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Compassion Focused Therapy: come la compassione può aiutarci di fronte all’emergenza coronavirus – Intervista al grande Paul Gilbert

La compassione comprende due qualità essenziali, il coraggio e la sapienza, ed ha lo scopo di prendersi cura tanto degli altri, quanto di se stessi

Di Valentina Nocito

Pubblicato il 09 Giu. 2020

Aggiornato il 22 Ott. 2021 12:46

Con immenso onore, emozione e gratitudine ho intervistato il grande Paul Gilbert in tema di Compassion Focused Therapy (CFT) approfittando anche per chiedere, in vista del delicato momento comportato dalla pandemia da Covid-19, se ed in che modo la CFT può esserci di aiuto.

 

Paul Gilbert, Psicologo e Psicoterapeuta, Professore di Psicologia Clinica all’Università di Derby e fondatore della Terapia Focalizzata sulla Compassione, prova a spiegarci cosa intendere con il termine compassione.

La compassione è una motivazione e come tale necessita di uno stimolo per essere attivata a fare qualcosa, spiega il Prof. Gilbert, ricordandoci anche che lo scopo della compassione è quello di prendersi cura tanto degli altri quanto di se stessi.

Partendo dal ricordare come la funzione del nostro cervello sia quella di preservarci e difenderci da un pericolo o da una minaccia, il Prof. Gilbert continua spiegando che ogni volta che il nostro cervello percepisce uno stimolo di stress, cerca di eliminarlo o di reagire attivando un sistema di protezione (safety system) da quella che viene percepita come minaccia, con risposte ad esempio di attacco o fuga, ma anche attraverso il sistema calmante (soothing system) strettamente connesso all’aspetto relazionale e sociale del sentirsi in connessione con qualcuno. All’interno di quest’ultimo sistema ritroviamo le qualità di una mente compassionevole che, come in altre occasioni è stato approfondito, è da distinguere dai comportamenti visibili ad esempio nell’accudimento della mamma nei confronti del proprio figlio e che ci accomuna ai mammiferi, in quanto la compassione per essere tale, a differenza dell’accudimento, deve rivolgersi all’altro quanto a se stessi.

Questa premessa ci accompagna nel vivo dell’intervista dove il Prof. Gilbert ci spiega accuratamente, ma con un linguaggio chiaro ed accessibile anche ai non addetti ai lavori, il significato del termine compassione.

Definendola come “la sensibilità nel sentire e diminuire o eliminare la sofferenza in se stessi  e negli altri”, il Prof. Gilbert sottolinea come la compassione includa in sé due qualità essenziali ossia il coraggio e la sapienza. Il Prof. Gilbert ci riporta l’esempio dei pompieri che devono intervenire per spegnere un incendio, oppure ai nostri medici e personale sanitario che in questo momento stanno lavorando negli ospedali. Ciò che li aiuta nel loro lavoro e li guida, continua il Prof. Gilbert, è il coraggio perché solo la motivazione a voler aiutare non sarebbe sufficiente; serve il coraggio, ma anche la sapienza perché devono sapere cosa fare.

Ma come sviluppiamo queste due qualità?

Il Prof. Gilbert partendo dal coraggio, ci spiega anche in che modo possiamo lavorare per svilupparlo. Un primo suggerimento è quello di iniziare con il porci la domanda: che cosa ci potrebbe essere di aiuto ad affrontare le nostre difficoltà o paure?

Sappiamo che i nostri pazienti tante volte si allontanano dall’affrontare paure e sofferenza. Dunque la prima cosa è prestare attenzione e riconoscere quello che sentiamo e pensiamo, per sviluppare la consapevolezza. Sviluppare la consapevolezza, sottolinea il Prof. Gilbert, è la prima cosa da fare.

Lo step successivo invece, diventa riuscire a tollerare questa sofferenza, guardando e cercando di comprendere cosa genera sofferenza e l’ultima cosa da fare in questa fase è di accettare quello che si sente (in termini di emozioni, sensazioni, pensieri) e non giudicare.

Ed ora vediamo la parte della sapienza.

In questo caso il Prof. Gilbert, suggerisce che dovremmo chiederci: qual è la cosa che penso possa essere utile per me?

Dunque la mente deve riuscire a focalizzarsi su ciò che può servirci veramente, su ciò che può essere utile anche ad affrontare le nostre difficoltà. Anche in questo caso, ci ricorda il Prof. Gilbert spesso tendiamo all’autocritica, la colpa, la vergogna, ma tutto ciò non è di aiuto.

La CFT invece, attraverso una serie di tecniche ed esercizi, aiuta le persona a sviluppare una mente compassionevole, che possa rivelarsi più di aiuto, supporto, che in modo gentile e non giudicante infonda calma, invitando a fare un passo alla volta. Tutto ciò, ci suggerisce il Prof. Gilbert, può contribuire al nostro benessere ed alla nostra serenità.

Viene sottolineato spesso dal Prof. Gilbert che abbiamo bisogno di farci alleati il nostro corpo e la nostra mente. In tal senso, potrebbe essere utile rappresentarci una figura compassionevole, con qualità compassionevoli ed immaginarcela, immedesimarci e provare a sentire le sensazioni che nascono in noi, che percepiamo sul nostro corpo e soprattutto la differenza che percepiamo riuscendo a spostarci da una mente in stress ad una mente compassionevole.

Una mente compassionevole infatti, non ci spinge a scappare, ad attaccare, a difenderci come quando abbiamo paura, ma ci consente di chiederci ad esempio: quali sono le azioni da intraprendere di fronte a questo problema? Quali sono le azioni che mi aiuterebbero in questo momento? Come posso aiutare il mio corpo per aiutare la mia mente?

Un altro esercizio utile in tal senso potrebbe essere anche allenarsi sulla respirazione.

Imparare a respirare in modo calmo, profondo e rallentato, spiega il Prof. Gilbert, con una adeguata postura del corpo, che si predisponga con un atteggiamento di apertura, inspirando, trattenendo per qualche secondo e ed espirando cercando di essere consapevoli di che cosa il nostro corpo sta provando, diventa molto utile per infondere calma alla nostra mente ed a nostro corpo quando proviamo ad esempio paura o stress.

Questo esercizio, ci suggerisce il Prof. Gilbert, svolto per circa due minuti, consente pian piano di percepire un corpo più rilassato. A tale esercizio, continua a spiegarci, può essere utile portare attenzione alla sensazione dei nostri piedi ben ancorati per terra, nel qui ed ora, ed assumere l’espressione di un sorriso sul nostro viso.

Il nostro cervello è molto complesso nel suo funzionamento e comprenderlo non è semplice. In riferimento ad esempio alle emozioni, la mente è capace di sperimentarne di diverse “e non c’è nulla di sbagliato in questo”, sottolinea il Prof. Gilbert durante la nostra intervista, anche se spesso emozioni come paura, rabbia, tristezza non vengono accettate cercando di opporci ed evitarle, sviluppando a volte anche senso di colpa, vergogna ed un atteggiamento critico verso se stessi.

Una mente compassionevole invece, è un mente gentile, sapiente, coraggiosa, non giudicante, paziente che non critica e non si dà colpe per come si è o per ciò che si sente.

Pensiamo di nuovo ad esempio al vigile del fuoco, ci suggerisce il Prof Gilbert, o al personale sanitario che lavora in ospedale specie in questo momento e che sente la paura. Ma quello che loro fanno è concentrasi su quello che devono fare, sul loro compito. Utilizzano le loro abilità per arrivare al loro obiettivo corrispondente a “come posso essere di aiuto?”. Questo riescono a farlo, sottolinea il Prof Gilbert, perché agiscono sapientemente e con coraggio.

 

Immagine 1 – Il Professor Paul Gilbert

A partire dal riferimento nel suo esempio ai medici e personale sanitario che si trovano a lavorare negli ospedali e rispondere in prima linea a quanto causato dalla diffusione e gravità del virus covid-19,  ed in riferimento ai suoi lavori circa i tre sistemi di regolazione emotiva ho voluto chiedere al Prof. Gilbert, quale dei tre sistemi da lui elaborati stesse lavorando di più in queste persone in questa condizione di emergenza coronavirus.

Per consentire anche a chi non conoscesse l’argomento, si riporta di seguito una sintetica descrizione dei tre sistemi di regolazione emotiva di cui si fa riferimento sopra:

  • Sistema di protezione dalla minaccia (Threat System), che opera attraverso l’attivazione di particolari strutture cerebrali, come l’amigdala e l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, responsabile del sistema attacco-fuga, volto a garantirci la sopravvivenza, mobilitandoci di fronte a una possibile minaccia, al fine di mantenere o ripristinare una condizione di sicurezza. Responsabile di emozioni come rabbia, ansia, disgusto, tristezza, gelosia, invidia, vergogna.
  • Sistema di ricerca di stimoli e risorse (Drive System) modulato dall’eccitamento, legato ad emozioni positive ed energizzanti connesse al circuito dopaminergico che ci consente di sperimentare sensazione di benessere e piacere; il soggetto è più propenso a credere che la sensazione di benessere sia legata al fare. Un sistema attivante che spinge alla realizzazione di scopi.
  • Sistema calmante, appagamento e sicurezza (Soothing System), un sistema che genera in noi sollievo, quiete e serenità. Caratterizzato da stati emotivi come la calma, la tranquillità, l’appagamento ed il rallentamento che sperimentiamo quando non ci sentiamo in pericolo, ci sentiamo apprezzati, accuditi; sembrerebbe strettamente connesso all’aspetto relazionale e sociale del sentirsi connessi agli altri, ed inoltre connesso anche a un maggior rilascio nell’organismo dell’ossitocina, una sostanza in grado di produrre sensazioni appaganti e calmanti.

Per saperne di più è consigliata la lettura dell’articolo La terapia focalizzata sulla compassione. Caratteristiche distintive (2018) di P. Gilbert – Recensione del libro.

Alla domanda se nei medici o nel personale sanitario in questo momento stia lavorando più il drive system oppure il soothing system, il Prof. Gilbert giustamente ci spiega che non è o/o ma lavorano tutti e tre insieme.

Il sistema di protezione percepisce il pericolo, il drive system ci aiuta a lavorare e fare il più presto possibile per uscire dalla minaccia ed il sistema calmante, invece, interviene quando cominciamo ad essere nervosi, agitati e per evitare che tali risposte emotive diventino eccessive e disfunzionali.

In tal senso può esserci utile respirare in modo lento e profondo, altro modo ci suggerisce il Prof Gilbert, è quello di sentirsi connessi agli altri, sentirsi di fare parte di una squadra.

Riprendendo l’esempio dei nostri medici e del personale sanitario, potrebbe essere utile ad esempio a fine turno prendere un the o un caffè tra colleghi, parlare di ciò che si sta vivendo e condividere le proprie paure, sofferenze, pensieri con persone che stanno vivendo le stesse cose. Ciò può aiutarli a recuperare tempo per calmarsi, tranquillizzarsi dallo stress al quale sono esposti, continuando a perseguire i loro obiettivi rimanendo compassionevoli.

L’ultima domanda che ho voluto sottoporre all’attenzione del Prof. Gilbert, in riferimento alle possibili conseguenze che da un punto di vista psicologico a seguito dell’emergenza coronavirus le persone potrebbero presentare (come aumento di ansia, paura della contaminazione, disturbo post traumatico da stress o condotte suicidarie), è se la CFT potrebbe essere utile non soltanto in termini curativi ma anche preventivi.

Il Prof. Gilbert ci spiega che potrebbe essere molto utile in quanto ci consente di spostarci da una mente stressata ad una mente compassionevole. Ci tiene però a sottolineare che all’interno della CFT non si parla di disturbi, ma di reazioni emotive normali e questo serve rimandarlo anche ai nostri pazienti, perché la persona che pensa di avere un disturbo potrebbe sentirsi ancora più ansiosa.

Il Prof. Gilbert invece, sottolinea che è utile far capire alle persone che ad esempio avere difficoltà del sonno, essere agitati, sentirsi non capaci di fare certe cose durante la giornata, sono effetti normali che si verificano quando si ha un momento di stress; ed ancora che la cosa più importante sapere che non si è mai soli, che ci sono altre persone che provano la stessa cosa, ed infine lavorare sui sintomi in modo compassionevole, e ciò rimanda a quanto descritto sopra.

L’intervista si conclude con una serie di esempi e suggerimenti che il Prof. Gilbert ci offre in riferimento all’emergenza coronavirus e che vi elenco di seguito:

  • Allenarci nella respirazione profonda e calmante;
  • Scrivere una lettera compassionevole a se stessi;
  • Evitare di rimuginare sullo stesso problema e criticarsi per quello che si prova, ma vedere tutto ciò come una risposta normale da parte della nostra mente, alla situazione che si stanno vivendo;
  • Ricordarsi di non essere i soli ma tantissima gente sta vivendo le nostre stesse esperienze;
  • Fermarsi provando a chiedersi e rispondere a cosa può servirci, cosa può esserci di aiuto in questo momento e provarlo a fare a piccoli passi;
  • Parlare con amici;
  • Trovare persone che hanno avuto esperienza simili e condividere.

Ed infine ricordandosi di trattarsi in modo compassionevole, muovendo i nostri passi con coraggio e saggezza.

 

Guarda il video dell’intervista:

 

 

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Valentina Nocito
Valentina Nocito

Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

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