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Pedofilia femminile: quando la donna abusa di un minore

La pedofilia femminile sembra essere sempre esistita al pari di quella maschile anche se nell'immaginario collettivo si fa fatica ad immaginarla

Di Giorgio Cornacchia

Pubblicato il 08 Lug. 2019

Pedofilia femminile: non se ne parla ma esiste. Parlare di donne pedofile non è né comune né semplice; infatti, nell’immaginario collettivo, al termine pedofilia si associa automaticamente la figura di un uomo: giovane, di mezza età o anziano ma pur sempre di sesso maschile.

Giorgio Cornacchia – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi, San Benedetto del Tronto

 

In realtà i comportamenti pedofilici sono presenti sia negli uomini che nelle donne. Il termine “pedofilia” inizia ad esser preso in considerazione in ambito psichiatrico nel 1905 su proposta dello psichiatra svizzero Auguste Forel; solo successivamente, nel 1935, è stato inserito per la prima volta nel vocabolario della lingua italiana. Deriva dal greco paìs-paidòs, “del bambino” e filìa, “amore” (Quattrini, 2015). La pedofilia, generalmente, è definita come un desiderio sessuale da parte di un adulto per i bambini e come il desiderio espresso di una gratificazione sessuale immatura con un bambino in età prepubere (Sims, Oyebode, 2009).

Pedofilia: cos’è e come si distingue dagli altri disturbi sessuali

La pedofilia risulta una delle parafilie più studiate e diverse sono state, nel corso del tempo, le interpretazioni a riguardo. Nel 1952 la prima versione del DSM (Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorder), uno degli strumenti diagnostici maggiormente utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo, colloca la pedofilia nel capitolo dedicato alla sessualità patologica e viene descritta come una grave deviazione sessuale. Nel DSM II (1968) la classificazione rimane la stessa ma perde la connotazione di disturbo sociopatico, sostituita da quella di disturbo mentale non psicotico. Il DSM III (1980) e il DSM III – R (1987) inseriscono la pedofilia nel novero delle parafilie; nel DSM IV (1994) e nella successiva edizione rivisitata (DSM IV – TR, 2000) la pedofilia rientra come parafilia tra i Disturbi Sessuali e dell’Identità di Genere.

Il DSM 5 (2013) apporta, invece, notevoli modifiche per quanto riguarda i Disturbi Sessuali che non vengono presentati più come un’unica categoria diagnostica ma che vengono distinti in Disforie di Genere, Disturbi Parafilici e Disfunzioni Sessuali. All’interno della macrocategoria che tratta i disturbi parafilici troviamo, tra gli altri, anche il Disturbo Pedofilico (F65.4). I criteri diagnostici per questo disturbo sono:

  • A – Eccitazione sessuale ricorrente e intensa, manifestata attraverso fantasie, desideri o comportamenti, per un periodo di almeno 6 mesi, che comportano attività sessuale con un bambino in età prepuberale o con bambini (in genere sotto i 13 anni di età).
  • B – L’individuo ha messo in atto questi desideri sessuali, oppure i desideri o le fantasie sessuali causano marcato disagio o difficoltà interpersonali.
  • C – L’individuo ha almeno 16 anni di età ed è di almeno 5 anni maggiore del bambino o dei bambini di cui al Criterio A.

nota: non comprende un individuo in tarda adolescenza coinvolto in una relazione sessuale con un individuo di 12-13 anni.

Bisogna poi specificare: se il pedofilo è di tipo esclusivo quindi attratto solo da bambini o se è di tipo non esclusivo; se il pedofilo è attratto sessualmente da maschi, attratto sessualmente da femmine o se è attratto sessualmente da entrambi; se il comportamento sessuale di tipo pedofilico è limitato all’incesto (American Psychiatric Association, 2014).

Pedofilia femminile: recentemente sotto l’occhio di clinici e ricercatori

Sebbene le donne siano state a lungo considerate come autrici di reato nei casi di abuso fisico infantile, è solo da qualche anno che i clinici e i ricercatori hanno iniziato a considerare il problema delle donne che abusano sessualmente i bambini (Alana, Grayston e Rayleen, De Luca, 1999). Parlare di pedofilia femminile è tutt’altro che semplice anche perché alla donna viene associato l’istinto di maternità che esclude a priori l’idea dell’abuso sui bambini (Petrone, Troiano, 2010). Al contrario di quanto si è portati a pensare, la pedofilia femminile sembra essere sempre esistita al pari di quella maschile e non deve essere considerata una novità dei tempi moderni (Costantini, Quattrini, 2011). Infatti, all’epoca dell’antica Grecia, la pederastia era una pratica consueta, accettata e in questo stesso contesto non erano rari i casi di pederastia femminile. Per esempio, infatti, la famosa poetessa Saffo vissuta nel VI secolo a.C., dirigeva nell’isola di Lesbo un tìaso, nel quale le bambine erano educate a diventare donne apprendendo le arti e le scienze, la cura della persona e della casa, la danza e anche il piacere sessuale. Oltre a Lesbo, anche a Sparta e Mitilene donne adulte avevano amanti adolescenti ed era comune avere rapporti sessuali con loro, seppur limitati da severe normative a tutela del paìs, al fine della “preparazione al matrimonio” (Petrone, Troiano, 2010).

Pensare che una donna possa mettere in atto atteggiamenti erotici nei confronti di un bambino è una realtà di cui ancora oggi non si vuol avere piena consapevolezza. Nell’immaginario collettivo, quando si parla di pedofilia, di violenza e abuso a danni di un minore, si pensa subito ad un soggetto di sesso maschile. Non viene presa in esame ed è considerata come inaccettabile, inammissibile e soprattutto impensabile la possibilità che sia una donna a perpetrare la violenza. Alla donna, solitamente, è associata l’idea di maternità e la madre è considerata come una figura protettiva e rassicurante; questa viene considerata esile fisicamente e pertanto non in grado di arrecare danno ad un minore. Alla sessualità femminile, inoltre, è stata a lungo attribuita una valenza di “passività” e non sono lontani gli anni in cui la donna era vista come priva di desideri sessuali. Immaginare una donna sessualmente attiva, riconoscere l’esistenza di “perversioni femminili”, immaginare che possa essere una madre ad abusare del proprio figlio, piuttosto che tutelarlo, è una realtà negata ancora oggi da gran parte dell’opinione pubblica.

Pedofilia femminile: tipologie

Stando alle statistiche basate sui dati che ufficialmente arrivano alla magistratura o ai servizi sociali, la pedofilia femminile è più rara di quella maschile, rappresenta all’incirca il 5/7% degli abusi. Se però diamo un’occhiata alle storie personali dei pedofili, scopriamo che il 78% dei maschi pedofili riferisce di essere stato abusato da una figura femminile, in particolare dalla madre (Petrone, Troiano, 2010). Probabilmente, il problema dell’incertezza inerente il numero reale dei casi è legato al ruolo della donna nella vita del bambino, generalmente deputata al suo accudimento e quindi con maggiori possibilità di confondere e nascondere il significato delle sue azioni. Non solo, nell’immaginario collettivo quando si parla di pedofilia automaticamente si associa la figura dell’uomo, del mostro tutto al maschile, possibilmente di mezza età o anziano e probabilmente con qualche patologia psico-comportamentale. Nessuno penserebbe mai che coloro che da secoli sono considerate le protettrici dell’infanzia in realtà possano mettere in atto comportamenti simili (Costantini, Quattrini, 2011).

Nel dettaglio, la pedofilia femminile può essere classificata in: intrafamiliare, extrafamiliare e pre-pedofilia.

Proprio come quella maschile, anche la pedofilia femminile si manifesta all’interno delle mura domestiche (intrafamiliare). In queste realtà, la struttura familiare spesso è disfunzionale, rigida e con ruoli inflessibili. La famiglia incestuosa è una famiglia all’interno della quale le distinzioni generazionali sono ignorate, la famiglia è chiusa su sé stessa, si ritiene autosufficiente e circonda con il segreto ogni azione che avviene al suo interno. Solitamente quando si parla di abuso sessuale intrafamiliare, si associa immediatamente l’idea dell’incesto tra un padre e una figlia e solo raramente si pensa all’incesto tra una madre e i propri figli. La madre incestuosa esiste, anche se è difficile scoprirla in quanto spesso usa forme che vengono camuffate da abituali gesti di accudimento. Pertanto i casi di incesto materno non escono quasi mai allo scoperto e quando questo succede godono di un diverso metodo di valutazione basato sulla credenza che la madre, che ha il compito di proteggere, stia semplicemente prolungando, forse in maniera insolita, ma non colpevole, il suo precedente ruolo protettivo.

Alcune madri credono che spetti a loro iniziare i minori alla sessualità, altre se ne innamorano e ne fanno dei “mariti”; queste madri non riescono a rispettare i diritti del bambino e approfittano della dipendenza affettiva che questi hanno nei loro confronti per trarne un vantaggio sessuale. L’incesto madre figlio/a non si accompagna solitamente ad atti di violenza; le sue manifestazioni si confondono e si mescolano con gli abituali gesti di accudimento e dal cosiddetto fenomeno del confidence power, cioè una strategia seduttiva che imbriglia la propria vittima sfruttando i suoi sentimenti di confusione, di obbedienza, di devozione e di fiducia.

Pedofilia femminile fuori dalla famiglia

La pedofilia femminile extrafamiliare, invece, è caratterizzata da forte desiderio di potere, dominio ed egoismo; tutte situazioni più cruente rispetto alla pedofilia che si consuma all’interno delle mura domestiche. Questa forma di pedofilia è legata spesso al turismo sessuale, mentre altre volte si concretizza in luoghi conosciuti molto bene dalla vittima come la scuola, l’oratorio o i centri sportivi. Queste figure femminili agiscono in maniera attenta, programmando ogni movimento e ragionando su ogni scelta, poiché temono fortemente che il minore sveli il loro agito. Pertanto possono ricorrere anche a modi violenti al fine di convincere la vittima che i giochi sessuali che è costretto a fare sono divertenti, sono un segreto e non devono assolutamente essere rivelati a nessuno.

Infine, con il termine pre-pedofilia, Petrone (2010) definisce una particolare condizione di abuso, quasi esclusivamente femminile, che si caratterizza per il ruolo svolto dalla donna; in particolare essa assume una posizione marginale e passiva nell’atto pedofilico, lasciando che sia l’uomo ad avere la parte attiva. La donna non mette in atto in prima persona comportamenti pedofilici ma resta comunque “complice” di coloro che invece abusano davvero del bambino. Questo “far finta di non vedere”, caratteristico della pre-pedofilia, è un’ulteriore violenza ai danni delle piccole vittime, abusate e non protette da coloro che invece dovrebbero amarle e tutelarle. Il tradimento avviene su tutti i fronti e le piccole coscienze distrutte e i piccoli corpi martoriati vengono lasciati soli a sé stessi. Queste donne, che se pure non hanno agito direttamente l’abuso, si sono macchiate dello stesso crimine perché, proprio come il loro compagno, non hanno considerato i bambini persone, li hanno ostacolati e menomati nello sviluppo fisico e psichico, li hanno piegati alle proprie ingiustificate e insane esigenze. La pre-pedofilia può avere manifestazioni differenti: può essere, infatti, mascherata e silenziosa come nel caso delle famiglie incestuose o più evidente come nel caso di madri che offrono i propri figli ai compagni pedofili oppure il caso delle madri che osservano in silenzio l’abuso del proprio figlio. (Petrone, Troiano, 2010).

Guidati, quindi, dallo stereotipo che attribuisce alla donna un ruolo passivo e debole, pensiamo che essa sia improntata ad una maggiore sensibilità e tenerezza, soprattutto per via di quell’istinto materno che la cultura le attribuisce. Come descritto nei passaggi precedenti, la realtà dei fatti ci mette dinanzi ad un femminile perverso e abusante, capace di azioni terribili nei confronti dei più piccoli, appropriandosi di quelle aberrazioni di cui si pensa sia capace solo l’uomo. La pedofilia, invece, è anche donna ed essa come quella maschile rappresenta sicuramente un evento sconvolgente e fortemente traumatico per chi lo subisce e le modalità con le quali esso viene perpetrato vanno ad influenzare la gravità delle conseguenze per la vittima.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Alana D., Grayston E Rayleen V., De Luca. Female Perpetrators of child sexual abuse: a review of the clinical and empirical literature. Aggression and Violent Behavior, Vol. 4, No. 1, 93-106, 1999.
  • American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. Raffaello Cortina Editore, 2014.
  • Petrone L., Troiano M. E se l’orco fosse lei? Strumenti per l’analisi, la valutazione e la prevenzione dell’abuso femminile. Con un nuovo test per la diagnosi. Franco Angeli, 2010.
  • Quattrini F., Costantini A. Differenze di Genere nel Comportamento Pedofilo. La pedofilia Femminile. Rivista di Sessuologia 35, 2:128-142, 2011.
  • Quattrini F. Parafilie e Devianza. Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale atipico. Giunti, 2015.
  • Sims A., Oyebode F. Introduzione alla psicopatologia descrittiva. Raffaello Cortina Editore, 2009.
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