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La suscettibilità ai falsi ricordi in contesti multipli

Un recente studio ha confrontato i tre diversi paradigmi che studiano lo sviluppo dei falsi ricordi dimostrandone le differenze alla base.

Di Serena Romiti

Pubblicato il 06 Set. 2019

Decenni di ricerche mostrano come le persone siano suscettibili a sviluppare falsi ricordi. Un falso ricordo è definito come il fenomeno di ricordare cose che non sono accadute o di ricordarle diversamente da come sono accadute

 

Un falso ricordo è definito come il fenomeno di ricordare cose che non sono accadute o di ricordarle diversamente da come sono accadute (Roediger & McDermott, 1995).

Ma se le persone sono indotte a sviluppare un falso ricordo in relazione ad un compito specifico o in un contesto particolare, sono portate a fare lo stesso in contesti diversi?

A tale proposito è importante riflettere sui meccanismi alla base della memoria e del consolidamento dei falsi ricordi, per osservare come, in alcuni casi, i processi della mente umana possano essere manipolati a proprio discapito.

La memoria non è solamente il “guardiano” del nostro passato, ma è un sistema attivo che riceve, immagazzina, organizza, modifica e recupera le informazioni. Tali informazioni vengono trasformate in ricordi che ci guidano nella vita di tutti i giorni e contribuiscono ad attribuire un significato a noi stessi e al contesto sociale in cui viviamo (Coon & Mitterer, 2016). I ricordi, tuttavia, possono essere soggetti a distorsioni o manipolazioni: essi sono suscettibili a influenze legate a suggestioni esterne e potrebbero contenere informazioni di eventi che non si sono mai verificati.

Modelli teorici alla base della formazione dei falsi ricordi

Per spiegare come i ricordi possono essere modificati senza nessuna particolare difficoltà, un recente studio, condotto da Nichols e Loftus (2019), ci presenta tre paradigmi teorici, i loro metodi e le differenze individuali riguardo il grado di suscettibilità.

Il primo è il Misinformation Effect (Loftus, Miller & Burns, 1978), un modello che riguarda l’esposizione a informazioni errate relative a un ricordo passato. Ad esempio, in un esperimento, dei partecipanti prendevano parte ad un evento del quale, successivamente, venivano fornite informazioni sbagliate. Quando veniva valutato il ricordo di questo evento la maggior parte dei partecipanti incorporava nel proprio ricordo le informazioni sbagliate e le presentava come se fossero state delle caratteristiche dell’evento stesso. Una spiegazione teorica per questo effetto è data dagli errori che si commettono nel codificare la fonte dell’informazione: spesso i soggetti non la codificano adeguatamente e la attribuiscono all’evento originale. Questo può accadere perché i due tipi di informazione, quella corretta e quella errata, hanno delle caratteristiche simili che rendono difficile la distinzione.

Un altro approccio per spiegare questo effetto è il Fuzzy Trace Theory (FTT; Brainerd & Reina, 2005). Questa teoria mostra due modelli di rappresentazione mentale del ricordo: il primo è una rappresentazione letterale, spesso vivida e molto dettagliata del ricordo, la seconda invece è una rappresentazione concettuale e sottoscrive il significato del ricordo e non le sue specifiche qualità. Queste rappresentazioni possono indurre un effetto di disinformazione perchè intervengono in modo inefficace o in un momento sbagliato della fase di richiamo dell’informazione. Tale paradigma presenta delle differenze individuali importanti che determinano il grado di suscettibilità del soggetto. La prima è l’età, per cui le persone più anziane tendono ad essere più soggette a questo effetto. Si è trovata, inoltre, una relazione positiva tra il modello e i soggetti con tratti di personalità estroversi e socievoli. L’effetto di disinformazione ha anche un’alta probabilità di presentarsi in caso di esperienze dissociative.

Un altro paradigma è il Deese-Roediger-McDermott paradigm (DRM; Deese, Roediger & McDermott, 1959), che induce falsi ricordi a causa di una convergenza di più associazioni semantiche su una sola parola. Ai soggetti viene presentata una lista di parole da memorizzare, tutte associate ad una parola critica. Essi devono memorizzare quante più parole possibili e riscrivere quelle che si ricordano meglio. Successivamente, vengono inserite parole “nuove” e parole “critiche”. Il soggetto deve poi definire se la parola che gli viene presentata è nuova o vecchia e, nel secondo caso, deve riferire se la ricorda e, quindi, se riesce a rievocare particolari relativi alla lettura di quella parola o se la conosce, cioè ricorda la lettura della parola ma non ne ricorda i particolari. Al momento del richiamo libero, la percentuale dei falsi ricordi per la “parola critica” è del 55%, mentre al compito di memoria del falso riconoscimento della parola critica, la percentuale sale all’81%.

Una teoria alla base di questo paradigma è l’Activation-Monitoring Hypothesis (Roediger & McDermott, 2000; Roediger, Watson, McDermoth & Gallo, 2001). Questa teoria afferma che l’item decisivo è creato sia durante la codifica che durante il recupero, a causa di un’attivazione diffusa, tramite cui i nodi, che rappresentano dei concetti in un network, sono attivati in prossimità e in ordine di grandezza rispetto all’attivazione degli altri nodi. Per questo motivo, la stimolazione di nodi-concetti uniti tra loro causa una diffusione dell’attivazione anche al nodo della parola critica non citata. Nella fase di recupero, il soggetto crede falsamente che sia presente anche la parola critica. Il tutto potrebbe dipendere da un collegamento sbagliato fra la fonte interna dell’attivazione mentale e la fonte esterna dell’ascolto delle parole.

Questo modello è considerato il metodo più utile ed efficace di induzione dei falsi ricordi. In relazione alle differenze individuali, anche in questo caso troviamo una relazione positiva tra il tratto della personalità dell’estroversione e il processo precedentemente esposto. Un’altra relazione positiva è presente con la tendenza a fantasticare e l’abilità di immaginazione.

Il terzo paradigma (Loftus & Bernstein, 2005), usato nello studio dell’induzione dei falsi ricordi, afferma che le persone possono sviluppare falsi ricordi relativi ai contenuti della memoria autobiografica. I ricordi attinenti al proprio vissuto possono essere completamente manomessi con informazioni errate riguardo il nostro passato che vengono consolidate nella memoria come falsi ricordi. Un esempio è un esperimento condotto su soggetti ai quali venne fatto credere erroneamente di essersi persi in un centro commerciale da bambini. Il 25% di loro, dopo interviste suggestive, ricordavano questo evento come se lo avessero vissuto davvero. Per la creazione di questi falsi ricordi sono state usate diverse tecniche psicologiche, dall’interpretazione dei sogni, l’ipnosi, il ricorso a feedback falsi e la visualizzazione guidata, oppure l’immaginazione guidata.

L’ultima tecnica dà origine al fenomeno dell’Imagination Inflation (Garry, Manning, Loftus & Sherman, 1996), secondo cui immaginare un evento che non è mai accaduto, fa sì che aumenti la nostra convinzione sull’effettiva avvenuta di quell’evento. Questo processo è supportato dalla creazione di falsi ricordi da parte dei soggetti o dalla formazione di una credenza che supporta che l’evento sia accaduto veramente. Questo effetto, a differenza del Misinformation Effect, ha un’origine interna. Un’ipotesi alla base di questa teoria è la Familiarity Misattribution Hypothesis (Jacoby, Kelley & Dywan, 1989), secondo cui un’esercitazione costante nell’immaginazione di un evento, rende questo evento più familiare e cognitivamente accessibile. Questa esercitazione è possibile quando si ha un’accurata e dettagliata elaborazione sensoriale.

In merito alle differenze individuali relative al grado di suscettibilità ai falsi ricordi che si sviluppano attraverso l’immaginazione guidata, molte di queste riguardano i tratti di personalità relativi alla dissociazione dalla realtà.

Tutti e tre i modelli sostengono la possibilità che la memoria e i ricordi degli eventi possano essere manipolati e distorti, tuttavia provengono da spiegazioni teoriche e metodologiche diverse le une dalle altre. Questa differenza è stata considerata come un ottimo punto di partenza per indagare se lo sviluppo dei falsi ricordi equivale in tutti e tre i paradigmi o se la formazione di un falso ricordo secondo un modello predice la formazione di un altro sulla base di un modello diverso.

Dalle recenti evidenze empiriche (Nichols & Loftus, 2019) emerge che non vi è nessuna relazione significativa tra i falsi ricordi studiati dai diversi modelli, anche perché nessuno ha mai esplorato la formazione dei falsi ricordi usando tutti e tre i modelli sugli stessi soggetti.

Per questo motivo è stato condotto uno studio (Nichols & Loftus, 2019) in cui si è indagato le relazioni tra i tre paradigmi e la performance della memoria in soggetti, in cui si è valutata l’ipotesi che le differenze individuali predicessero la funzionalità di ogni modello al fine di individuarne di nuove e valutare quale di queste collaborasse nella formazione di falsi ricordi. L’obiettivo è stato quello di utilizzare le differenze individuali per ridefinire i meccanismi alla base dello sviluppo dei falsi ricordi.

Ciò che emerge da questo studio (Nichols & Loftus, 2019) è che esiste una inter-relazione positiva tra i tre paradigmi nello sviluppo dei falsi ricordi, ma questa relazione, al livello di grandezza, non è statisticamente significativa. Tali risultati (Nichols & Loftus, 2019) confermano ancora una volta la natura di ogni singolo modello. In particolare il DRM nasce da processi interni e spontanei, il Misinformation Effect, invece, è dovuto a processi esterni suggestivi e l’Imagination Inflation si sviluppa quando ciò che si immagina viene confuso con ciò che è reale. Anche i ricordi che si formano sulla base dei modelli hanno una natura diversa: con l’Imagination Inflation il ricordo proviene dalla memoria autobiografica, con il Misinformation Effect si ha un ricordo di un evento esterno e il ricordo sulla base del DRM riguarda la memoria episodica. Il DRM, inoltre, coinvolge soltanto due fasi, ovvero la codifica e la verifica, mentre gli altri due coinvolgono quattro fasi che sono la codifica, la suggestione, l’immaginazione e la verifica. Quindi, i tre paradigmi si differenziano non solo nei loro metodi ma anche nel modo in cui vengono esperiti dai soggetti.

Le differenze individuali che possono portare allo sviluppo dei falsi ricordi presenti in ogni paradigma sono correlate tra di loro ma la correlazione risulta molto bassa e non statisticamente significativa. L’unico predittore comune ai tre modelli sembra essere l’aver vissuto esperienze anomale.

Conclusioni

Lo scopo di questo studio (Nichols & Loftus, 2019) è stato quello di rispondere a delle domande che fino ad ora nella letteratura non avevano trovato una risposta e che possono essere utili per la comprensione dei processi di memoria. Uno dei quesiti riguardava la predisposizione delle persone a sviluppare falsi ricordi in contesti multipli.

La risposta è evidentemente negativa poiché lo studio (Nichols & Loftus, 2019) non ha rilevato delle relazioni abbastanza significative tra i tre paradigmi studiati che sono stati presi ad esempio di tre possibili contesti in cui si possono sviluppare i falsi ricordi.

Questo, però, ci dimostra la natura onnipresente della distorsione della memoria poiché viviamo in contesti diversi che influenzano i nostri ricordi, per cui quando dobbiamo richiamare alla memoria un evento vissuto è probabile che questo abbia avuto delle influenze da diverse fonti con cui noi abbiamo interagito oppure da dettagli che abbiamo generato internamente o immaginato. Si è dimostrato, inoltre, che qualsiasi persona può essere vulnerabile alla formazione di falsi ricordi e quindi ad essere influenzata da informazioni che vanno a cambiare i ricordi degli eventi che ha vissuto.

In merito al grado di suscettibilità, presente più o meno marcatamente in ognuno di noi, questo recente studio (Nichols & Loftus, 2019) suggerisce alla ricerca futura, di indagare questo tratto attraverso tecniche di neuroimaging, affinché una prospettiva biologica possa fare più chiarezza sui dati raccolti.

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