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Rabbia da marciapiede e intolleranza alla lentezza: se solo fossimo più grati

La rabbia da marciapiede è il chiaro esempio di come molti di noi sembrano essere preda di una sempre più diffusa intolleranza alla lentezza..

Di Marina Morgese

Pubblicato il 16 Lug. 2019

La rabbia da marciapiede sembra essere il chiaro esempio di come molte persone oggi non riescono più ad accettare momenti di lentezza all’interno delle loro frenetiche giornate. Cosa ci ha portato a diventare così poco pazienti nei confronti della lentezza?

 

 “Chi si ferma è perduto” o, per lo meno, può diventare vittima di quello che, grazie alla lettura di un articolo di Chelsea Wald ho scoperto essere un disturbo alquanto diffuso e da alcuni studiosi anche riconosciuto: la Rabbia da marciapiede.

Prendendo atto della sua diffusione, mi sono resa conto di quante volte avessi già assistito al fenomeno: pedoni sull’orlo di una crisi di nervi quando dinnanzi a loro una persona cammina con lentezza, occupando tutto il percorso disponibile, non curante della fretta e del passo svelto di chi c’è dietro. Quella da marciapiede è la forma più diffusa, ma ciò accade anche tra gli automobilisti: i più frenetici e impazienti si trovano spesso a dover mal sopportare di essere in coda a veicoli che superano di pochissimo il limite minimo di velocità. Quel che sorprende di più è che ciò accade anche lontano dagli orari lavorativi o quando non si è in ritardo a un qualsivoglia appuntamento.

Cos è la rabbia da marciapiede

I ricercatori descrivono la rabbia da marciapiede come quell’esperienza di emozioni rabbiose contro altri pedoni e utenti della strada. Esistono due tipi di rabbia pedonale: passiva e attiva. La rabbia da marciapiede passiva è quella manifestata dai pedoni che si comportano come se fossero ignari o non curanti dei diritti e dei bisogni legittimi degli altri pedoni nelle vicinanze. Nel tipo attivo i pedoni aggrediscono verbalmente gli altri pedoni e si comportano in modo inappropriato nella folla, fino ad aggredire gli altri, come spesso documentato dai casi di cronaca (James, Nahl, 2000). E’ stata anche creata una scala di misurazione della Rabbia da marciapiede: la Pedestrian Aggressiveness Syndrome Scale, pensata da Leon James, ricercatore presso l’Università delle Hawaii. (James, L. 2010)

Perché siamo diventati così intolleranti alla lentezza?

Facciamo un piccolo passo indietro (non me ne voglia chi soffre di rabbia da marciapiede!): abbiamo detto che questo tipo di rabbia si attiva anche lontano dagli orari lavorativi o quando non si è in ritardo.

La rabbia da marciapiede diventa dunque il chiaro esempio di come molte persone oggi non riescono più ad accettare momenti di lentezza all’interno delle loro frenetiche giornate. Cosa ci ha portato a diventare così poco pazienti nei confronti della lentezza?

Pensiamoci un attimo: oggi pretendiamo che una pagina web si carichi in meno di un secondo o scorriamo velocemente tutti quei post che superano le 4 righe. Cosa è cambiato dai tempi in cui leggevamo con un certo interesse le opinioni degli altri (pensate alla fortuna della “Posta del Cuore” delle varie riviste settimanali) e cosa avevamo di diverso quando con una certa spensieratezza imitavamo il rumore del modem 56k mentre aspettavamo di connetterci?

Come si legge dall’articolo di Chelsea Wald, gli psicologi cognitivi ci suggeriscono che c’è uno scopo evolutivo nella pazienza e nell’impazienza: esse fungono da timer interno che ci permette di capire se abbiamo aspettato a sufficienza per ottenere qualcosa (siamo dinnanzi a una caccia fallita?) e se non sia il caso di andare avanti (dovremmo cercare il cibo da altre parti?). L’impazienza è un retaggio della nostra evoluzione: ci assicura che non passiamo troppo tempo in una singola attività non gratificante, ci dà l’impulso ad agire. Eppure ciò che inizialmente era funzionale adesso diventa disfunzionale. Il ritmo veloce della nostra società ha completamente alterato quel nostro timer interno: le aspettative non possono essere gratificate abbastanza velocemente e quando le cose si muovono più lentamente del previsto, l’attesa ci crea frustrazione e rabbia sproporzionata rispetto al ritardo.

Ciò crea un circolo vizioso: la società altera i nostri timer interni che si attivano sempre più immediatamente in risposta alle cose lente, provocando uno stato maggiore di rabbia e impulsività che vanno poi a sabotare ulteriormente il nostro timer interno. Non dimentichiamo che il senso del tempo è soggettivo ed è fortemente influenzato dalle emozioni. Il tempo si allunga quando siamo spaventati o ansiosi. Ogni momento in cui siamo minacciati sembra nuovo e vivido. Questo ci porta a immagazzinare, in un breve intervallo di tempo, più ricordi del solito e i nostri cervelli sono così indotti a pensare che è passato più tempo (Hammond 2012).

Ma allora come è possibile ripristinare i nostri timer interni e ritrovare la pazienza?

Gestire rabbia e impazienza: il dono della gratitudine

Un primo modo è quello di svincolarsi dall’attesa di gratificazioni esterne: quando ci aspettiamo qualcosa che non arriva, è più facile andare incontro a vissuti di rabbia, frustrazione o tristezza.

E la forza di volontà? In realtà puntare sulla volontà non è sempre positivo: quando posticipiamo consapevolmente le gratificazioni, possiamo andare incontro ad una ulteriore fronte di stress. Anche gli esperimenti sugli scimpanzé ce lo confermano: quando i primati attendono compense ritardate, anche per loro scelta, iniziano a manifestare vocalizzazioni inopportune, si grattano eccessivamente e sbattono contro i muri. E in più, ci ricorda Chelsea Wald, usare la forza di volontà per posticipare le gratificazioni, ci rende più sensibili alle altre tentazioni che arrivano durante l’attesa.

Un utile alleato nel ristabilire il nostro timer interno è la meditazione e il diventare consapevoli del momento presente. Come suggerisce Ethan Nichtern, le persone che meditano

fanno amicizia con lo spazio scomodo – la meditazione fornisce – una tecnica per affrontare semplicemente il momento presente così com’è, senza cercare di cambiare la situazione

Tuttavia, chi è impaziente cronico, troverà difficile imparare ad essere sin da subito un bravo meditatore e dunque, consiglia DeSteno, si può combattere l’emozione con l’emozione: la gratitudine ci aiuta a diventare più pazienti. In uno studio, DeSteno ha scoperto che le persone che facevano un breve esercizio di scrittura, descrivendo qualcosa di cui erano grate, si mostravano più disposte a rinunciare a ricompense piccole ora per ottenere ricompense più grandi in seguito.

E’ un esercizio che tutti possiamo fare: mentre siamo per strada, se la persona davanti a noi rallenta e la nostra rabbia da marciapiede inizia a far capolino, proviamo a cambiare la direzione dello sguardo. Concentriamoci su qualcosa di bello che ci circonda: un fiore? un palazzo? Magari un bambino che ci saluta da un passeggino… Oppure pensiamo a qualcosa di positivo che fa parte della nostra vita, dalla fragorosa risata di una persona speciale allo scodinzolio del cane che a fine giornata ci accoglierà in casa. Di punto in bianco ci sentiremo meno bisognosi di fretta e più grati, verso la vita e verso l’altra persona che, rallentando, ci ha regalato un momento di piacevole consapevolezza.

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SCRITTO DA
Marina Morgese
Marina Morgese

Caporedattrice di State of Mind

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Wald, Chelsea (2019). Why Your Brain Hates Slowpokes. The high speed of society has jammed your internal clock. Nutilus. Available here
  • James, L. (2010). Pedestrian Aggressiveness Syndrome Scale (Pass)
  • James, L., Nahl, D. (2000) Drivers Against Pedestrians: how to Change Attitudes. Checklist for Your Tendency to Pressure Pedestrians. Your Emotional Intelligence Towards Pedestrians. Available here
  • Hammond. C. (2012). Time Warped: Unlocking the Mysteries of Time Perception. Canongate Books
  • Nichtern, N. (2016). The Road Home: A Contemporary Exploration of the Buddhist Path. North Point Press
  • De Steno, D. (2018) Emotional Success: The Power of Gratitude, Compassion, and Pride. Eamon Dolan/Houghton Mifflin Harcourt
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