Nel corso del 4th International Conference of Metacognitive Therapy, Adrian Wells, fondatore della Terapia Metacognitiva, introduce il suo intervento sottolineando gli attuali limiti della terapia cognitivo comportamentale: nonostante risulti il trattamento di elezione per molti disturbi, la letteratura afferma che solo il 50% dei pazienti riporta risultati significativi.
I tassi di ricaduta sono tendenzialmente piuttosto alti e i dati di efficacia sulla depressione mostrano un trend decrescente dal 1977 al 2014. Il motivo di questa perdita di efficacia va forse rintracciata a livello culturale: negli anni ‘70 la terapia cognitivo comportamentale (TCC) costituiva un approccio innovativo e basato sulla ricerca, probabilmente accolta con fiducia da clinici e pazienti. Ma se riflettiamo in modo più critico sugli sviluppi della TCC è inevitabile per Adrian Wells considerare l’eclettismo che si percepisce nel panorama attuale, dove la tendenza dei clinici può essere quella di utilizzare diverse tecniche, provenienti da matrici teoriche molto diverse tra loro, che si collocano all’interno di una prospettiva che non è veramente condivisa.
Il prof. Adrian Wells sottolinea l’importanza di tornare a un modo più rigoroso di fare scienza, analizzando quali meccanismi mantengono la psicopatologia e validando il modello del disturbo, prima di ipotizzare e testare processi di cambiamento: tutti hanno pensieri negativi, ma non tutti sviluppano un disturbo, occorre quindi capire cosa determina il passaggio dal pensiero negativo al disturbo.
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Imm. 1 – Foto dal 4th International Conference of Metacognitive Therapy
Imm. 2 – Foto dal 4th International Conference of Metacognitive Therapy
Imm. 3 – Foto dal 4th International Conference of Metacognitive Therapy
Imm. 4 – Foto dal 4th International Conference of Metacognitive Therapy
Il modello della terapia metacognitiva
Il modello della terapia metacognitiva offre una spiegazione, identificando quali cognizioni (o meglio, metacognizioni) determinano il disturbo. Il modello metacognitivo concettualizza il sintomo come risultato di uno stile cognitivo ripetitivo (rimuginio, ruminazione, monitoraggio della minaccia) e comportamenti di coping paradossali che rendono il pensiero perseverante anziché interromperlo. I presupposti del modello si basano su conclusioni di studi condotti a partire dagli anni ‘90: la ruminazione incrementa outcomes negativi (Nolen-Hoeksema & Morrow, 1991), il rimuginio cristallizza i pensieri intrusivi (Wells & Papageorgiou, 1995), rivolgere l’attenzione su di sé aumenta l’ansia (Ingram, 1990), le differenze individuali nelle strategie metacognitive predicono l’insorgenza di un disturbo (Holeva, Tarrier & Wells, 2001), la Sindrome Cognitivo Attentiva è trasversale a differenti diagnosi (Fergus et al., 2013). Questi sono solo alcuni degli studi pubblicati in favore della validità del modello, molti altri non sono citati qui e i più recenti sono stati presentati in questo congresso.
Adrian Wells, il trattamento metacognitivo e la Detached Mindfulness
Il trattamento metacognitivo si focalizza su processi di causalità dimostrati dalla ricerca, utilizzando tecniche che agiscono su elementi del sistema metacognitivo. Una di queste è la Detached Mindfulness (DM), definita come uno stato di consapevolezza in cui i soggetti osservano i propri pensieri senza far seguire alcun processo cognitivo o strategia di coping (Wells, 2005) Diversi studi hanno mostrato la sua efficacia anche in confronto a altre tecniche, come l’esposizione o la ristrutturazione cognitiva per pazienti con fobia sociale. Gli stessi risultati sono stati rilevati inoltre per il disturbo ossessivo compulsivo, dove il passaggio da una prospettiva che discute i contenuti al lavoro sui processi mostra importanti implicazioni nel trattamento. Una recente review della letteratura (Normann & Morina, 2018) analizza 25 studi relativi all’applicazione del modello MCT a depressione, disturbo d’ansia generalizzato, PTSD e altro, mostrando l’efficacia dell’MCT rispetto ai controlli in waiting list e ai trattamenti cognitivo comportamentali.
Si tratta della prima volta che un approccio si mostra più efficace della terapia cognitivo comportamentale e i progressi effettuati – afferma Adrian Wells – sono stati possibili attraverso l’utilizzo di una metodologia rigorosa, in una cornice teorica precisa, che non permette la possibilità di integrazioni. Attualmente l’ approccio metacognitivo viene applicato nell’ambito delle psicosi, nel disturbo borderline di personalità, nel PTSD-complex, nei disturbi legati a patologie organiche, nelle dipendenze, in percorsi di prevenzione e recovery. Il modello tuttavia non è ancora completo, ad esempio non è del tutto chiaro come quali siano le componenti neurofisiologiche coinvolte nei processi metacognitivi o come normalmente gli individui si spostino da un livello metacognitivo alla percezione di non avere controllo sul proprio funzionamento cognitivo.
Per questo motivo assisteremo presto a un nuovo sviluppo, che tiene conto delle più recenti scoperte e che modifica il paradigma entro cui l’MCT si è finora sviluppata. Stay tuned!