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Attività fisica e psicopatologia: il disturbo di panico

Alcuni studi stanno cercando di capire se e in che modo l'attività fisica potrebbe essere utile per chi soffre di Disturbo di Panico

Di Alessandra Melli

Pubblicato il 04 Lug. 2019

L’ attività fisica sembra avere un ruolo non solo nell’incrementare il benessere psicologico in caso di salute mentale, ma anche del determinare miglioramenti in caso di psicopatologia..

 

Il disturbo di panico è un disturbo clinico caratterizzato da ricorrenti attacchi inaspettati, accompagnati da paura e disagio intensi, dalla preoccupazione persistente per l’insorgenza di nuovi attacchi ed in cui si verificano alcuni tra i seguenti sintomi: tachicardia, sudorazione, tremori, sensazioni di soffocamento, dolore al petto, nausea, vertigine, vampate di calore, formicolio, paura di perdere il controllo, paura di impazzire, paura di morire.

Disturbo di panico: il modello biologico

Klein D.F. (1993) sosteneva che il disturbo di panico fosse un disturbo di ansia di natura essenzialmente biologica. Ha rilevato gli effetti antipanico correlati alla somministrazione di imipramina: i pazienti non rispondevano dunque ai farmaci tipici dell’ansia ovvero alle benzodiazepine bensì all’imipramina che è un antidepressivo. Tuttavia questa teoria ha presentato dei punti di criticità, ovvero: non esiste un rapporto diretto tra imipramina ed attacchi, bensi anche altri antidepressivi riducono gli attacchi. Klein riteneva fossero falsi allarmi frutto di evoluzione, probabilmente legati all’ansia di separazione ed all’asfissia.

Si tratta di allarmi di soffocamento attivati da livelli crescenti di anidride carbonica che comportano una improvvisa difficoltà respiratoria che evoca una sensazione di soffocamento e che innesca iperventilazione, panico e desiderio di fuga, falso allarme che può essere attivato anche da segnali psicologici di soffocamento. Il ruolo dell’iperventilazione è controverso: non è infatti ben chiaro se sia la causa o la conseguenza dell’ attacco di panico in quanto i pazienti affetti da disturbo di panico iperventilano in misura più importante dei pazienti affetti da altri disturbi di ansia.

Disturbo di panico: il modello cognitivo

Clark (1986) sosteneva che gli attacchi di panico fossero dovuti ad una interpretazione catastrofica delle sensazioni somatiche, appannaggio di alcune persone che presenterebbero una tendenza stabile ad interpretare in modo errato i sintomi fisici. Si attiva così un circolo vizioso quando si assiste ad una congruenza tra le sensazioni avvertite e le credenze catastrofiche delle persone, con tendenza a sovrastimare il rischio per la salute credendo che tali sensazioni somatiche siano pericolose. Questo modello non spiega la persistenza della paura degli attacchi a dispetto della consapevolezza della non pericolosità. Clark evidenzia tre tipi di vulnerabilità:

  1. Biologica, correlata alla capacità di provare sensazioni corporee intense
  2. Tendenza ad interpretazioni catastrofiche
  3. L’insieme delle due

Le credenze catastrofiche comportano nel paziente la messa in atto di comportamenti protettivi come l’evitamento o la riduzione dell’attività fisica, la fuga, il ricorso alla vicinanza di persone rassicuranti, condotte che costituiscono fattori di mantenimento della problematica.

Disturbo di panico e benefici dell’esercizio fisico

Sono state introdotte nuove strategie di trattamento per ridurre l’ansia quali l’esercizio fisico. L’ attività fisica sembra possa ridurre l’ansia ma la mancanza di gruppi di controllo validi e la breve durata degli studi costituiscono un limite alla generalizzabilità dei risultati. Sono stati analizzati alcuni studi: uno studio di Hovland et al.(2012) secondo cui l’esercizio fisico ha comportato un miglioramento significativo delle cognizioni catastrofiche circa i pensieri associati all’attacco di panico ed un miglioramento dei sintomi fisici. Lo studio di Wedekind et al.,( 2010) ha dimostrato che l’esercizio aerobico regolare (corsa) ha un’efficacia superiore al placebo nel trattamento del disturbo di panico: lo studio ha confrontato il trattamento combinato di esercizio aerobico con e senza l’assunzione di paroxetina, deducendo che un miglioramento del disturbo potrebbe essere indotto da una maggior efficacia del farmaco, per l’effetto combinato con l’attività fisica. Lo studio di A. Broocks (‎1998) ha messo a confronto tre gruppi ovvero:  esercizio aerobico, clomipramina e placebo, rilevando che la clomipramina presentava una maggiore efficacia seguita dall’efficacia dell’esercizio fisico (superiore al placebo).

L’ esercizio fisico sembra avere una certa efficacia nel ridurre i sintomi del disturbo di panico e ridurre la sensibilità all’ansia che è un precursore di attacchi di panico e del disturbo di panico. I pazienti affetti da disturbo di panico potrebbero temere che l’allenamento possa provocare sintomi come dispnea, tachicardia, vertigini e per questo per le prime sessioni di attività sportiva si consiglia di affiancare al paziente un esperto allenatore e se è necessario, uno psicoterapeuta.

Un follow up a sei mesi ha evidenziato miglioramenti che possono essere attribuiti in parte alle aspettative dei pazienti; per questo sarà significativo munirli di un “diario delle attività sportive” che accuratamente raccolga la storia dell’attività sportiva, monitorando l’intensità dell’esercizio; inoltre sarà opportuno stabilire un programma terapeutico, la scelta dell’esercizio e le modalità di formazione idonee. Diversi studi (Ströhle A et al, 2009; Esquivel G et al, 2008; Ströhle A et al, 2006; Broman-Fulks JJ et al, 2008) hanno rilevato una riduzione di sintomi in soggetti affetti da disturbo di panico che praticavano il cardiofitness ma non si può escludere che l’aumentata interazione sociale possa contribuire al beneficio.

Attività fisica: l’esposizione utile per ridurre gli attacchi di panico

I meccanismi secondo cui l’esercizio fisico influisca sul miglioramento psicologico non sono chiari. Da una prospettiva cognitivo comportamentale l’esecuzione dell’esercizio rappresenterebbe una sorta di “Trattamento di esposizione” in cui il paziente si confronta con gli stimoli interni temuti durante l’attacco di panico, ovvero palpitazioni, arresto del respiro, vertigini, sudorazione: mentre sperimentano attacchi di panico, i pazienti tendono ad interpretare erroneamente le sensazioni corporee come espressioni di una malattia organica che minaccia la loro vita. Non si può escludere la possibilità che questo possa correggere le cognizioni disfunzionali correlate all’esercizio, aiutando i pazienti ad interpretare i pericoli percepiti in modo più innocuo (infatti i pazienti avevano ridotto il loro esercizio a causa della paura che avrebbero sofferto di malattie cardiache, in quanto l’esercizio avrebbe potuto condurli ad attacchi cardiaci pericolosi) .

Effetti ansiolitici dell’esercizio fisico sembrano essere correlati anche a cambiamenti adattivi nel sistema nervoso centrale ma non è chiaro se questi adattamenti neuroendocrini siano correlati o meno all’esercizio. Il ruolo dell’esercizio fisico può essere significativo per i pazienti con disturbo di panico che non possono assumere psicofarmaci: l’ attività fisica potrebbe quindi essere efficacemente integrata con la psicoterapia cognitivo comportamentale. Sarebbe interessante approfondire nel futuro con studi di follow up se, continuando un regolare esercizio fisico, si potrà ridurre nel paziente il rischio di una recidiva del disturbo.

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