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La Compagnia delle illusioni (2019). La vita è un lenzuolo bianco, il film che vuoi proiettare lo decidi tu – Recensione del libro

La Compagnia delle illusioni racconta del dolore, della difficoltà del lutto e della ruminazione depressiva attraverso un’ironia che coinvolge il lettore.

Di Grazia Migliuolo

Pubblicato il 19 Lug. 2019

L’autore del libro La Compagnia delle illusioni, Enrico Ianniello, affronta tematiche come il disturbo da lutto persistente e complicato e la ruminazione depressiva, invitando il lettore a riflettere e a partecipare al dolore del protagonista, ad essere curioso e ad approfondire le mille sfumature di questo personaggio.

Grazia Migliuolo – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena

 

Antonio Morra, il protagonista di questa storia, dopo una carriera d’attore con un solo ruolo importante, a quasi cinquant’anni vive con la madre e la sorella Maria a Napoli, dove dirige un gruppo teatrale amatoriale. Il ragazzo di un tempo, pieno di sogni e forza di volontà, si è trasformato a causa di un terribile evento in un uomo senza capo né coda. Antonio è un ex attore professionista, un ex compagno, un quasi padre che per 23 anni vive nel pensiero di quello che sarebbe potuto diventare, di quello che era, di quanta felicità aveva vissuto.

Amata molto amata Lea, è questo l’incipit del libro, un carteggio con la sua compagna che va avanti dal momento della sua morte, da quando Lea attraversando la strada viene travolta, muore dopo poco insieme alla bambina che portava in grembo. Un lutto complicato quello di Antonio che rivive dopo quasi un quarto di secolo la tipica malinconia, il ritiro sociale, abulia e apatia di chi perde una persona cara.

Il momento del saluto con Lea non c’era mai stato perché Antonio aveva deciso di non entrare nella stanza dell’ospedale dove la sua compagna sarebbe morta da lì a poco; nemmeno al funerale riesce a partecipare, questo mancato saluto probabilmente contribuisce a mantenere attiva la fase iniziale del lutto che comporta un continuo ritorno ai momenti di felicità perduta che gli concedono solo di tirare avanti in una sopravvivenza senza sapore. Antonio idealizza l’amore passato.

Un amore così profondo da sfuggire all’uso dei nostri corpi attorcigliati, così puro da essere sacro, non umano, così forte da essere divino, così potente da renderci creatori di un tutto.

Questo rimanere fermo a 23 anni prima non permette al protagonista di avere relazioni sentimentali fino a quando non fa una serie d’incontri che gli stravolgeranno la vita, tra questi: zia Maggie, una misteriosa donna dall’età e dal passato indecifrabili, che lo assume per far parte della Compagnia delle illusioni.

La Compagnia delle illusioni

La Compagnia delle illusioni non è una compagnia teatrale, almeno non in senso stretto. È un gruppo speciale di attori totalmente sconosciuti ed eccezionalmente bravi, una squadra pronta a intervenire sulla realtà per modificarla secondo la volontà del committente.

La Compagnia delle illusioni non imita la realtà, la cambia in base alla volontà del cliente, perché Il fiore dell’illusione produce il frutto della realtà. Il frutto della vostra illusione ha prodotto il frutto della vostra realtà. Le persone non vedono ciò che vero, ma rendono vero quello che desiderano vedere.

Antonio è colpito dal carisma e si convince ad accettare questo strano lavoro vivendo sempre con un piede nel passato. Ed è così che il racconto scorrevole viene interrotto dal monologo di Antonio, un soliloquio che racconta di Lea, della loro vita passata e del perché questa vita sia stata inesorabilmente spezzata:

Amata molto amata Lea.
Questa città vi ha portato via da me, e io sono rimasto solo proprio mentre mi riempivo la testa e la pancia di desideri di felicità a portata di mano… poi magari sarebbe andato tutto in un altro modo, se tu fossi rimasta qui vicino a questo modesto attore innamorato di te, forse avresti avuto successo tu, forse avrei avuto successo io, chi può saperlo e in fondo cosa importa! ma saremmo stati felici insieme…

Una volta coinvolto in questo contesto lavorativo sui generis, ad Antonio viene chiesto di cercare un nome in codice:

“Ci vuole un nome in codice,” mi aveva detto Zia Maggie, durante il nostro primo incontro. “Magari non è così necessario, ma è meglio se lo tenete. Poi oggi si porta assai, questa cosa dei soprannomi. Non vedete che non esce romanzo ambientato nella nostra città ai giorni d’oggi che non sia pieno di soprannomi? E noi siamo immersi nella realtà e nell’attualità, ricordatevi. Il vostro nome vero deve servire solo alla vostra famiglia, ai vostri amici e per i vostri documenti. Ma qualcosa di illegale capiterà; quindi il vostro nome meno gira, meglio è.” “Zia Maggie, ma secondo voi dev’essere un nome eroico? Tipo un killer silenzioso? Che ne so, tipo Leòn? O un numero, tipo 007?” “Se vi piace, va bene pure Leòn, Crow, Coccodrillo e tutti gli animali che volete voi. Però non rispecchia proprio quello che dovrete fare. Io penso che sia meglio un nome mellifluo, imprendibile. Proteo, nun ve piace?” “Proteo? No… Me pare ’na medicina, no…” “Sì, forse tenete ragione. Allora fatevi venire un’idea che vi rispecchi. Tanto serve solo a noi. “Ci avevo pensato un po’, e alla fine avevo proposto il mio bellissimo, intenso, pugnace nome in codice: ’O Mollusco. Io non ho mai avuto una gran personalità, pure per questo avevo deciso di fare l’attore, da ragazzo, per vedere se potevo pigliarmi le personalità che mi offrivano i personaggi della letteratura e del teatro, e usarle nella mia vita di tutti i giorni, tutti quegli eroismi, quelle passioni febbrili che io sentivo di non avere, o di avere proprio poco poco. Invece, paradossalmente, il personaggio che mi aveva dato un po’ di fortuna, quel Raffaele il portiere che mi aveva reso riconoscibile per strada, era proprio così: un essere anonimo, senza mezzo straccio di opinione personale, pronto a mettersi al servizio di chiunque potesse allungargli un po’ di soldi; informato, sì, sui fatti di tutti quanti, ma invisibile. Allora pensai che ’O Mollusco era veramente il nome da battaglia giusto per me. Perché avevo una personalità scivolosa, senza capo né coda, una personalità umida e vischiosa: la personalità pelosa di una cozza. Almeno, questo pensavo di me.
 Mentre andavo verso l’incontro con Zia Maggie alla Villa Comunale, respirando l’aria fresca di una nuova primavera che refolava tra i vicoli e nelle maniche e si infilava maleducata nei colletti, ripensai a quella scelta. Si era dimostrata assolutamente perfetta. Facevo questo lavoro da due anni, ormai, e per il nostro gruppo di lavoro ero ’O Mollusco, o a volte pure The Wimp, in inglese, bellissimo! Sta arrivando The Wimp, diceva Zia Maggie al cliente, oppure questo è un lavoro per The Wimp, proprio come nei film. Finalmente ero davvero qualcuno, o qualcosa, proprio come nei film.

Così Antonio è diventato ’O Mollusco: l’interprete di mille ruoli diversi che gli permettono di influire sulle vite altrui fino a mutare la realtà, perché “le persone non vedono ciò che è vero, ma rendono vero quello che desiderano vedere”.

O’Mollusco, Rebecca, Beatrice.. chi fa parte della Compagnia delle illusioni?

Quando gli viene chiesto di darsi un soprannome sceglie il nome Mollusco perché lui sente di star partecipare ad una molluschizzazione morale che gli fa pensare di non poter più partecipare alla sorte di nessuno, se è reale. Antonio non sa più chi è, ha dovuto cedere il passo alle proprie illusioni, alla propria ruminazione depressiva, è affezionato al 25enne che era stato e una delle strategie per restare ancorato al passato è scrivere alla sua Lea.

Amata ancora amata Lea.
[…] Sei rimasta con gli occhi pieni, pieni di sogni, io me li ricordo bene i tuoi occhi. Eri bella, eri ispirata, eri intensa, eri forte, eri piena di piacere. Adesso dove sei? E il nostro piccolo sogno, dov’è? In quale angusto paradiso, s’è dissolto?[…]

Zia Maggie è una sorta di Virgilio che accompagna Antonio in una dimensione in cui la realtà cede il passo alla finzione, all’illusione, al gioco:

“non dovete prendervi troppo sul serio. Ecco tutto. Voi dovete danzare sulla vita, dovete cantare, dovete recitare. Dovete giocare”. Ed è una parola che Zia Maggie ha tatuato appena sotto il collo: in ludere. “ecco da dove viene la parola illusione, in ludere: essere in gioco. Nel gioco nasce tutto, dal gioco nasce tutto”.

La compagnia delle illusioni si avvale di una consulente, una psicologa per preparare la caratterizzazione di ogni personaggio da interpretare. Rebecca, ogni volta che c’era di affrontare un nuovo caso, chiacchieravo a lungo con lei per cercare di capire come gestire la situazione senza fare errori.

“Ascolti, io capisco che lei adesso sta lavorando sull’opposto di se stesso, è normale. Sta costruendo un personaggio diciamo…” “Merdoso?” “Sporco, basta la parola sporco. Ma non si dimentichi che, alla fine, quello che dovremo costruire sarà una persona. La differenza tra una persona e un personaggio sta nel fatto che la persona ha mille sfumature in più, non è bidimensionale, ha i suoi odori”.

Altro personaggio cruciale della storia della Compagnia delle illusioni è Beatrice, una giovane donna affascinante che affascina Antonio fino a travolgerlo e fargli rivivere l’incontro con Lea.

“Mi guardi e basta. Io sono complice del tuo sguardo, lo so; te l’ho sempre lasciato fare, non ti ho mai risposto male, mi sono sempre silenziosamente presa cura di te. Ma adesso la curiosità non mi lascia più scampo. Due domande te le devo proprio fare: chi sei e perché mi guardi? “sono un uomo qualunque, non credo di essere particolarmente interessante. E soprattutto non credo di esserlo per una ragazza come te”. “Si, piacere Beatrice, e tu? Mi sentivo emozionato come quando avevo incontrato Lea per la prima volta; forse anche di più, perché lì avevamo vent’anni tutti e due, quella era il capitale che ci offriamo reciprocamente, per trasformarlo presto in amore. Ora invece sentivo di essere fuori luogo, l’emozione era solo una variante dell’imbarazzo, in realtà mi vergognavo di me, della mia stempiatura, addirittura della mia esperienza, di fronte all’ingenua e limpida freschezza di quegli occhi, che chiedevano di vivere e scoprire la vita attraverso quella degli altri”.

La Compagnia delle illusioni, un libro che racconta l’elaborazione del lutto

Solo quando l’illusione avrà sovvertito anche la sua vita, Antonio potrà ritrovarsi. In fondo, come recita una delle regole della Compagnia delle illusioni

la conseguenza estrema della finzione è la verità.

Una storia bella e imprevedibile, raccontata con ironia, sentimento, compassione, e tanti altri toni che si susseguono rendendo la lettura del romanzo piacevole e avvincente.

L’autore del libro affronta tematiche come il disturbo da lutto persistente e complicato, la ruminazione depressiva, usando un’ironia che coinvolge il lettore, lo invita a riflettere e a partecipare al dolore, lo spinge ad essere curioso e ad approfondire le mille sfumature del protagonista.

La morte di una persona cara è un evento drammatico e doloroso, una delle sfide più impegnative della vita, che può indurre alcune persone a sviluppare un quadro clinico che si sta dimostrando altamente invalidante, con sintomi intensi e persistenti (anche per anni), correlato ad elevati tassi di rischio suicidario.

Il DSM 5 ha proposto la diagnosi di disturbo da lutto persistente e complicato per indicare proprio quelle condizioni in cui le manifestazioni acute del lutto, con vissuti a stampo negativo, di tristezza, colpa, invidia, rabbia, associati a persistenti ruminazioni relative alle cause, circostanze e conseguenze della perdita, permangono se sono trascorsi almeno 12 mesi dalla morte di qualcuno con cui l’individuo aveva una relazione stretta, considerando questo lasso di tempo come discriminante tra lutto normale e patologico.

Alla luce degli studi clinici e neurobiologici emerge l’importanza crescente di indagare tali quadri e, come delineato recentemente anche dal DSM 5, di una loro accurata caratterizzazione per individuarne le peculiarità cliniche e quindi l’autonomia nosografica da quadri potenzialmente affini. I fattori predisponenti o facilitanti il disturbo da lutto persistente e complicato possono essere sostanzialmente di quattro tipi, in quanto correlati a (L.Dell’Osso et al., 2013):

  • Caratteristiche del soggetto
  • Relazione con la persona deceduta
  • Circostanze della morte
  • Conseguenze della morte

Altro aspetto che caratterizza il personaggio di Antonio nella Compagnia delle illusioni è uno stile di pensiero ruminativo. Il protagonista s’interroga costantemente sul perché tali eventi si sono verificati chiedendosi “Perché proprio a me? Cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Avrebbe potuto andare diversamente, sul perché le cose sono andate così?”.

La ruminazione è definita come un processo cognitivo caratterizzato da uno stile di pensiero disfunzionale e maladattivo che si focalizza principalmente sugli stati emotivi interni e sulle loro conseguenze negative (Caselli et al., 2016). La ruminazione è una forma circolare di pensiero persistente, passivo, ripetitivo legato ai sintomi della depressione (Nolen-Hoeksema, 1991). Tale forma di pensiero è rivolto al passato ed è legato alla perdita di qualcosa di importante. I pensieri ruminativi diventano la causa della comparsa della depressione, del suo mantenimento e aggravamento (Broderick, & Korteland, 2004).

Il mantenimento di questo processo cognitivo disfunzionale è dato dalle metacredenze, sia positive che negative, Antonio oltre a rifugiarsi nel passato per un’idealizzazione di quanto vissuto, ha l’obiettivo di capire il senso di quello che è accaduto, ripercorrerlo per avere una spiegazione, una valenza positiva della metacredenza. È una modalità di pensiero afinalistica poiché non conduce alla ricerca di soluzioni, tiene la nostra testa continuamente rivolta all’indietro a scrutare un passato che non ci piace e che vorremmo cancellare. La ruminazione è un susseguirsi di pensieri negativi che confermano e rinforzano la nostra condizione negativa.

Alla fine del romanzo sarà Lea a scrivere una lettera ad Antonio, sarà un saluto?

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