La risposta di Francesco Gazzillo ai recenti articoli di Giovanni Maria Ruggiero e di Giovanni M. Ruggiero, Gabriele Caselli e Sandra Sassaroli, si inserisce all’interno di una discussione pubblicata da State of Mind sulla psicoterapia empiricamente supportata.
Quello che ho provato nel leggere i recenti interventi del dottor Ruggiero, e poi di Ruggiero, Caselli e Sassaroli su State of Mind è stata una sensazione di spaesamento. Criticavano mie posizioni che però non corrispondevano alle mie posizioni, e lo facevano da un vertice identitario e ideologico rispetto al quale non credo di poter dire nulla. È come discutere di calcio con un tifoso di una squadra, o di politica con un attivista di un partito, nello specifico di un partito sovranista. Una perdita di tempo.
Mi limito a chiarire un paio di punti, giusto perché mi possano attaccare per ciò che penso, non per la loro traduzione idiosincratica di ciò che penso.
Nel lavoro scritto con gli amici e colleghi Curtis e Dimaggio proponevamo un metodo di formulazione del caso, il Plan Formulation Method, radicato nella Control-Mastery Theory, che ha dati di affidabilità piuttosto solidi, segue una procedura standard rigorosa, e sembra, dati empirici alla mano, che dia indicazioni utili al clinico per favorire il miglioramento dei pazienti in terapia. Vero è che, rispetto alle procedure amate dal dottor Ruggiero, dà meno importanza alle funzione esecutive coscienti e più importanza a credenze e schemi e processi relazionali (i test) spesso inconsci, e che parte dall’assunto che i pazienti vengano in terapia con obiettivi specifici propri, a volte consapevoli e altre no. La CMT ha sempre riconosciuto il debito con Miller, Galanter e Pribram rispetto ai termini test e piano, ma non credo sia necessario citarli ogni volta. E, come il dottor. Ruggiero di certo sa, Pribram era un tale purista del cognitivo che scrisse un libro con l’analista Merton Gill su Freud. Ma forse dopo andò a confessare il peccato di slealtà. Il piano che noi clinici formuliamo è il piano del paziente – noi cerchiamo di esplicitarlo. E cerchiamo di capire se, quando e quanto dobbiamo condividere con il paziente stesso la nostra esplicitazione del suo piano. Sempre per inciso, anche noi lo formuliamo a inizio terapia – dopo tre o quattro sedute – e non sempre la sua formulazione passa per drammi e tormenti relazionali, come sembra pensare il dott. Ruggiero.
Il secondo punto in cui il Gazzillo che qui scrive non si riconosce nel Gazzillo narrato da Ruggiero & c. riguarda il metodo scientifico. Il Gazzillo che scrive è convinto che non vi sia miglior metodo di conoscenza, non lo baratterebbe con nessun altro metodo, e quando la ricerca ha dato torto alla teoria che amava, ha cambiato idea. Come molti sanno, tanto da essere accusato di essere “diventato cognitivista”. Cosa non vera, ma che non ha mai preso come offesa. Sottolineare che la ricerca scientifica possa subire influenze economiche, sociali e politiche è realismo, ma il bello del metodo scientifico è che non dà vicoli sul cosa bisogna trovare – a differenza delle ideologie – ma sul come mettere alla prova le proprie ipotesi. Ad esempio, che tutte le terapie empiricamente supportate per disturbi specifici siano, dati alla mano, sostanzialmente equivalenti in quanto a efficacia è un dato (invito a leggere il libro del 2015 di Wampold e Imel – e Wampold è un matematico prima e poi un terapeuta CBT approdato agli approcci umanistici – o la Declaration dell’American Psychological Association del 2012).
La conseguenza che i più ne traggono è che, dunque, a essere efficaci non sono tanto tecniche approccio-specifiche ma fattori comuni: alleanza terapeutica, aspettative positive, confronto con la realtà, esperienze emotive correttive, accettazione incondizionata, empatia percepita ecc. Altri ritengono che invece il verdetto di Dodo è dovuto al fatto che trattamenti diversi sono efficaci per pazienti diversi – ad es., i pazienti più introiettivi beneficerebbero maggiormente di terapie insight-oriented e quelli più anaclitici di terapie in cui il peso della relazione è maggiore. Io, invece, penso che sia sbagliato costruire terapie specifiche per disturbo, e sarebbe più utile costruire terapie specifiche per paziente. Anziché tradurre i problemi di una persona in una o più categorie diagnostiche e poi somministrare trattamenti pre-costituiti per quelle categorie diagnostiche, si tratta di elaborare formulazioni del caso specifiche per paziente, con procedure precise la cui affidabilità è stata dimostrata, come il Plan Formulation Method, e poi costruire una terapia specifica per quella persona, perché senso e funzione dei problemi e dei sintomi di una persona variano in funzione della persona stessa e della sua storia. Così come variano i suoi obiettivi, i suoi schemi patogeni e come li mette alla prova. Non c’è nulla di sapienziale. È solo un frame diverso, ugualmente passibile di ricerca empirica, e che già presenta ricerche empiriche a suo sostegno.
Chiudo, in tono semi-serio, dicendo che se la scelta è tra il sovranismo di Ruggiero e il leninismo del Gazzillo narrato da Ruggiero, Caselli e Sassaroli, io scelgo Lenin. Anzi, Marx e Engels: psicoterapeuti di tutto il mondo, unitevi, occupatevi di clinica e ricerca, e meno delle vostre identità! E mi scuso con i lettori, e soprattutto con Ruggiero, se il poco tempo a mia disposizione mi ha impedito di citare tutti gli autori che hanno detto cose simili alle mie prima di me, come Goldfried, solo per fare un esempio. E se non ho corretto alcune delle imprecisioni del suo discorso sul testo di Lenin Materialismo ed empiriocritismo. Ma ringrazio Borges che ha ispirato la prima parte del mio titolo.
Altri articoli sull’argomento:
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