì in quel momento, nel qui e ora, evitando di commentarla per bypassare l’io narrante. Preparo Mirko alla possibilità che io possa intervenire per farlo tornare nella scena e rimandando ad un secondo momento qualsiasi riflessione emergesse. Questo previene la possibilità che possa sentirsi invalidato se dovesse uscire momentaneamente dal ricordo per pensare, invece che rivivere (nota: lui stesso aveva precedentemente riconosciuto il suo meccanismo di evitamento “inizio a ragionare per non sentire emotivamente”, quindi è stato più facile condividere con lui l’intento di bypassare la narrazione).

Ingresso attraverso tecniche di grounding e mindfulness

Mirko è seduto sulla sedia in cucina, con le gambe rannicchiate al petto. Gli propongo un breve esercizio di grounding e mindfulness. Gli chiedo di provare a sistemare l’inquadratura in modo che possa vedere il busto per intero, per monitorare il più possibile buona parte del corpo (posizione delle spalle e del busto, velocità della respirazione, movimenti delle mani). Assume una posizione più composta, con i piedi che toccano il pavimento, la schiena dritta ma non rigida, le mani morbidamente sulle gambe. Gli chiedo di chiudere gli occhi, se gli va. Li chiude. Sente il contatto del corpo con la sedia. Immagina che dalle piante dei piedi fuoriescano radici che lo ancorano saldamente al pavimento. Porta l’attenzione sul respiro, senza modificarlo. Si sente rilassato e connesso. Possiamo cominciare.

Esecuzione dell’immaginazione guidata

Mirko ha 7 anni ed è nella sua cameretta con il fratello minore di 4. I genitori stanno litigando violentemente nella stanza accanto, urlano, lanciano oggetti, spostano mobili. I due bambini sono dietro la porta socchiusa ad ascoltare ciò che accade. Mi accorgo che Mirko sta raccontando, più che rivivendo il ricordo, perché descrive tutto in modo neutro, con il suo tipico distacco emotivo, il volto inespressivo, utilizza espressioni come “Penso di provare paura”. L’io narrante è attivo. Per aiutarlo ad entrare nella scena, faccio domande mirate su dettagli sensoriali: “Cosa vedi intorno a te?” “Il letto, i giocattoli”; “Com’è la luce che entra dalla finestra?” “Calda, arancione, sta tramontando il sole, è tardo pomeriggio”; “Guarda tuo fratello e nota che espressione ha” “E’ spaventato, sta per piangere, la sua faccia chiede aiuto, è come se dicesse “ho paura, aiutami””.

Proseguo. “Cosa stai pensando mentre guardi il volto di tuo fratello che chiede aiuto?” “Non devo mostrargli che ho paura anche io, altrimenti si spaventa ancora di più, non posso piangere”. “Guarda la sua faccia che ti chiede aiuto. Cosa provi?” “Sento come una doppia paura: i miei genitori stanno per separarsi e mio fratello è spaventato, come faccio a tranquillizzarlo?”

Mirko si muove nervosamente sulla sedia, appare agitato. “Cosa senti ora?” “Ansia, devo tenere il controllo. E’ un mio dovere non far peggiorare la situazione. Se mi ci metto pure io… Non so gestire la situazione”. Dal video noto che l’espressione di Mirko cambia, gli chiedo cosa prova. “Tanta tristezza per mio fratello che ha paura e per i miei genitori che stanno per separarsi”.

Noto nuovamente che Mirko è tornato a raccontare una storia, non sta sperimentando le emozioni dolorose che riporta. Decido di utilizzare la tecnica della ripetizione di frasi emotivamente cariche con marcatura, dando enfasi emotiva ed accentuandone le sfumature negative dello schema: “E’ sbagliato mostrare ciò che provo, Se mostro ciò che provo, l’altro soffre, Se mi lascio andare emotivamente, perdo il controllo sulla situazione e l’altro soffre, E’ più importante quello che provano gli altri rispetto a ciò che provo io, Non posso chiedere supporto, sono io a dover dare supporto”.

“Vorrei tornare al giorno prima, fare come se nulla fosse successo. Ora finisce, ora finisce, ora finisce. Più lo ripeto, più l’ansia aumenta. Sto mostrando a mio fratello che sono spaventato. Sì, ma non in modo volontario eh, comunque non gli faccio vedere che sto per piangere, quello no!” Sta di nuovo ragionando, quindi gli chiedo di ripetere a voce alta quelle frasi, prestando attenzione a come si sente.

Mirko inizia a ripetere, ma con scarsa convinzione nel tono della voce e con un’espressione del volto che leggo come vergogna. Gli chiedo un feedback su cosa stia provando. Ride imbarazzato. “Una sensazione stranissima. Mi vergogno a dire queste cose. Ma non di te. E’ che mi rendo conto che è la verità, ma io non la voglio dire a voce alta.” Gli chiedo di ripetere con un tono più deciso, il volume della voce più alto. Mirko appare agitato, il volto contratto dalla vergogna, le mani si muovono nervosamente. Ci riprova. “E’ fortissima questa cosa, mamma mia.” Fa un profondo sospiro, la voce trema, sembra che gli venga da piangere. Non era mai successo che si attivasse in questo modo in seduta. Lascio che sperimenti ancora per qualche secondo le emozioni dolorose, poi decido di interrompere l’immaginazione. Torniamo al respiro e all’ancoraggio al terreno tramite i piedi. Quando si sente pronto, riapre gli occhi.

Discussione sull’esperienza

Siamo tornati ad oggi, lui nella sua cucina, io nello studio di casa. Mirko cerca subito di distaccarsi dalle emozioni che fino a poco prima stava sperimentando, e ridendo mi dice: “Mamma mia, ho le mani sudatissime e mi lacrimano gli occhi”. Gli chiedo se stesse piangendo, provocandolo volutamente. Ride. “Non ti darò mai questa soddisfazione!” Ridiamo insieme. “Scherzi a parte, l’emozione è stata molto forte. Che strano…”. Procedo chiedendo un feedback sull’esperienza appena vissuta, prima di condividere le mie osservazioni con lui. Dice di aver provato forte ansia e gli chiedo di specificarmi dove l’abbia sentita nel corpo. Mi riporta la sensazione di spiazzamento e sorpresa alla mia proposta di ripetere le frasi che suggerivo, sottolineando la fatica nel ripeterle ed ammettendo di aver cercato di controllarsi mentre lo faceva la prima volta. Mi spiega come la vergogna provata durante l’immaginazione fosse legata al fatto di impedirsi di sentire ed esprimere ciò che prova, “è una cosa brutta da fare a me stesso”. Insieme notiamo come non importasse che anche lui fosse un bambino di soli 7 anni che sente i genitori litigare, che teme possano abbandonarlo (altro suo schema) e che ha bisogno di conforto, perché in quel momento aveva preso il sopravvento la paura di spaventare il fratello, il dover tenere tutto sotto controllo, il prendersi cura dell’altro a scapito delle proprie emozioni e dei propri bisogni. La sua storia era ricca di ricordi nei quali Mirko non doveva piangere perché era il fratello maggiore, Mirko non doveva fare i capricci perché c’era già il fratello a farli, Mirko doveva prendersi cura del padre che si era ammalato gravemente. Ne avevamo già parlato altre volte, ma ora abbiamo avuto l’opportunità di incarnare la forza dello schema. Noto che Mirko è ancora attivato emotivamente (e ne sono “terapeuticamente” felice), gli chiedo nuovamente cosa stia provando. E’ positivamente scosso perché non aveva mai provato nulla di così forte, è come se gli stesse “scorrendo davanti agli occhi tutta la vita, vissuta pensando sempre a cosa pensa l’altro, a come sta l’altro, a come reagisce l’altro. Mi sono dimenticato di me”. Valido la fatica di Mirko nell’esporsi alle emozioni dolorose di quel ricordo, rimandandogli come fossero state visibili dal suo non verbale, particolarmente evidente grazie all’inquadratura della webcam. Mi soffermo quindi sull’importanza dell’esperienza emotiva appena vissuta, che era riuscita ad interrompere l’evitamento.

Benefici dell’immaginazione guidata: agire le nuove consapevolezze

Nei giorni seguenti, Mirko ripensa a tutte le volte in cui nella sua vita ha soppresso i propri bisogni, desideri, propensioni, piani anteponendo la felicità altrui alla propria. Il giorno precedente la nostra seduta, decide spontaneamente di mettere alla prova lo schema e di interrompere il coping. Comunica a due cari colleghi la sua scelta di cambiare lavoro (desiderio emerso nell’ultimo mese e che gli stava creando grandi preoccupazioni non tanto per sé e per il cambio di vita repentino, quanto per le reazioni altrui). Nonostante il dispiacere e la sofferenza dell’altro – un collega si è messo a piangere – dopo uno o due minuti in cui avrebbe voluto ritrattare per evitare i sensi di colpa, Mirko si è poi detto che il suo futuro e la sua soddisfazione professionale fossero la cosa prioritaria alle quali prestare attenzione e cura. Nelle prossime settimane, la sfida più grande sarà comunicarlo ai suoi genitori.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Arntz, A. (2012). Imagery rescripting as a therapeutic technique: Review of clinical trials, basic studies, and research agenda. Journal of Experimental Psychopathology, 3(2), 189-208.
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  • Dimaggio, G., Montano, A., Popolo, R., & Salvatore, G. (2013). Terapia metacognitiva interpersonale: dei disturbi di personalità. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Dimaggio, G., Ottavi, P., Popolo, R., & Salvatore, G. (2019). Corpo, immaginazione e cambiamento. Terapia metacognitiva interpersonale. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Leiman, M., & Stiles, W. B. (2001). Dialogical sequence analysis and the zone of proximal development as conceptual enhancements to the assimilation model: The case of Jan revisited. Psychotherapy Research, 11(3), 311-330.
  • Norton, A. R., & Abbott, M. J. (2016). The efficacy of imagery rescripting compared to cognitive restructuring for social anxiety disorder. Journal of Anxiety Disorders,40, 18–28.
  • Lee, S. W., & Kwon, J. H. (2013). The efficacy of imagery rescripting (IR) for social phobia: A randomized controlled trial. Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry,44(4), 351–360.
  • Morina, N., Lancee, J., & Arntz, A. (2017). Imagery rescripting as a clinical intervention for aversive memories: A meta-analysis. Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry,55, 6–15.
  • Reimer, S. G., & Moscovitch, D. A. (2015). The impact of imagery rescripting on memory appraisals and core beliefs in social anxiety disorder. Behaviour Research and Therapy,75, 48–59.
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