La pedofilia (παῖς, παιδός / φιλία) fa parte, secondo il DSM-5, dei disturbi parafilici, e precisamente del sottogruppo riguardante la predilezione per l’atipicità dell’oggetto sessuale, dove stanno anche il feticismo e il travestitismo.
Gli altri due gruppi che fanno parte dei disturbi parafilici riguardano: il primo, i disturbi del corteggiamento, ossia il voyeurismo e l’esibizionismo, e il secondo i disturbi algolagnici (ἄλγος / λαγνεία), ossia il masochismo e il sadismo sessuale.
Pedofilia secondo il DSM-5
Sempre secondo il DSM-5 il termine parafilia indica qualsiasi intenso e persistente interesse sessuale che escluda l’area genitale o che non sia rivolto a partner fisicamente maturi e consenzienti. Ci sono anche parafilie che presentano interessi sessuali preferenziali piuttosto che interessi sessuali intensi.
Alcune parafilie hanno come fonte di piacere primariamente l’atto espressivo, ossia il fustigare, il tagliare, il legare, il picchiare, il mordere, l’insultare, il sottomettere con crudeltà, altre invece non hanno una predilezione per la forma ma per gli oggetti, sia umani che non umani, con cui intrattenersi sessualmente, ossia bambini, cadaveri, persone gravemente sofferenti, animali domestici e non, scarpe o altro genere di abbigliamento, oggettistica di gomma o di altro materiale.
Il DSM-5 distingue il disturbo parafilico dalla parafilia, sostenendo che il disturbo parafilico è una parafilia che, nel momento presente, causa disagio o compromissione nell’individuo, oppure la cui espressione ha arrecato, o rischiato di arrecare, danno a se stessi o agli altri. Una parafilia è una condizione necessaria ma non sufficiente per avere un disturbo parafilico, poiché è una condizione che di per sé non richiede l’intervento clinico o giudiziario. L’uso del termine diagnosi dovrebbe quindi essere riservato solo a individui che hanno un disturbo parafilico.
Pedofilia: come si fa diagnosi
Quali sono a questo punto i criteri necessari per effettuare una diagnosi di disturbo pedofilico? Una premessa si rende necessaria, ossia che la diagnosi deve riguardare sia individui che ammettono questa parafilia, sia individui che negano qualsiasi attrazione sessuale per bambini in età prepuberale, ossia inferiore ai 14 anni, nonostante l’evidenza sostanziale e oggettiva del contrario. Ciò che permette di effettuare la diagnosi di disturbo pedofilico è il passaggio all’atto o la presenza di grave disagio. Se il resoconto sia del soggetto che dei familiari, accompagnato da un’anamnesi accurata e documentata, non indicano che egli abbia mai compiuto atti sessuali con minori, possiamo dire che ha un interesse pedofilico, ma non un disturbo. Allo stesso modo se un individuo ha di preferenza fantasie, desideri o impulsi pedofilici che tuttavia non solo non ha mai agito, ma che non costituiscono fonte di disagio, vergogna, ansia o senso di colpa e non costituiscono una limitazione al suo funzionamento lavorativo, sociale e personale, non può essere diagnosticato come una persona affetta da quel disturbo. Occorre tuttavia prestare attenzione a coloro che negano difficoltà interpersonali con adulti, che negano l’attrazione per bambini e che giustificano il loro eventuale approccio a prepuberi come privi di natura sessuale e quindi affatto causa di disagio.
Pedofilia: diagnosi differenziale e comorbilità
A volte può succedere che l’impegno psichico e relazionale di natura pedofilica sia transitorio e motivato da precisi eventi (1). Perché sia considerato un disturbo occorre che sia presente in modo continuativo per almeno sei mesi. Anche l’età dei pedofili ha la sua importanza. Non si può diagnosticare l’affezione a coloro che abbiano un’età inferiore ai 16 anni, così come la differenza tra soggetto e vittima deve essere superiore ai 5 anni.
Il termine pedofilia andrebbe riservato ai soli casi dove non vi sia associata la violenza manifesta (2) o lo stupro, nel qual caso si tratterebbe di una parafilia multipla (Lehne & Money, 2004) o di comorbilità. Nel disturbo da sadismo sessuale con minori, per esempio, il piacere deriverebbe più dalla matrice sadica che da quella pedofilica.
I disturbi in comorbilità, avverte il DSM-5, si ritrovano spesso in condannati per reati sessuali che coinvolgono bambini. La comorbilità psichiatrica comprende, infatti, una vasta gamma di altre patologie, da coloro che utilizzano sostanze, agli antisociali, a coloro che presentano altre parafilie.
Nel ritardo mentale, nelle sindromi psico-organiche, in chi abusa di alcool o di altre sostanze psicotrope viene solitamente meno il controllo degli impulsi e la capacità di giudizio, per cui tra i vari comportamenti patologici ci può essere anche l’utilizzo erotico di minori.
Pedofilia: distinzione tra primaria e secondaria
La pedofilia non sempre si inserisce nel contesto di una psicopatologia, di cui è eventualmente l’epifenomeno (Marasco, Spalletta & Paolucci, 2000). A volte si tratta di atteggiamenti, di desideri, di fantasie, di tendenza preferenziale. Fishman (1996) suggerisce perciò di distinguere una pedofilia primaria (essenziale) da una pedofilia secondaria (determinata da altre condizioni psicopatologiche).
Abel et al. (1987), che hanno condotto un’indagine tramite interviste strutturate su 561 individui affetti da parafilia, hanno rilevato che le attività esclusivamente pedofiliche non avevano connotazioni di violenza fisica. Anche Finkelhor e Lewis, nel loro studio epidemiologico, riportano che non vi è riscontro in letteratura di ostilità del pedofilo nei confronti del bambino, se mai di manipolazione o di falsità al fine di indurlo a compiere atti sessuali (3).
I pedofili attivi in genere cercano di non maltrattare i bambini che avvicinano, sia per l’attrazione che provano, sia per evitare che essi raccontino ad altri quanto succede negli incontri. Si mostrano di solito affabili e disponibili con l’obiettivo di catturarne l’interesse ed averli così complici nei giochi erotici. La seduzione, l’atteggiamento di tenerezza e comprensione possono mescolarsi a modalità più pressanti, sul filo dell’inganno e della violenza psicologica, quasi mai attraverso l’aggressione o la costrizione fisica.
La maggior parte dei pedofili è di sesso maschile; esistono tuttavia casi perpetrati da donne, anche se gli stereotipi culturali li rendono statisticamente meno evidenti. In genere la donna non è ritenuta in grado di commettere atti sessuali nei confronti di minori e questa convinzione porta a non considerare abusi, comportamenti che invece lo sono (Hislop, 2001). Difficilmente ad esse viene assegnata una condotta definita pedofilica, in quanto tendono a negare le fantasie e l’eccitazione sessuale (Travin, Cullen & Protter, 1990) e sono più restie ad ammettere l’immoralità dei loro gesti, specialmente se le vittime sono maschi. Generalmente scelgono bambini per i quali rivestono un ruolo educativo o di accudimento.
L’abuso compiuto da una donna sembra molto più devastante per la psiche del bambino rispetto a quello maschile, in quanto dalla donna … non ci si aspetta un comportamento del genere, ma al contrario, un atteggiamento di cura e protezione
(Casonato, Bura & Hertelt, 2004).
In questo mio contributo tratterò della pedofilia maschile non in comorbilità con altre patologie psichiatriche, almeno quelle soggette a diagnosi secondo i criteri del DSM-5. Metterò in evidenza ciò che accomuna e ciò che differenzia l’interesse pedofilico dal disturbo pedofilico.
Interessi peddofilici in letteratura: da Ovidio e Virgilio a Thomas Mann
Non tutti sanno che Morte a Venezia di Luchino Visconti, o La novella (1912) di Thomas Mann (4) da cui è tratto il film, è una storia vera. Lo scrittore, premio Nobel per la letteratura (1929), disse che il racconto si basava su di un viaggio a Venezia, che fece nel 1911 (5) assieme alla moglie Katia Pringsheim, la quale racconta, nelle sue memorie, che un bellissimo e affascinante ragazzo di circa 13 anni aveva catturato, già nei primi giorni del suo arrivo all’Hotel des Bains, l’attenzione del marito. Era per lui un’attrazione molto forte tanto da non perderlo mai di vista ogni volta che si recavano in spiaggia. Era spesso anche nei suoi pensieri (6).
Il fanciullo che fece perdere la testa a Thomas Mann, all’epoca poco più che trentenne, era un certo Władisław Moes, detto in famiglia Władzio o Adzio. Era nato nel 1900 a Wierbka, nel sud della Polonia, quarto di sei fratelli. Apparteneva a una famiglia di ricchi industriali, proprietari di fabbriche tessili, che si era recata a Venezia su consiglio del medico che aveva in cura Władzio. Quando Mann lo incontrò all’Hotel del Bains, dove entrambi soggiornavano, aveva quasi 11 anni e non 13, come pensava la moglie. A differenza di quanto ci mostra Visconti nel film, non si trattava di un adolescente, ma di un bambino, come si evince peraltro anche dalla foto scattata al Lido di Venezia.
Con meraviglia Aschenbach vide che il ragazzo era di una bellezza perfetta … attorniato da ricci color del miele, col naso diritto, la bocca amabile, un’espressione di gentile e divina serietà, ricordava le sculture greche dei tempi più nobili … parve non aver mai veduto né in arte, né in natura, nulla di così felicemente riuscito
(Mann, 1954, pp. 32-33).
Il suo incedere, tanto per il portamento del busto quanto per il movimento dei ginocchi, … era di una grazia straordinaria, molto leggero, delicato e superbo insieme, e abbellito ancora dalla timidezza infantile … soprattutto ora, vedendolo di profilo, Aschenbach fu colpito da meraviglia e quasi da sgomento per la bellezza veramente divina … la testa sbocciava come un fiore, con leggiadria incomparabile, una testa di Eros
(Mann, 1954, p. 37).
Era il sorriso di Narciso che si piega sullo specchio della fonte, quel sorriso profondo, incantevole, prolungato col quale egli tende le braccia al riflesso della propria bellezza, un sorriso un poco contratto dalla vanità dell’aspirazione a baciare le labbra soavi della propria ombra, pieno di civetteria, di curiosità, di lieve sofferenza, affascinato e affascinante … [Ascenbach] abbattuto e scosso da brividi intermittenti, mormorò la formula eterna del desiderio: … ti amo!
(Mann, 1954, p. 67).
L’interesse pedofilico si muove sull’onda dell’amore pedofilico, da cui è generato. Inequivocabile è il sommovimento dell’anima insieme a quello del corpo, come ben dimostrano gli estratti della novella sopra citati. Il vissuto di attrazione fatica a rimanere circoscritto al solo piacere estetico, permeando e scuotendo anche il fisico, attraverso i sensi che accentuano il desiderio di unirsi alla creatura amata.
La descrizione che fa Thomas Mann di Tadzio non è molto diversa da quella che Ovidio riporta nelle Metamorfosi, dove i capelli di Narciso sono degni di Bacco e di Apollo (dignos Baccho et Apolline), le guance sono lisce (inpubes genas), il collo è bianco come l’avorio, la grazia è dipinta sulla sua bocca (decus oris), il rossore del volto si stempera nel candore, simile alla neve (in niveo mixtum candore ruborem) e tutto quanto egli ammira è ciò che lo rende meraviglioso (cunctaque miratur, quibus est mirabilis ipse).
Ascenbach non passerà mai all’atto. La sua mano così desiderosa di accarezzare Tadzio e la sua bocca così pronta per baciarlo rimarranno prigionieri di un sogno. Ovidio rende molto bene l’impossibilità di un vero contatto. Descrivendo Narciso innamorato dell’immagine riflessa ricorda il suo spasimo. Quante volte (quotiens) mandò inutili baci (inrita oscula) all’ingannevole fonte? Quante volte immerse (mersit) le braccia nell’acqua cercando di afferrare il collo (captantia collum bracchia) dell’amato, che con chiarezza vedeva ma che non potè mai concretamente afferrare (nec se deprendit)? Ciò che desideri non esiste (quod petis est nusquam), ciò che ami, se ti volgi altrove, lo perdi (quod amas, avertere, perdes).
Narciso non riesce ad andarsene nonostante la realtà di un incontro desiderato e nello stesso tempo proibito. La forza vitale che l’innamoramento gli procura lo tiene legato alla rappresentazione di sé nell’acqua. Abbandonare quella vista equivale a spegnere ciò che prova. Meglio morire desiderando piuttosto che morire nel lutto, anche se, sussurra tra sé Narciso, ciò che vedo e che mi piace (quod videoque placetque), alla fine non lo posso né raggiungere nè incontrare (invenio). Se non ho modo di toccarti (quod tangere non est), mi sia almeno concesso (liceat) di guardarti, così che possa alimentare la mia passione (praebere alimenta furori).
Della sofferenza per un amore non corrisposto T. Mann aveva già scritto in Tonio Kröger (1903): un racconto che ricorda l’infatuazione che lo scrittore ebbe per il suo compagno di scuola Armin Martens (7). I primi capitoli parlano infatti di due quattordicenni, Tonio Kröger e Hans Hansen. Tonio amava Hans perchè era bello, aveva i capelli color biondo che, a forma di ciuffi, spuntavano da sotto il cappello alla marinara, aveva gli occhi azzurri. Tutti per strada, uomini e donne, lo fermavano e i compagni si contendevano la sua amicizia. Amava Hans “anche perchè era il suo opposto in tutto e per tutto. Hans era un ottimo scolaro e per di più un bel tipo che cavalcava, faceva ginnastica, nuotava da campione e godeva della simpatia generale” (Mann, 1984, p. 155).
Più che desiderare di essere come Hans, di cui invidiava la capacità di “vivere in felice accordo con tutto e tutti” (Mann, 1984, p. 156), sentiva “una dolorosa brama di essere amato da lui” (Mann, 1984, p. 156). Hans, dal canto suo, si dimostrava grato e dava a Tonio “parecchie gioie con le sue gentilezze, ma anche parecchie pene di gelosia, di delusione” (Mann, 1984, p. 157).
L’idealizzazione del bambino o dell’adolescente è una caratteristica presente in tutte le forme di pedofilia. L’esaltazione della bellezza fisica, delle doti espressive, del comportamento o del modo di vestirsi, indipendentemente dall’oggettività in sé, è un elemento indispensabile nel sorgere dell’interesse. Tuttavia il trasporto dell’adulto per il bambino, nella pedofilia, non è limitato all’affettività, al calore, alla tenerezza, al ben volere o al buon gusto, che in genere si prova quando si ha a che fare con dei piccoli. Il sentimento che il pedofilo nutre travalica l’assetto di cura o di attenzione che un qualsiasi genitore potrebbe provare per il figlio prepubere. A volte in modo falso, per difendersi da accuse proprie o altrui, il pedofilo giustifica l’interesse che prova come fosse quello di un padre, sottraendo alla narrazione la realtà delle sue percezioni. Il vero pedofilo è ben cosciente che l’amore che egli dichiara di vivere nei confronti del bambino è un amore al pari di quello che può esserci in una coppia di fidanzati, dove il desiderio di parlarsi si intreccia col desiderio di accarezzarsi e di scambiarsi piaceri erotici.
Virgilio nella II Egloga parla del pastore Coridone che arde d’amore per il bellissimo Alessi (formosum Alexin): un ragazzo (puer) che nel suo sottrarsi fa disperare Coridone, il quale non può far altro che rivolgere in solitudine il suo canto d’amore ai monti e alle selve (solus montis et silvis). Come la leonessa insegue il lupo (leaena lupum sequitur) e il lupo la capra (lupus ipse capellam), così Coridone cerca con tutto se stesso Alessi. Ciascuno è trascinato dal suo desiderio (trahit sua quemque voluptas), poiché l’amore brucia (urit amor) e non ha misura.
Virgilio usa verbi quali ardere (ardēre), bruciare (ūrĕre) che sono tipici del lessico erotico. Il tutto avviene in uno scenario bucolico che idealizza la vita campestre, l’armonia con la natura, dove i pastori si giovano della pace offerta dall’ambiente, per cui gli unici problemi di cui soffrono sono quelli legati al cuore e alle schermaglie amorose. L’immaginario che viene sollecitato da questa descrizione poetica è completamente avulso dalla realtà, dalla difficile condizione di vita in cui versava allora chi coltivava i campi e allevava le bestie.
Il pensare oscilla continuamente tra la dimensione della realtà, rappresentante dell’ambiente in cui viviamo e la fantasia, quale costruzione ideativa del nostro mondo interno. Nella misura in cui sappiamo riconoscere e declinare questi due aspetti, li sappiamo aggiustare e integrare, concorrono a dare sapore ai nostri vissuti, a stimolare l’iniziativa, a riempire quei vuoti che necessariamente la vita impone e a prendere le giuste decisioni di fronte al conflitto. Se al contrario sovrintendono in modo unico e assoluto la guida della nostra mente, può accadere che invece di essere una attrezzatura che dà vantaggi, produce disturbi e causa danni, a volte seguiti da intensa e duratura sofferenza.
Thomas Mann appare come colui che ha saputo gestire al meglio queste due funzioni psichiche. L’idealizzazione fantastica del fanciullo che casualmente incontrò a Venezia non si trasformò mai in un evento agito, né divenne così determinante da indurlo ad abbandonare ciò in cui aveva creduto fino a quel momento. La forza e l’intensità dell’impulso collegato a quella figurazione furono indirizzati verso la creatività artistica. Senza quella tensione e quello stato d’animo non avrebbe mai scritto Morte a Venezia. L’idealizzazione di Władzio non scardinò e governò la sua mente. Seppe conservare e difendere ciò che gli era altrettanto caro: la stima di sé, la fiducia nella vita matrimoniale, l’impegno sociale e politico, il piacere che gli derivava dallo scrivere e dall’essere circondato da amici.
Non penso, tuttavia, sia stato quello di Mann un percorso del tutto agevole, che non gli abbia ossia richiesto un certo impegno mentale e la necessità di tollerare momenti di ansia variamente presenti nel corpo come nell’anima. In tal senso occorre precisare meglio ciò che il DSM-5 dice a proposito dell’interesse pedofilico, che viene così definito qualora non costituisca fonte di disagio, vergogna, ansia o senso di colpa. Alcuni soggetti, pur vivendo con tranquillità le fantasie, gli impulsi o i comportamenti pedofilici in quanto di natura egosintonica, possono provare ugualmente disagio a causa dell’impatto con l’ambiente, del timore di essere scoperti, giudicati o sanzionati. Per altri invece, come nel caso del nostro autore, il disagio è già nell’essere attraversato da tali desideri.
L’oggetto d’amore quando è altamente idealizzato esercita una fascinazione e una consistente attrazione nei confronti del soggetto, il quale tende a volerlo fortemente per sé, spinto dal desiderio più o meno cosciente di un possesso fusionale (8). La differenziazione generazionale e motivazionale tende a scomparire, per cui il soggetto adulto ama e vuole congiungersi col bambino, nella fantasia (nel caso di interesse pedofilico) o nella realtà (nel caso di disturbo pedofilico), come se fossero due partner adulti e consenzienti, oppure due fanciulli entrambi motivati a un gioco erotico (9).
V. Turra in un interessante scritto annota che quando Ascenbach pensa che Tadzio probabilmente non arriverà alla vecchiaia (10), perchè delicato, malaticcio, probabilmente anemico, cerca di renderlo identico a sé. Trasforma la sua giovinezza in una sorte di vecchiaia e la sua salute in malattia: un pareggiamento dell’età e dello stato fisico. Ascenbach decise di intraprendere un viaggio perchè da tempo non stava bene e raramente usciva dalla città in cui abitava. La paura di non riuscire a vivere ancora per tanto tempo era sempre più presente (11).
All’inizio del racconto Ascenbach identifica Tadzio, mentre lo sta guardando, con Narciso (12), ma Tadzio non sta contemplando se stesso nello scorcio d’acqua, come vuole il mito. In un gioco artificioso di specchi che si spostano Ascenbach diventa la faccia riflettente di Tadzio. Il dislivello di età e di stato fisico viene annullato per apparire entrambi come dei ragazzi belli e spensierati (13) che si ammirano. Turra fa notare che anche nell’inversione dei ruoli (prima entrambi vecchi, ora entrambi giovani) la parità tra i due rimane.
Il barbiere da cui Ascenbach andava sempre più sovente lo convinse un giorno a colorare i suoi capelli, perchè le tracce della vecchiaia venissero il più possibile eliminate (14), adducendo che l’età è quella dello spirito, quella del cuore, per cui “i capelli grigi sono assai più menzonieri che la deprecata tintura” (Mann, 1954, p. 91). Dai capelli il barbiere passò poi al viso e, mentre il trattamento procedeva, Ascenbach cominciò a sentire dentro di sé “un’ansiosa speranza”.
Vedeva nello specchio le sue sopracciglia disegnarsi più regolari e più nette, allungarsi il taglio degli occhi, aumentare lo splendore delle pupille … le sue labbra esangui prendere un bel colore di fragola, sparire sotto creme e belletti i solchi delle guance, della bocca, le rughe degli occhi … ammirò nello specchio un florido giovanotto (Mann, 1954, pp. 91-92).
L’illusione sostituisce la realtà e il pensiero onnipotente ha la meglio sulla coscienza. L’essere entrambi vecchi o entrambi giovani autorizza la visione simmetrica della coppia, crea lo spazio perchè sia giustificata l’attrazione erotica, che altrimenti non sarebbe lecita. Ascenbach infatti decide di non dire nulla alla madre di Tadzio riguardo al pericolo incombente su Venezia, di una pestilenza che andava sempre più allargandosi, perchè incapace di tollerare la disunione della coppia, la separatezza di due percorsi, di pensare all’uno senza l’altro (15).
Pedofilia nell’antica Roma e nell’antica Grecia
Solo nell’antica Grecia e nell’antica Roma l’amore per un adolescente (ἐρώμενος) era qualcosa di perfettamente normale e legale, sia che fosse pensato sia che fosse agito, per cui l’unica ansia e l’unico tormento del soggetto (ἐραστής) riguardavano l’estenuante corteggiamento per averne i favori (16). Mancia ricorda che in Nuova Guinea è d’uso che un Sambia adulto conceda il suo pene al fanciullo che vuole ingoiarne lo sperma (17).
In questi casi la cultura permea il sistema educativo e costruisce la personalità degli individui, per cui in quei luoghi e a quei tempi non era un evento traumatico per un ragazzo avere rapporti sessuali con un adulto, perché era considerato da quella civiltà un rito di passaggio, di cui andarne se mai orgogliosi. Oggi non è così, almeno nei paesi industrializzati, per cui il passaggio sano e armonico di un bambino verso l’adolescenza e la giovinezza richiede che il suo corpo e la sua mente siano esclusi da ogni sollecitazione ed induzione erotica, pena un senso di disagio e di malessere che possono seriamente condizionarne lo sviluppo (18).
In tal senso coloro che provano un interesse erotico verso un ragazzo o una ragazza, per far sì che rimanga confinato all’interno del pensiero e non si trasformi in azione, devono necessariamente avvalersi di ulteriori risorse psichiche, riferibili al giudizio, alla riflessione, all’adeguamento alla realtà, al contenimento delle istanze istintuali. Se così non è, non si può più parlare di interesse, ma di un vero e proprio disturbo pedofilico quale esso è apparso nelle cronache sia recenti che passate a proposito dell’abuso di minori da parte di sacerdoti.
Pedofilia nel film Il caso spotlight
Alla fine del film Il caso spotlight (19) del regista Tom McCarthy, vincitore di due Premi Oscar come miglior film e miglior sceneggiatura originale, dopo i titoli di coda, appaiono sullo schermo i paesi dove sono stati denunciati i reati di pedofilia commessi da ministri del culto. Ciò che mi ha colpito è l’interminabile elenco, con i numeri delle vittime in alcuni casi anche elevati, evidenziandosi come una piaga all’interno di un mondo che si è globalizzato non solo nei mezzi di comunicazione, ma anche nei vizi.
L’amore e “l’ebrezza tardiva e profonda” per Tadzio incoraggiavano e persuadevano Ascenbach “a permettersi senza paura e senza vergogna le cose più sorprendenti” (Mann, 1954, p. 73). Cercava di tacitare dentro di sé la consapevolezza di “un’avventura inammissibile”, di essere travolto da “esotiche sregolatezze del cuore” (Mann, 1954, p. 73). Si sentiva di compiere atti poco dignitosi, differenti, fino alla degenerazione, da ciò che i suoi antenati gli avevano insegnato. L’idea di lasciare Venezia, “di ritornare a casa, alla prudenza, all’ordine, alla fatica” lo ripugnavano così tanto da provare un intenso “malessere fisico” (Mann, 1954, p. 87).
T. Mann resse nella sua vita questo conflitto, attingendo alle leggi morali e culturali in cui egli credeva, così che potessero impedire che la spinta pulsionale si trasformasse in propositi e fatti. In un saggio (Sul matrimonio) del 1925 scrive:
Il rifiuto dell’idea della famiglia e della perpetuazione attraverso la prole … è l’espressione del medesimo processo di dissoluzione della disciplina vitale … che ho rappresentato nella Morte a Venezia sotto forma di pederastia … Ho sempre spiritualmente congiunto il concetto di vita con quello di dovere, di servizio, di vincolo sociale e perfino di dignità. Thomas Buddenbrook e Ascenbach sono morituri, disertori della disciplina e della moralità vitali, baccanti della morte: una tendenza che imparai ben presto a capire con una parte di me stesso
(Mann, 1982, pp. 125-126).
La condanna e la squalifica della pederastia, quale modalità che, secondo lo scrittore, mortifica la vitalità, abbruttisce lo spirito e rende vano ogni sforzo di condurre una vita dignitosa, e la difesa dei valori rappresentati dal vincolo matrimoniale, serve a Mann per arrestare sul nascere una qualsiasi condotta moralmente inammissibile. Più avanti scrive ancora:
“Appare chiarissimo … che virtù e moralità sono elementi della vita, nient’altro che il suo imperativo categorico, il comandamento stesso del vivere, mentre ogni forma di estetismo è di natura pessimistico-orgiastica, inclina cioè alla morte” (Mann, 1982, p. 124).
L’enfasi sul concetto di morte collegata alla dimensione estetica dell’eros e l’esaltazione dell’aspetto etico del vivere aiutano Mann ad eliminare ogni dubbio in merito allo spazio da concedere all’istintualità perversa. Il richiamo all’imperativo categorico kantiano è finalizzato a costruire un limite interiore che obbliga l’Io a rifiutare la sollecitazione pedofilica.
Viene da chiedersi, per i sacerdoti che non seppero fare altrettanto, quanto fosse autentica la convinzione religiosa dell’amore per l’altro, che sta alla base della dottrina cristiana. Avere cura dell’oggetto del proprio amore non significa possederlo, trasformarlo forzatamente in un compagno di giochi erotici, travalicandone la volontà e il desiderio. La violenza psicologica, nell’agito pedofilico, è forse più determinante il trauma rispetto a quella fisica. In che modo il bambino può sentirsi amato nella realtà e rispettato nella sua individualità? Come può costruire un rapporto di fiducia e di condivisione all’interno di un vorticoso susseguirsi di proiezioni, di fabulazioni, di bramosie?
T. Mann sembra venire in loro aiuto, quando in La morte a Venezia alla domanda “Che educatore può mai essere colui che per istinto incorreggibile e naturale è attratto verso l’abisso?” dove per abisso (Abgrund) si deve intendere la tentazione dell’eros, di un eros che si pone al servizio della bellezza e del suo richiamo senza curarsi delle conseguenze, del possibile dissolvimento morale a cui può portare. La risposta è la seguente: “Bene vorremmo rinnegare l’abisso e conquistare la dignità, ma per quanto ci sforziamo, l’abisso ci attira” (Mann, 1954, p. 95).
Il sacerdote che si unisce al minore costringe l’Io a espellere da sé (20), ad invalidare nel momento dell’abuso, ogni riferimento all’amore di Dio per le sue creature. Si dimette ossia da ministro del culto per essere il ministro della sua perversione.
“La scissione consente al settore perverso di operare come se fosse una personalità separata, rendendo possibile una distorsione della realtà che può essere leggera o estrema e che è presente in tutte le perversioni” (Goldberg, 1998, p. 91). Anche Jaria e Capri hanno evidenziato che la continuità storica e l’esistenza stessa del pedofilo durante l’incontro sessuale col bambino appaiono sospesi, messi tra parentesi, come se fosse un’altra persona a commettere quelle azioni (Jaria & Capri, 1988).
Poiché il numero delle vittime per singolo sacerdote, stando alle statistiche, è piuttosto elevato, viene da pensare che la scelta non ricada sulla specificità di un determinato bambino, ma su un qualsiasi bambino, purché mantenga i requisiti della sua età, pronto ad essere messo da parte una volta che assume le caratteristiche fisiche dell’adolescente o del giovane.
Sempre Jaria e Capri sottolineano la povertà emotiva e l’insufficienza affettiva, in sostanza l’immaturità personologica del soggetto affetto da disturbo pedofilico. L’anonimità, l’inautenticità e l’astoricità prevalgono su una qualsiasi altra dimensione relazionale, sottraendo al concetto di amore, ma anche a quello di affetto, il loro vero significato e lasciando inalterata solo l’urgenza erotica.
Pedofilia e craving
La tendenza del pedofilo a rivolgersi verso un genere piuttosto che verso un singolo, anche se per contingenze situazionali si concretizzano su un determinato bambino, fa pensare alla somiglianza con il craving del tossicomane. La sensazione disturbante del vuoto interiore, al limite dello scompenso angoscioso del senso di sé, costringe il tossicomane a cercare affannosamente un rimedio, non importa quanto sia lecito e opportuno. Allo stesso modo la sensorialità erotica che il pedofilo soddisfa nei vari approcci non incontra ostacoli poiché egli non conosce altra via per non soccombere.
Finkelhor e Lewis ipotizzano che attraverso l’atto sessuale vi sia non solo il piacere erotico ma anche la soddisfazione dei bisogni di contatto, di dipendenza e di apertura al vissuto emotivo che altrimenti rimarrebbero impediti. I due autori partono dall’idea che soprattutto il maschio non goda nel sistema educativo americano di sufficienti rapporti fisici, prima con i genitori e poi col gruppo dei pari; per questo motivo, più della donna, dà molta importanza al sesso.
In tal senso l’utilizzo erotico del bambino può essere considerato un mezzo da parte del pedofilo per recuperare la vitalità, l’opportunità di colmare un vuoto emotivo e un’esigenza di contatto che non troverebbe in altri modi. Il bambino è colui che spontaneamente si avvicina all’adulto (21) e interagisce con lui.
Anche Goldberg sostiene che la persona con un Sé indebolito utilizza “l’eccitazione sessuale come attività vitalizzante: la sessualità viene usata per sentirsi vivi” (Goldberg, 1998, p. 114). Se infatti si toglie il velo all’incessante sessualizzazione del rapporto con l’altro, si scorge “un vuoto emotivo e intellettuale”. I pazienti che lo psicoanalista aveva in trattamento e che presentavano problematiche perverse erano “individui fondamentalmente poco interessanti, limitati e privi di risorse interiori, scarsamente coinvolti con il loro ambiente, se non in modo superficiale” (Goldberg, 1998, p. 115 ).
Il comportamento impulsivo e sregolato del pedofilo, come di un qualsiasi altro affetto da un disturbo parafilico, è reso possibile in quanto la parte scissa del Sé “non presta ascolto alle normali richieste del Super-Io” (Goldberg, 1998, p. 153). L’Io, già di suo indebolito, trovandosi senza alleati, perde la capacità di gestire le richieste interiori con coerenza e misura; anche la realtà circostante col suo debito di responsabilità e di dignità non è più percepibile in modo proprio. Il conflitto tra la fantasia idealizzante e la realtà, tra la pulsionalità e la moralità, viene azzerato, e così ogni possibile differenza tra sé e l’altro, tra i bisogni propri e quelli altrui. Trionfa l’agire che in quel momento è supposto dare subito il risultato atteso, ossia il piacere che riequilibra l’umore, che consente un recupero dell’esserci e del sentirsi.
Pedofilia in ambito religioso
Il Club, un film di P. Larrain, gran premio della giuria alla Berlinale del 2015, narra la storia di quattro preti e una suora che non esercitano più il loro ministero da tempo. Vivono in una casa di un piccolo paese sul mare, vicino a Santiago, in Cile. Sono stati lì confinati dalla Chiesa locale per aver commesso dei reati. Poco alla volta emergono le loro storie: di pedofilia, di compravendita di neonati, di maltrattamento di una bambina, di collusione col regime dei militari. Passano il tempo partecipando alle corse di cani con il loro levriero. Non parlano mai tra di loro di quanto accaduto, né riflettono con sincerità e autentico pentimento sulle azioni commesse quando esercitavano il loro ministero, benchè così contrarie alla morale e alla missione sacerdotale e religiosa.
L’apparente tranquillità viene sconvolta dall’arrivo di Sandokan, un uomo abbruttito dalla povertà e dall’emarginazione sociale, che si mette a urlare fuori dalla casa di essere stato abusato da bambino da padre Mattia, l’ultimo arrivato in quella piccola comunità, in quel club. Ricorda le frasi seducenti del prete: “Tutto quello che vedi è opera del Signore… Tu sei stato col messaggero del Signore”. Continua raccontando in modo particolareggiato gli incontri sessuali, aggiungendo che nonostante gli venisse da vomitare, veniva sempre invitato a continuare.
All’inizio del film, su uno sfondo buio compare la scritta: “E Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre” Genesi 1, 4.
In un’intervista Larrain spiega: “La prima scena [dopo la citazione della Bibbia] ci mostra un uomo e un cane che giocano nella sabbia, facendo un cerchio: perchè io penso che non è possibile separare il buio dalla luce, e questa è l’idea del film” (22).
Il buio a cui il regista si riferisce ha sicuramente a che fare con gli atti di disumanità che i protagonisti della storia filmica hanno compiuto. Io vorrei usare questa terminologia anche per quanto riguarda il buio che talvolta gli esseri umani fanno scendere sui bisogni di umanità, di contatto fisico e affettivo, di cura e di condivisione.
Ai sacerdoti viene insegnata una dura disciplina riguardo agli scambi fisici e affettivi che possono scambiare con i fedeli. Nessuno li ha costretti a tale rigore se non loro stessi. C’è chi riesce a ritrovarsi in un regime di privazione e di sublimazione, chi invece soffre. Ma chi soffre dovrebbe consentirsi di portare un po’ di luce sulle necessità di intimo contatto che non è riuscito a spegnere. Se la presunzione di essere come si dovrebbe essere, invece di come si è, è molto elevata, può portare a scindere da sé e a mascherare qualsiasi esigenza esuli dal ruolo ricoperto, anche a scapito della realtà e delle leggi che regolano i rapporti umani e civili.
“I preti di queste case sono sottratti alla giustizia umana e messi in una condizione sospesa che non permette loro di redimersi per davvero, perché non ammettono la colpa” dice Larrain nella intervista (23).
Prima della colpa c’è la responsabilità di guardarsi e di capire, di accettarsi per quello che si è, non negando che esistano bisogni e conflitti, afferrando la paura di essere fragili, dipendenti, talvolta soli e mortificati, talvolta presi da una rabbia vendicativa. Se da una parte una carenza strutturale dell’Io non consente al pedofilo di vedersi nei panni di colui che manca di qualcosa, di colui che confonde sé e l’altro pur di guadagnarsi la sensazione di essere vivo, dall’altra la carenza della funzione protettiva di oggetti interiorizzati validi, fa sì che prevalga l’oscurità, la clandestinità e il travestimento ingannevole di un desiderio originario pur legittimo. Dietro il funzionamento maniacale (24) che guida quel tipo di azione erotica, vi è un aspetto di crudeltà diretto verso il Sé dello stesso pedofilo, che mira alla cancellazione dei suoi aspetti infantili e bisognosi (25).
L’abuso avviene quindi su due fronti. Tanto il minore quanto il pedofilo vengono oscurati nel loro diritto di essere seriamente amati, protetti e guidati.
Note
(1) Si può trovare un esempio, descritto in modo abbastanza dettagliato, nello scritto di Cosimo Schinaia Figures of clandestinity. Notes on a clinical case of occasional paedophilia, 2015
(2) I termini pedofilia (DSM) e preferenza pedofila (ICD) dovrebbero essere riservati ai casi di preferenza più o meno esclusiva per bambini di solito prepuberi, solitamente non associati a violenza fisica. Friedmann Pfäfflin (2004). Psicoterapia forense: lavorare con gli autori di abusi sessuali contro minori in Marco Casonato (a cura di) Pedofilia Quattro Venti, Urbino.
(3) “It appears, from the clinical literature, that some child sexual abusers feel some genuine affection for their victims, and most are probably calloused rather than hostile … Most child sexual abuse does not involve violent attacks on children, but rather the use of authority or misrepresentations to manipulate children into sexual contact” David Finkelhor e Ian A. Lewis An epidemiologic approach to the study of child molestation in “Human Sexual Aggression: Current Perspectives” Annals New York Academy of Sciences 1988, 528: 64-78.
(4) “Gustav von Aschenbach, inquieto scrittore di successo, abbandona la sua città, Monaco, alla ricerca del bello. A Venezia, preso alloggio in un lussuoso albergo del Lido, spera di rigenerarsi come scrittore e come uomo. Qui è affascinato dalla efebica bellezza di un giovanissimo polacco di nome Tadzio, ospite insieme con la madre del medesimo albergo. Inizialmente ritiene che l’attrazione nasca dalla bellezza statuaria del giovane, che sembra incarnare l’equilibrio e l’armonia dell’arte classica greca, cui egli si ispira. Ma, gradualmente, Aschenbach si rende conto che le sue emozioni sono di natura erotica, e che un sentimento torbido e voluttuoso si è impadronito di lui. Neanche il pericolo di contrarre il colera che si sta diffondendo nella città lo induce a lasciare Venezia, nell’illusione che il suo sentimento possa essere ricambiato. Aschenbach muore il giorno stesso della partenza di Tadzio dalla città” B. Panebianco, C. Pisoni, L. Reggiani, M. Malpensa Testi e scenari – L’età delle avanguardie vol. 6, Zanichelli 2009, Bologna p. 665.
(5) “In Morte a Venezia non vi è nulla di inventato: il viaggiatore nel cimitero di Monaco, la tetra nave polesana, il vecchio bellimbusto, il gondoliere sospetto, Tadzio e i suoi, la partenza fallita per lo scambio dei bagagli, il colera, l’onesto impiegato dell’ufficio viaggi, il maligno saltimbanco, o che so io; tutto era vero e bastava metterlo a posto” Thomas Mann Romanzo di un romanzo e altre pagine autobiografiche trad. it. Il Saggiatore, Milano 1972, p. 38.
(6) “All the details of the story are taken from experience. In the dining-room, on the very first day, we saw the Polish family, which looked exactly the way my husband described them: the girls were dressed rather stiffly and severely, and the very charming, beautiful boy of about 13 was wearing a sailor suit with an open collar and very pretty lacings. He caught my husband’s attention immediately. This boy was tremendously attractive, and my husband was always watching him with his companions on the beach. He didn’t pursue him through all of Venice – that he didn’t do but the boy did fascinate him, and he thought of him often” Katia Mann Unwritten memories Alfred A. Knopf, New York 1975, pag. 62.
(7) “A lui ho veramente voluto bene; fu davvero il mio primo amore e non me ne fu concesso uno più tenero, più beato e insieme più doloroso” Thomas Mann Lettere trad. it. Mondadori, Milano 1986 p. 948.
(8) “Il pedofilo spesso idealizza questi bambini; l’attività sessuale con loro comporta pertanto la fantasia inconscia di fusione con un oggetto ideale o di ristrutturazione di un Sé giovane, idealizzato. L’ansia riguardo all’invecchiamento e alla morte può essere tenuta a distanza attraverso l’attività sessuale col bambino” Glen O. Gabbard Psichiatria psicodinamica trad. it. Raffaello Cortina, Milano 1995, p. 315. Vedi anche Patricia A. Harrison, Jayne A. Fulkerson, Timothy J. Beebe Multiple substance use among adolescent physical ad sexual abuse victims in “Child Abuse & Neglect” 1997, 21: 529-539.
(9) “Le leggi dello spazio, del tempo e della logica, che promuovono la differenziazione, sono sospese” Gerald I. Fogel, Wayne A. Myers Perversioni e quasi-perversioni nella pratica clinica trad. it. Il Pensiero Scientifico, Roma 1994, p. 83.
(10) “E’ molto delicato, non ha salute -pensò Ascenbach- probabilmente non diventerà vecchio” Thomas Mann La morte a Venezia cit. p. 44.
(11) “Per Ascenbach rintracciare i segni di una gracilità del suo amato, di una prossimità a una dimensione di malattia e di morte, significa tentare di renderlo somigliante a sé proprio in ciò -giovinezza e salute- in cui Ascenbach si sente più fragile, disarmato e perdente” Valeria Turra Le palinodie della bellezza: una lettura platonica de La morte a Venezia in “Atti Accademia Roveretana degli Agiati” 2006, serie VIII vol. VI A: 387-412.
(12) “In quell’istante Tadzio gli sorrise, d’un sorriso eloquente, confidenziale, carezzevole e schietto, schiudendo le labbra a poco a poco. Era il sorriso di Narciso che si piega sullo specchio della fonte” Thomas Mann La morte a Venezia cit. p. 97.
(13) “Questo riferimento è tanto più suggestivo, perchè Tadzio non sta contemplando se stesso quando sorride, ma Ascenbach, la cui funzione diverrebbe quindi quella di uno specchio che, come l’acqua per Narciso, riflettesse la bellezza di Tadzio” Valeria Turra Le palinodie della bellezza: una lettura platonica de La morte a Venezia cit.
(14) “Di fronte alla dolce giovinezza che lo aveva innamorato, provava ribrezzo del proprio corpo in declino; quando guardava allo specchio i suoi capelli grigi, i lineamenti marcati, vergogna e disperazione lo assalivano. Istintivamente cercava di riposarsi, di riacquistare freschezza; andava sovente dal parrucchiere” Thomas Mann La morte a Venezia cit. p. 90.
(15) “Nulla temeva l’innamorato quanto la possibile partenza di Tadzio, e non senza sgomento dovette riconoscere che non avrebbe più saputo vivere se quella partenza fosse avvenuta” ivi, p. 70.
(16) E’ bene ricordare che i greci si riferivano sempre a ragazzi nell’età dell’adolescenza. I rapporti sessuali con impuberi erano severamente proibiti.
(17) Mauro Mancia recensione al libro di Gerald I. Fogel, Wayne A. Myers Perversioni e quasi-perversioni nella pratica clinica in “Rivista di Psicoanalisi” 1995: 510-515.
(18) “Childhood sexual abuse may negatively affect only the risk of developing a mental disorder, but also course of illness and treatment outcomes: a recent meta-analysis suggested that childhood maltreatment and sexual abuses are associated with an elevated risk of developing recurrent and persistent depressive episodes, and with a lack of response to treatments” Giulia A. Capra, Barbara Forresi, Ernesto Caffo Current scientific research on paedophilia: a review in “Journal of Psychopatology” 2014, 20: 17-26.
(19) “Nell’estate del 2001 il giornalista M. Baron arriva da Miami per prendere incarico come direttore del quotidiano Globe e per prima cosa incarica il team Spotlight di indagare sul caso di un sacerdote locale, accusato di aver abusato sessualmente di decine di giovani parrocchiani. Consapevoli che perseguire la Chiesa cattolica di Boston provocherà serie conseguenze, il caporedattore W. Robinson, i giornalisti S. Pfeiffer e M. Rezendes iniziano a scavare attraverso colloqui con l’avvocato delle vittime, interviste ad adulti che sono stati molestati da bambini e perseguendo il rilascio dei casellari giudiziari sigillati. Ben presto per il gruppo diventa evidente quanto la protezione sistematica dei sacerdoti implicati da parte della Chiesa sia molto più ampia di quanto avessero mai immaginato. Nonostante la ferma resistenza dei funzionari religiosi, tra cui il Cardinale Law di Boston, nel gennaio 2002 il Globe decide di pubblicare l’inchiesta, aprendo la strada per ulteriori rivelazioni, anche a livello internazionale” Il Giornale del 29/2/2016.
(20) Secondo Kohut le attività e le fantasie perverse sono in un’area scissa e compartimentalizzata della personalità. Vedi Heinz Kohut Narcisismo e analisi del Sé trad. it. Bollati Boringhieri, Torino 1976.
(21) “Physical contact is withdrawn from boys at an earlier age. Along with this goes a variety of attitudes that discourage physical affection and emotional dependency among boys. Boys are not supposed to need comforting. Boys are not supposed to be dependent and clingy. Thus boys are thwarted in the pursuit of needs that are normal in young children. Later, when young boys become adolescents and then young men, they are offered the opportunity to meet these needs, but now through sex. In sexual interactions a man can be touched, a man can be nurtured, a man can be clingy, a man can be close. These needs are acceptable in a sexual context. To fulfill them in this way does not diminish his manliness. The result is that when all kinds of natural human emotional needs arise, men are more likely to try to fulfill them in a sexual context” David Finkelhor e Ian A. Lewis An epidemiologic approach to the study of child molestation cit.
(22) La Repubblica del 7/10/2015.
(23) Ibidem.
(24) C. Schinaia così scrive del paziente che ha avuto in cura: “I had the feeling that the act of paedophilia might have been a genuine manic exploit, that is to say, the reactive result of having his feelings of exclusion following the birth of his son … His maniacal aspects were realized in a triumphant and excited state and in a state in which he damaged his objects at the same time” Cosimo Schinaia Figures of clandestinity. Notes on a clinical case of occasional paedophilia cit.
(25) A proposito di due giovani pazienti seguiti da una collega che presentavano problemi riguardanti il senso del limite, Giovanna Giaconia così scrive: “I casi descritti pur nella diversità mostrano, come tratto comune, la mancanza della funzione protettiva del Super-Io e l’accentuazione dei suoi tratti crudeli che mirano alla cancellazione degli aspetti infantili e bisognosi e ostacolano la crescita” (Giaconia, a cura di, Adolescenza ed etica Borla, Roma 2005, p. 7).