Cosa significa regolare le proprie emozioni? Ed esiste un collegamento tra le nostre esperienze precoci di attaccamento a una figura di riferimento, la regolazione delle emozioni e come tendiamo a comportarci con i nostri partner e più in generale nei rapporti interpersonali?
Giulia Lo Verde – OPEN SCHOOL, Studi Cognitivi Modena
Introduzione
Uno dei motivi per cui spesso si sceglie di iniziare un percorso terapeutico è la difficoltà di gestione di un’emozione specifica e dei suoi riflessi a livello personale e interpersonale. Le emozioni, infatti, hanno una funzione importante di regolazione all’interno dell’ambiente che si manifesta soprattutto nella relazione con gli altri. Cosa significa regolare le proprie emozioni? Ed esiste un collegamento tra le nostre esperienze precoci di attaccamento a una figura di riferimento, la regolazione delle emozioni e come tendiamo a comportarci con i nostri partner e più in generale nei rapporti interpersonali?
Come sappiamo, e probabilmente come abbiamo provato più volte nell’arco di un’intera giornata, le nostre emozioni variano, sono mutevoli e dinamiche in risposta ad eventi di varia natura, compresi eventi interni come ad esempio un ricordo, un pensiero o anche un’immagine mentale.
Hanno una funzione fondamentale nell’aiutarci a conoscere e ad interagire con la realtà che ci circonda. Esse ci segnalano che è presente un cambiamento nella realtà esterna o interna che da noi è percepito come rilevante. All’emozione si accompagna una valutazione cognitiva dello stimolo emotigeno che ci prepara all’azione attraverso un’attivazione fisiologica e corporea (ad esempio sensazioni corporee e mutamenti dell’espressione facciale). Tutto ciò si traduce in una specifica risposta comportamentale (Zorzi e Girotto, 2004).
La maggior parte degli approcci teorici sulle emozioni evidenziano come ciò che pensiamo sia interdipendente e sia parte del processo emotivo. Pertanto, la variabilità dell’esperienza emotiva è dovuta a un processo multidimensionale e complesso.
Cos’è la competenza emotiva e dove la impariamo?
La competenza emotiva è la capacità di percepire e riconoscere le emozioni, di discriminare tra di esse, di nominarle e dare loro un nome. Questo comporta anche l’apprendimento e lo sviluppo di abilità metacognitive e di autoriflessività, la capacità sociale di riconoscimento delle emozioni altrui e l’abilità di regolazione del nostro comportamento e della manifestazione delle nostre emozioni.
Quando si manifestano problemi legati alla sfera emotiva, sono presenti difficoltà legate all’acquisizione di queste competenze che ci aiutano anche a gestire lo stress e le situazioni difficili.
Un contributo fondamentale nello sviluppo e nell’apprendimento di tale competenza sono le esperienze precoci avute durante l’infanzia, mediate dai nostri caregiver. Per permettere ciò è necessario un ambiente che validi le nostre esperienze emotive senza negarci di provare emozioni positive e negative, riconoscendone le funzioni e le espressioni adeguate al contesto, aiutandoci a sviluppare la nostra competenza emotiva.
Cosa accade se ciò non avviene?
Disregolazione emotiva e alessitimia
La regolazione emotiva è un’abilità che ci aiuta nel rapporto con noi stessi e con gli altri perché ci permette di capire cosa stiamo provando e cosa stanno provando e sentendo gli altri.
Quando questa abilità è deficitaria si parla in psicologia clinica di alessitimia e di disregolezione emotiva. L’alessitimia è la difficoltà a identificare i sentimenti propri e altrui, a riconoscere le espressioni facciali, a descrivere le emozioni. Consiste inoltre, nell’avere una scarsa capacità immaginativa, uno stile di pensiero orientato verso l’esterno e la tendenza alla somatizzazione delle emozioni (Taylor, Bagby & Parker, 1997).
La disregolazione emotiva è una difficoltà nell’autoregolazione dei propri stati interni e nell’espressione di tali stati emotivi in modo adeguato in risposta all’ambiente circostante. Ciò significa che sono presenti deficit nell’utilizzo flessibile di strategie per modulare l’intensità e/o la durata dell’esperienza emotiva (Gross & John, 2004).
Quando l’ambiente di sviluppo viene definito invalidante, il bambino non apprende ad utilizzare strategie efficaci di regolazione degli stati emotivi né a tollerare emozioni difficili imparando a mettere spesso in atto strategie di evitamento e di mancata accettazione di esse prolungando di conseguenza l’esperienza emotiva negativa (Hayes, Strosahl & Wilson, 1999).
In particolare la disregolazione emotiva è associata alla tendenza ad agire legata all’emozione e a uno scarso controllo degli impulsi (Linehan, 1993; Melnick & Hinshaw, 2000). Campbel-Sills e Barlow (2007) suggeriscono che le persone con problemi di ansia e depressione impiegano delle strategie di regolazione degli stati affettivi controproducenti. Queste azioni hanno infatti il duplice effetto di accentuare l’intensità e la frequenza delle emozioni indesiderate (regolazione delle emozioni inefficace) e di contribuire all’intensificazione e alla persistenza dell’umore negativo (regolazione dell’umore inefficace). Più specificatamente, gli individui con disturbi d’ansia e/o depressivi, evidenziano una serie di difficoltà nel fronteggiamento dei vissuti emotivi: scarsa conoscenza delle emozioni e delle relative componenti, elevata tendenza a reagire negativamente alle esperienze emozionali e difficoltà nel recupero dalle emozioni negative (Mennin, Heimberg, Turk & Fresco, 2005).
Nei disturbi di personalità si rileva spesso la presenza di una difficoltà nella regolazione delle emozioni. Il cluster più rappresentativo di questa difficoltà è il cluster b. In particolare nel disturbo borderline di personalità è possibile rilevare numerose difficoltà nella regolazione degli stati affettivi. I soggetti con tale disturbo sono caratterizzati da: un eccesso di esperienze emozionali avversive, l’incapacità di regolare l’intenso arousal fisiologico, la difficoltà a distogliere l’attenzione dallo stimolo emozionale, la presenza di distorsioni cognitive e di difetti nella elaborazione delle informazioni, un insufficiente controllo dei comportamenti impulsivi correlati a emozioni positive e negative, la difficoltà a coordinare ed organizzare le attività utili al raggiungimento di un obiettivo non coerente con l’umore in condizioni di forte attivazione e la tendenza a “congelare” o dissociare i vissuti emotivi in condizioni di forte stress (Linehan, Bohus & Lynch, 2007).
Tutto ciò che influenze e quali connessioni ha con i nostri legami di coppia?
Attaccamento, esperienze precoci e relazione con gli altri
Come ci formiamo le idee che abbiamo su di noi e sugli altri? Come mai tendiamo a pensare spesso le stesse cose e le nostre relazioni molto spesso si somigliano?
L’attaccamento è quel comportamento che motiva il bambino a cercare la vicinanza fisica dei genitori, o di chi se ne prende cura, quando egli vive emozioni di paura, di sofferenza fisica e di dolore emotivo. Questo sistema comportamentale è presente per tutta la vita, è innato e regola la modalità con la quale, anche da adulti, saranno gestite le emozioni di paura e sofferenza (Bolby, 1973, 1980). Ogni individuo svilupperà pertanto il proprio e personale sistema di attaccamento modulato dalla relazione con la madre, diversa a seconda della tipologia di risposta della madre alle esigenze del figlio. Le differenti strategie sviluppate corrispondono ai diversi stili di attaccamento: sicuro, insicuro evitante, insicuro ansioso – ambivalente, disorientato/disorganizzato (Ainsworth, Blehar, Waters & Wall, 1978). La qualità della relazione di attaccamento condiziona le modalità di regolazione delle emozioni, le capacità sociali e lo sviluppo della funzione metacognitiva. Ciò permette di comprendere l’importanza che le relazioni di attaccamento hanno nella costruzione e nello sviluppo della nostra mente (La Mela, 2014). Durante il primo anno di vita, all’interno della relazione di attaccamento, il bambino elabora le informazioni riguardanti le reali e concrete risposte della propria figura di attaccamento alle proprie richieste di cura, vicinanza e protezione in un modello della figura di attaccamento che per generalizzazione diventa lo schema dell’altro. Nello stesso tempo, per rispecchiamento, le reazioni individuali del bambino al modo in cui la sua figura di attaccamento risponde alle sue richieste di cura, creeranno un modello di sé e delle previsioni sulle proprie future reazioni durante l’attivazione del sistema di attaccamento e, sempre per generalizzazione, plasmeranno una rappresentazione di sé valida anche al di fuori di una relazione di cura. È così che, all’interno della dimensione relazionale, partendo dalle memorie che abbiamo sulle nostre relazioni reali con le figure di attaccamento, si costruiscono lo schema di sé e dell’altro, le rappresentazioni e le aspettative delle relazioni interpersonali in vari contesti e non solo in quello di cura. Vengono a crearsi quindi degli schemi interpersonali che operano come griglie interpretative per elaborare le informazioni relative ai contesti interpersonali e per orientare il nostro comportamento in ambito relazionale.
Ognuno di noi mette in atto delle strategie nello stare con gli altri in base al contesto relazionale (bisogno di cura, contesto di sfida, ecc.), in base a come supponiamo che gli altri si relazioneranno con noi (disponibili, rifiutanti, leali, ecc.) e a come pensiamo di essere (autonomi, vulnerabili, non amabili, ecc.).
Lo sviluppo di un attaccamento sicuro durante l’infanzia promuove la costruzione di uno stato mentale “libero” (Main & Goldwyn, 1984) grazie al quale si hanno capacità cognitive e metacognitive, una serena espressione di tutte le emozioni e una diminuzione della possibilità di incorrere in equivoci comunicativi in situazioni in cui i segnali non verbali di natura emotiva sono complessi, favorendo la costruzione di un sistema cognitivo flessibile, in grado di accettare le nuove informazioni derivanti dal contesto sociale non come scompensanti ma arricchenti (Liotti 1994/2005).
Se l’interazione con il nostro caregiver non ci permette di sviluppare un attaccamento sicuro?
Schemi disfunzionali, regolazione emotiva e relazioni
Nonostante durante l’infanzia gli schemi interpersonali che si sono sviluppati da stili di attaccamento insicuro risultino utili a rispondere al meglio alle modalità interpersonali delle figure significative, nella vita adulta limiteranno la vita relazionale. Essi infatti renderanno più probabile la costruzione di un sistema cognitivo-affettivo povero e rigido, oppure talmente lasso, incoerente e non integrato da favorire la costruzione in età adulta di cicli interpersonali disfunzionali (Liotti 1994/2005).
Gli schemi che tendono alla rigidità sceglieranno di escludere alcune informazioni che non concordano con le nostre aspettative e, senza alcuna consapevolezza, si preferiranno tipologie di persone e di relazioni che li confermeranno. Ciò significa che siamo portati a confermare i nostri schemi interpersonali disfunzionali scegliendo di rimanere in relazioni non soddisfacenti. Nel tentativo di proteggere la stabilità degli schemi, è probabile che si creino dei cicli interpersonali che determineranno un rinforzo degli schemi stessi. Gli schemi interpersonali non solo influenzano la rappresentazione di sé e dell’altro nei vari contesti, ma creano aspettative sulle emozioni che si proveranno e determinano le strategie comportamentali volte a gestire i vari eventi relazionali. Ciò che è deficitario e problematico è la difficoltà nell’espressione dei bisogni coerentemente con il contesto (di cura, di accudimento ecc.) e la modalità (strategia) con la quale vengono richiesti.
Ad esempio se un individuo ha uno schema di sé come vulnerabile, avendo avuto scarse esperienze di accudimento nei momenti di difficoltà, di fronte ad uno stress potrebbe non esprimere una richiesta di aiuto in maniera efficace, in particolare dal punto di vista emotivo (espressione facciale, richiesta esplicita del bisogno, ecc..), ma potrebbe farlo con rabbia generando nell’altro un distanziamento o un abbandono, confermando pertanto la sua rappresentazione dell’altro come non disponibile e cattivo. Gli schemi, pertanto, favoriscono la creazione di cicli interpersonali problematici anche a causa di un’estrema difficoltà sia nella comprensione che nella gestione delle emozioni proprie e altrui (disregolazione emotiva), generando dei veri e propri equivoci comunicativi, i quali sono peraltro tipici e ripetuti per ogni singola persona.
Cosa sostiene la ricerca sulle coppie?
Ricerche recenti indicano che la disregolazione emotiva è associata a tassi più elevati di aggressività psicologica tra i partner, poiché la disregolazione emotiva è caratterizzata dalla difficoltà ad utilizzare strategie che permettano alle persone di rispondere in modo non aggressivo quando sono turbati (Dutton & White, 2012; Shorey, McNulty, Moore & Stuart, 2015). Gli studiosi dell’attaccamento sostengono che primariamente le persone imparino a regolare le emozioni attraverso la relazione con le prime figure di attaccamento e, successivamente, queste esperienze infantili influenzino poi le loro capacità di regolazione emotiva nel contesto delle loro relazioni adulte (Bowlby, 1988). Infatti si è riscontrato che le persone con attaccamento insicuro, le cui esperienze con le figure di attaccamento hanno portato ad una visione di sé come non degna di amore o di una visione degli altri come emotivamente non disponibili – o entrambi – sono più propensi a sperimentare disregolazione emotiva (Karakurt, Keiley & Posuda, 2013).
Uno studio effettuato sulle coppie (Cheche, 2017) ha voluto indagare come l’attaccamento insicuro (ansioso o evitante) sia associato alla disregolazione emotiva negli individui e, sapendo che la disregolazione emotiva aumenta il rischio di aggressione psicologica nei confronti di un partner durante una situazione conflittuale, come la disregolazione emotiva abbia un ruolo mediatore tra attaccamento insicuro e aggressività psicologica nelle coppie. Inoltre i ricercatori hanno indagato la relazione tra i livelli di attaccamento ansioso ed evitante e i livelli di aggressione psicologica dell’individuo stesso e anche i livelli di aggressione psicologica del partner in risposta all’attaccamento del compagno. Lo studio ha esaminato i livelli delle variabili su 110 coppie e ha rilevato che la disregolazione emotiva non spiega il rapporto tra livelli di attaccamento insicuro e aggressione psicologica come già riscontrato da Riebel (2015).
Considerando come la capacità di regolare le emozioni, così come il modo in cui una persona interagisce con il proprio partner, quando si è angosciati sono aspetti importanti e particolarmente influenti della teoria dell’attaccamento dell’adulto (Mikulincer & Shaver, 2012; Babcock, Jacobson, Gottman & Yerington, 2000), gli autori ritengono sorprendente che la disregolazione emotiva non medi almeno parzialmente l’attaccamento e l’aggressione psicologica nella coppia. Essi ipotizzano che l’attaccamento insicuro possa predire altri tipi di comportamento disadattivo nei rapporti come criticare o fare ostruzionismo verso il partner anziché utilizzare l’aggressività psicologica e che questa relazione sia mediata dalla disregolazione emotiva.
I soggetti con attaccamento ansioso potrebbero non mettere in atto comportamenti psicologicamente aggressivi perché tali comportamenti potrebbero creare troppa distanza con il partner mentre la loro modalità di ricercare in modo maladittivo supporto è più vicina a infastidire o a trovare difetti nel partner. Al contrario, i soggetti con attaccamento evitante è più probabile che manchino di consapevolezza della loro disregolazione e che tendano a chiudersi e a isolarsi dal partner quando sono angosciati piuttosto che mettere in atto comportamenti psicologicamente aggressivi. I ricercatori hanno però riscontrato una relazione tra i livelli di attaccamento insicuro e una reazione psicologica aggressiva del loro partner sia negli uomini che nelle donne. Ad esempio, livelli più elevati di attaccamento ansioso di un partner sono associati con l’iperattivazione del sistema di attacco dell’altro partner durante una situazione stressante per l’utilizzo di comportamenti quali avvinghiarsi al partner, controllarlo o insistere rabbiosamente per avere una sua risposta che potrebbero spingerlo a rispondere con un’aggressione psicologica per creare distanza e allontanarlo (Shaver & Mikulincer, 2002, Brennan, Clark & Shaver, 1998). Al contrario, i soggetti con attaccamento evitante sono più propensi a disattivare situazioni di stress emotivo, spegnendo l’emotività ed evitando pertanto il conflitto con il partner. È però emersa una relazione tra entrambi i tipi di attaccamento insicuro (ansioso ed evitante) e la disregolazione emotiva.
Concludendo, sarebbe necessaria un’indagine ulteriore di come queste variabili siano interconnesse tra loro in particolare alla luce della cornice teorica che esiste in letteratura sull’attaccamento e sulla disregolazione emotiva.
È evidente come, anche in questa ricerca, siano presenti cicli interpersonali che tendono a ripetersi e a mantenersi nelle coppie attraverso un’interazione reciproca tra il proprio stile di attaccamento, la propria regolazione emotiva e la conseguente costruzione di schemi interpersonali e il tipo di attaccamento, la competenza emotiva e gli schemi del partner.
Spesso ci diciamo che “incontriamo sempre persone sbagliate” non accorgendoci che alla base ci sono le nostre modalità relazionali che in determinati contesti interpersonali, ci inducono a mettere in atto comportamenti che favoriscono risposte negative da parte dell’altro.