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Il colloquio clinico (2017) di Roberto Anchisi e Mia Gambotto Dessy – Recensione del libro

'Il colloquio clinico' tratta i principi del colloquio in ottica cognitivo-comportamentale e fornisce indicazioni mirate in base al disturbo del paziente

Di Chiara Daldosso

Pubblicato il 06 Mar. 2020

Il colloquio clinico è uno strumento agile e ben fatto per chi non ha maturato molta esperienza o vuole rinfrescarsi la memoria e aprirsi alla riflessione sulla propria pratica clinica. Illustra bene come si conduce il colloquio con un paziente, secondo l’approccio cognitivo-comportamentale.

 

Il colloquio clinico: struttura e argomenti del libro

Il testo si dispiega in 100 domande, distribuite tra 2 sezioni principali. Nella prima vengono presentati i principi del colloquio clinico nelle sue diverse fasi, caratterizzate da diversi obiettivi: creare una relazione di fiducia all’inizio, piuttosto che sostenere e motivare il paziente nella fase critica del cambiamento.

Nella seconda parte gli autori usano l’angolazione del tipo di psicopatologia per guardare al colloquio clinico e danno al lettore delle indicazioni su come affrontarlo a seconda che dall’altra parte della scrivania ci sia una persona con un disturbo di personalità, un disturbo d’ansia, un PTSD o un Disturbo Alimentare.

Seguono una trentina di pagine scritte da Marianna Vaccaro che presentano le peculiarità dei colloqui con bambini e adolescenti.

La lettura e la comprensione sono facilitati da appositi rimandi che invitano ad approfondire alcuni argomenti servendosi del glossario alla fine del libro.

Il colloquio clinico: dalla prima telefonata al trattamento

Fin dalle prime pagine il libro si mostra nella sua semplicità e solidità: è semplice perché i paragrafi sono brevi e si prestano bene anche a una lettura discontinua; risulta ‘solido’ perché è evidente la base teorica sottostante e la preparazione di chi scrive, che attinge molto al comportamentismo con l’analisi funzionale e l’RFT, ma integra con maestria spunti provenienti dall’ACT piuttosto che da Rogers.

In meno di 200 pagine, rassicura e fornisce indicazioni anche pratiche, attraverso molti esempi, che diversamente si riescono a reperire solo a lezione o chiedendo lumi ad un/a collega più navigato/a, come ‘Cosa dire per chiudere la prima telefonata che prelude al colloquio?’.

Non mancano riflessioni su competenze base come l’empatia o l’assertività e concetti fondamentali che secondo me ogni clinico dovrebbe saper tradurre ogni giorno nella sua pratica, come l’avere sempre in mente che il cliente è una persona, non un problema. Se facciamo nostro questo punto di vista cambia il modo in cui parliamo al paziente, cambia il modo in cui definiamo il suo problema  – ‘Paola ha un disturbo bipolare’ – e apriamo con lui/lei orizzonti di senso e spazio di lavoro, specie quando il primo passo è accettare e per farlo dobbiamo inventarci, insieme, le risorse.

Alcuni aspetti di quello che è utile/consigliabile fare in un colloquio clinico, come è inevitabile che sia in un testo che vuole dare un’infarinatura globale, sono solo accennati, sebbene meriterebbero di per se stessi parecchie pagine. Per citarne due, la differenza tra bisogni e valori piuttosto che l’autosvelamento: un clinico non più neofita sa quanto si può dire su questa mossa e quanto oculatamente vada usata con i pazienti che hanno disturbi di personalità, con i quali le regole ed i confini sono fondamentali e difficili da mantenere nei binari.

Il colloquio clinico: stare con il paziente ed il suo disturbo

Nella seconda parte si entra più nel dettaglio di tecniche e metodologie utilizzabili per i diversi disturbi. Leggere questa sezione stimola la riflessione sul proprio lavoro, perché presenta una moltitudine di approcci e ci ricorda che potremmo impostare un trattamento in corso in modo diverso da come lo stiamo conducendo, quindi può essere utile per migliorarci, rinnovarci e magari uscire da un momento di impasse.

Ho trovato particolarmente stimolante l’ottica ACT di concettualizzare il funzionamento dei pazienti con disturbi di personalità: dal narcisista al borderline al dipendente, ci sono spunti davvero interessanti ai quali attingere, anche solo per occuparsi di ‘porzioni’ del disturbo e della sofferenza, come ad esempio gli atti autolesionisti.

Il libro si conclude mettendo a fuoco alcuni aspetti peculiari del colloquio con bambini ed adolescenti. Viene ripreso il tema dell’autoapertura e viene messo in evidenza come, con gli adolescenti, può essere molto utile mostrare in modo autentico alcune proprie difficoltà passate o presenti per infondere coraggio.

Sì, l’ho trovato un bel libro e lo consiglio.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Anchisi R., Gambotto Dessy M. (2017). Il colloquio clinico. Hogrefe
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