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Immagine e immaginazione in psicoterapia (2018) di Marcelo Pakman – Recensione del libro

"Immagine e Immaginazione in psicoterapia" di M. Pakman è un’opera rivoluzionaria e innovativa che parte da basi filosofiche e apre nuovi scenari in terapia

Di Sonia Sofia

Pubblicato il 25 Lug. 2019

Immagine e immaginazione in psicoterapia rappresenta il primo volume della trilogia Lo spettro e il segno, un’opera nella quale Marcelo Pakman, psichiatra e psicoterapeuta radicato da anni negli States, tende a coniugare in modo clinico e teorico gli sviluppi di un approccio critico-poetico alla pratica terapeutica.

 

Egli privilegia la dimensione del senso, la materialità sensuale della vita, in un epoca come la nostra, dove il mercato della salute mentale appare dominato da pratiche derivate da criteri esclusivamente di tipo organico/biologico o da quelle che prediligono il linguaggio e l’interpretazione.

Immagine e immaginazione: la loro centralità in psicoterapia

Punto focale della proposta di Pakman è lavorare in quella terra di mezzo dove il senso si fa visibile, nelle immagini ancora vivide della corporeità.

Elena con la “h” o senza la “h”, chiede l’autore a Juan durante una seduta e, prontamente, dal pubblico si leva una domanda sull’importanza di questo dettaglio in un evento immaginato.

A partire da questo episodio, Pakman esplora il tema dell’immaginazione, sia nella vita quotidiana, sia nella pratica e nella riflessione psicoterapeutica, ponendo particolare attenzione a quei momenti di discontinuità che a tratti introducono punti di flessione nella continuità nel contesto psicoterapeutico, indicandoli come eventi poetici. Con tale termine, l’autore intende sottolineare che in tali eventi poetici si fanno presenti, nascono o vengono alla presenza, aspetti significativi della vita.

Pakman, dunque, continua a pensare alla clinica prestando particolare attenzione al tema dell’immaginazione.

Tradizionalmente l’immagine è stata considerata come prodotto dell’immaginazione, come una facoltà della mente individuale e come agente attivo di finzionalizzazione. Nel corso della storia si è andata affermando una dicotomia tra due aspetti dell’immagine: l’immagine come mimesis e l’immagine come poiesis.

Per il primo di questi poli, l’immagine è anzitutto una copia mimetica, una rappresentazione della realtà. Da ciò deriva la sua concezione come mera apparenza che, o deve essere superata grazie all’uso della ragione, in quanto rappresenta un ostacolo all’accesso alla realtà delle Idee come in Platone, o è impossibile da superare, in quanto secondo la visione postmoderna essa è indistinguibile dalla realtà.

Per il secondo polo della dicotomia l’immagine in quanto poiesis è produzione di qualcosa che non è parte dell’essere, ma del poter essere, del posse e non del esse. In questa prospettiva le immagini non sono sottoposte alla logica della rappresentazione o duplicazione della realtà di ciò che già è o è stato o alla logica della percezione, intesa come presenza della realtà empirica. Per passare dal primo al secondo polo della dicotomia, ovvero dalle immagini come mimesis alle immagini come poiesis, è necessario separare l’immaginazione dalla percezione, così come è necessario riconsiderare la memoria in quanto mera riproduzione della percezione. In tal modo è possibile fare spazio alla libera variazione delle immagini che acquisirebbero un ruolo anche nella costituzione della percezione e della memoria.

Immagine e immaginazione in psicoterapia: la svolta di Kant

Kant rappresenta uno spartiacque tra la concezione classica greca, ebraica e cristiana e la concezione moderna dell’immaginazione, ponendo quest’ultima a fondamento sia della conoscenza sensibile sia di quella intelligibile. In Kant l’immaginazione è la condizione di possibilità di entrambe le forme di conoscenza, essa è un’arte nascosta nelle profondità dell’anima umana.

Ma l’egemonia della ragione finisce per occultare l’intuizione di Kant, ritardando la possibilità di mettere al centro la consistenza sensuale dell’immagine. Con Baudelaire e Coleridge, il tramonto del divino implica l’abbandono della concezione classica della poiesis poiché comporta il rischio di imitazione demiurgica di Dio. Ponendo l’immagine sotto l’egidia del linguaggio, si determina una contrazione, se non una negazione di ciò che è nuovo ed inedito.

Nel novecento la questione dell’immaginazione verrà ampiamente approfondita da Jean Paul Sartre per il quale essa acquisisce un potere “irrealizzante” nei confronti delle cose, tale che

attraverso essa si realizza la capacità della coscienza di andare oltre la materialità e quindi di esprimere la propria libertà.

Sono queste forze ad essere sospese dall’evento poetico il cui avvento inaugura ciò che Jean Paul Sartre ha definito i cammini della libertà.

Per i surrealisti l’immaginazione acquista il proprio potere nel manifestarsi come libertà, la quale rende all’uomo la propria umanità e la felicità intrinseca al vivere, come quel “raggio invisibile” che svela al di sotto del reale, il “surreale”.

Immagine e immaginazione in psicoterapia: la rivoluzione di Nancy

Per l’autore, sarà il filosofo Nancy ad operare la rivoluzione. Nell’opera di Nancy troviamo due violazioni della concezione tradizionale dell’immagine fondata sulla dicotomia tra corpo e mente. In primo luogo per Nancy l’immaginazione non è in sé la facoltà mentale generatrice di immagini, perché queste, come la dimensione del senso cui appartengono, precedono il soggetto. La seconda violazione concerne il fatto che le immagini, liberate dalla psicologia che le disciplinava in quanto prodotti di una funzione mentale, non si limitano ad essere copia ma sono l’apparizione stessa di tutta la realtà, come magistralmente esposto da Morin.

Secondo l’autore, la psicoterapia (come la civiltà occidentale) ha bisogno di recuperare una capacità e una possibilità immaginativa che possano salvarla dalla superficialità e dalla frenesia occidentale distruttiva.

Ma come operano le immagini in psicoterapia? Quali reazioni suscitano? Permettono il riconoscimento e fissano l’accaduto per la memoria, fungendo così da medium di ogni conoscenza astratta, ma anche spaventano e suscitano emozioni tanto profonde da promuovere con la loro forza suggestiva e contagiosa convinzioni e comportamenti altrimenti inspiegabili.

“L’immaginazione” porta a vivere delle immagini simboliche, cariche di emozioni e significati. Conflitti, traumi e vari altri stati psichici possono essere rivissuti dal paziente che in uno stato di coscienza più ampia del solo pensiero, riesce ad accedere alla propria interiorità e creatività.

Nell’immagine c’è un’informazione sintetica capace di attivare vari circuiti ma in modo particolare i circuiti che collegano il sistema limbico (amigdala, ippocampo e ipotalamo) con le aree corticali cognitive ed elaborative (corteccia prefrontale).

I metodi che usano l’immaginario costituiscono un prodigioso strumento per entrare in relazione con il mondo interno dell’essere umano e una straordinaria chiave di accesso alla sfera emotiva.

L’immagine nel film Avik e Albertine

Nel film “Avik e Albertine”, un bambino che soffre di tubercolosi, viene portato a Montreal per essere curato. Nell’ospedale Avik fa amicizia con la piccola Albertine, ma quando la suora incaricata della loro istruzione si accorge che tra i due bambini sta sbocciando l’amore decide di separarli trasferendo Albertine in un altro ospedale. Nel corso del film vediamo Avik arruolarsi nell’aviazione britannica e partecipare ai bombardamenti su Dresda.

Avik non ha mai scordato Albertine che in ospedale, disperata per l’imminente separazione da Avik, gli ha donato l’unica cosa che possiede, una radiografia del suo torace nella quale si scorge l’immagine della sua malattia ma anche il suo cuore. Un’immagine che Avik porta sempre con sé, sino a quando molti anni dopo coroneranno il loro sogno d’amore sopra il pallone di un dirigibile. La radiografia di Albertine che nel corso degli anni è stata esposta alla guerra e ai viaggi aerei, non smette mai di essere “l’immagine”, ossia, la realtà dell’apparizione del loro amore attraverso trasparenze nelle quali si scorge la malattia.

In questo film l’immagine non perde la sua capacità di toccarci in quanto escrizione che emerge dalle inscrizioni (una foto per esempio) di un linguaggio catturato dai processi di significato. Il film mette in scena l’auspicio che l’immagine mantenga la capacità di toccarci.

In questi casi il segno, più che ricevere un significato da uno spazio trascendente – divino o umano (Dio, soggetto, struttura), segnala un senso verso una dimensione che sostiene nella sua materialità. Allora il processo di significazione si accompagna al processo di escrizione grazie al quale la significazione ritrova le proprie radici. Come dice Nancy: […] io divento la dissonanza di un accordo, il passo di una danza. “Io”: non è più questione di “Io”. Cogito diventa imago.

La realtà come imago non cessa di apparire come una dimensione intermedia, che non è l’ingenua realtà dell’immediato che rinnega il segno, e nemmeno è riducibile ai processi di significazione che normalmente lo monopolizzano. I segni del cogito non potranno mai sottrarsi dall’essere stregati dallo spettro della materialità vivida e sensuale del senso che prende corpo nell’immagine che il lavoro dell’immaginazione moltiplica sino a dar luogo a eventi poetici.

Immaginazione e significazione in psicoterapia

L’immaginazione è, dunque, di questo mondo, non è fatta solamente di un contenuto incorporeo e nemmeno è sinonimo di finzione. L’immaginazione è sempre ed essenzialmente contraddistinta dalla texture singolare del senso che concilia la pura materialità con i processi di significato.

Il lavoro dell’immaginazione ha la caratteristica del senso, troppo sensuale per essere incorporeo come il linguaggio e troppo etereo per essere pura presenza materiale.

In quanto spettro, l’immaginazione è incerta e ambigua e rompe la dicotomia tra anima e corpo. Essa non si limita ad essere una duplicazione della realtà, né ad essere mera fantasia produttiva. L’immaginazione è un lavoro con le immagini che acquisiscono carattere di percezione, memoria, finzione, sempre immerse in una tonalità affettiva emergente. Nell’immaginario sociale i limiti tra percezione, memoria, e finzione vengono mantenuti, mentre nel processo immaginario questi vengono riorganizzati grazie alla produzione, all’esposizione e al contatto reciproco delle immagini in occasione degli eventi poetici.

Attraverso l’immaginazione si alimenta l’affiorare di immagini che, moltiplicandosi nel loro reciproco contatto, favoriscono l’apparizione di realtà che sino al quel momento hanno avuto un grado di esistenza minimo.

Dall’immaginazione sorgono eventi singolari di senso che mettono alla prova le frontiere che, nell’economia dell’aisthesis, stabiliscono i limiti tra percezione, memoria e finzione, giocando ambiguamente tra ciò che è ed è stato e ciò che forse potrebbe essere. La ridefinizione di questi confini rappresenta un cambiamento ontologico. Per converso la pluralità di significati e interpretazioni non mette in discussione l’ontologia all’interno della quale essi emergono. Per questo il gioco dell’immaginazione, in quanto materia prima degli eventi poetici, è un esercizio estetico ma anche etico, sempre in relazione con la verità storica.

Immagine e Immaginazione in psicoterapia è un’opera rivoluzionaria, appassionata, innovativa che partendo da basi filosofiche apre nuovi scenari della psicoterapia.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Pakman M. (2018) Immagine e immaginazione in psicoterapia. Al di là della sceinza empirica e della svolta linguistica. Alpes Editore
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