A livello concettuale, il termine violenza designa tutte quelle condotte finalizzate a danneggiare l’alterità, sia fisicamente che psicologicamente. La violenza, a livello fenomenologico, può estrinsecarsi in differenti morfologie, ovvero sotto forma di insulti, minacce, abusi, molestie, intimidazioni e aggressioni fisiche (Valetto e Cappabianca, 2018).
A livello concettuale, il termine violenza designa tutte quelle condotte finalizzate a danneggiare l’alterità, sia fisicamente che psicologicamente.
La violenza, a livello fenomenologico, può estrinsecarsi in differenti morfologie, ovvero sotto forma di insulti, minacce, abusi, molestie, intimidazioni e aggressioni fisiche. Una valenza concettuale ed emotiva specifica ha la violenza che un lavoratore subisce sul posto di lavoro. Relativamente a ciò, una sfaccettatura particolare assume la violenza che gli operatori sanitari subiscono nel contesto lavorativo. Essa è molto diffusa ed è elicitata da una serie di condizioni, fra le quali risaltano la scarsa comunicazione fra operatori e utenti e i lunghi tempi di attesa. Le conseguenze della violenza sono molteplici e sembrano inficiare la relazionalità dell’operatore sanitario con il lavoro e con l’alterità.
Keywords: violenza, operatori sanitari, vittima, aggressore.
La violenza sul luogo di lavoro
Una valenza concettuale ed emotiva specifica ha la violenza che un lavoratore subisce sul posto di lavoro. Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (2002), la violenza sul luogo di lavoro può essere intesa come
incidenti in cui i lavoratori sono abusati, minacciati o aggrediti in situazioni correlate al lavoro […] e che comportano un rischio implicito o esplicito per la loro sicurezza, benessere o salute.
Relativamente a ciò, una sfaccettatura particolare assume la violenza che gli operatori sanitari subiscono nel contesto lavorativo. In base alle indicazioni del Ministero della Salute (2012), autori di questi agiti violenti possono essere differenti attori sociali. Infatti, la violenza può essere esercitata da un individuo completamente estraneo al contesto lavorativo, come avviene in una rapina; oppure può essere praticata da un paziente che usufruisce delle prestazioni terapeutiche erogate dalla struttura sanitaria; o, ancora, può essere perpetrata da un lavoratore nei confronti di un collega.
Dal punto di vista epidemiologico, il fenomeno della violenza sugli operatori sanitari assume proporzioni macroscopiche: infatti, stando alle stime dell’OMS (2002), il 50% degli operatori ha subito almeno un atto di violenza sul luogo di lavoro. Fra di essi, gli infermieri sono quelli più colpiti e fra i medici, a parere di una ricerca del 2018 (ANAOO – Assomed, 2018), ci sono quelli che lavorano nei Pronto Soccorso/118, nei reparti di Psichiatria e nei SERD.
Il Ministero della Salute (2012) ha individuato dei fattori di rischio, che, laddove presenti, elicitano più facilmente gli episodi di violenza. Fra di essi, si possono citare:
- un organico insufficiente;
- il lavorare in contesti che, dal punto di vista socio – culturale – economico, appaiono svantaggiati;
- la disorganizzazione del servizio (lunghe attese, affollamenti, mancanza di comunicazione fra operatori e utenti);
- difficoltà nelle relazioni interpersonali fra gli operatori;
- presenza massiccia di personale non strutturato (precari, lavoratori che dipendono da cooperative ecc.).
Gli attori sociali dei comportamenti violenti (vittima e aggressore) hanno dei profili psicologici ben delineati. Solitamente la vittima ha un’esperienza lavorativa minima ed è, relativamente all’età, giovane. Inoltre, ha difficoltà nello stabilire delle buone relazioni interpersonali e dal lavoro, frequentemente, riceve emozioni negative, quali senso di fatica, distress e insoddisfazione (Zampieron e Galeazzo, 2010; Arnetz e al., 2015).
L’aggressore, secondo ricerche svolte (McPhaul e Lipscomb, 2004; Duncan e al., 2000; Lin e Liu, 2005), è un uomo con un basso livello socio – culturale, che presenta una storia di comportamenti violenti. In aggiunta, ha avuto un’infanzia particolarmente difficile, può avere un disturbo da uso di sostanze e presenta, sovente, una malattia psichiatrica terapeuticamente non controllata.
Abitualmente la causa che scatena i comportamenti violenti del paziente è rappresentata da un’aspettativa frustrata, come, ad esempio, dei tempi di attesa estremamente lunghi senza nessuna comunicazione relativa alla loro durata. Inoltre, incide il vissuto personale del paziente relativo alla sofferenza e alla malattia, di cui è portatore, e che lo pongono in una condizione di vulnerabilità (Valetto e Cappabianca, 2018).
Gli effetti della violenta prevaricazione subita vanno dalle lesioni fisiche fino ai riverberi psicologici cronici.
La violenza procura choc, incredulità, paura, umiliazione, sofferenza fino al senso di colpa e di sfiducia che può influire sull’autostima e sulla motivazione e incrementare la disaffezione al lavoro. Alcune vittime provano invece un senso di rabbia che le induce al pessimismo e a un atteggiamento negativo cinico. Tutto ciò predispone a disturbi d’ansia o depressione. L’aver subito violenza o aggressioni, inoltre, mina le relazioni personali e professionali con i colleghi e con gli assistiti. È descritta una tendenza all’uso di medicinali […] e il ricorso a sostanze d’abuso o a un consumo rischioso di alcol (Valetto e Cappabianca, 2018, pag. 17).
In conclusione, la violenza sugli operatori sanitari è molto diffusa ed è elicitata da una serie di condizioni, fra le quali risaltano la scarsa comunicazione fra operatori e utenti e i lunghi tempi di attesa. Le conseguenze della violenza sono molteplici e sembrano inficiare la relazionalità dell’operatore sanitario con il lavoro e con l’alterità.