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RO DBT: Radically Open Dialectical Behaviour Therapy

La Radically Open Dialectical Behavior Therapy (RO DBT) usa i principi dialetti della DBT per il trattamento dei problemi di ipercontrollo.

Di Veronica Cavalletti, Francesco Mancini

Pubblicato il 09 Apr. 2019

Aggiornato il 28 Ott. 2019 15:52

Il target della Radically Open Dialectical Behavior Therapy (RO DBT) non è una singola categoria diagnostica, bensì un insieme di condizioni che hanno a che fare con una forma di disregolazione emotiva talvolta trascurata: l’ ipercontrollo.

 

Alla base di ogni nuovo protocollo proposto in psicoterapia, vi è la definizione delle manifestazioni psicopatologiche che s’intende curare e del razionale dell’intervento, fondato sulla conoscenza dei processi psicologici che costituiscono i determinanti prossimi e i fattori di mantenimento dei fenomeni sui quali interviene il trattamento. Il target della Radically Open Dialectical Behavior Therapy (RO DBT; Lynch, 2018) non è una singola categoria diagnostica, bensì un insieme di condizioni che hanno a che fare con una forma di disregolazione emotiva talvolta trascurata: l’ ipercontrollo. L’approccio è dunque transdiagnostico, pensato per condizioni quali le depressioni resistenti, l’anoressia nervosa ed il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità.

Che cos’è la RO DBT

La RO DBT è un trattamento evidence-based sviluppato specificamente per i problemi di ipercontrollo. Alla base di questo approccio vi è l’idea di apertura radicale (Radical Openness) che ne rappresenta sia il principio filosofico fondante che la principale abilità il cui sviluppo viene perseguito attraverso questo trattamento. Secondo l’autore infatti il benessere psicologico deriverebbe dalla confluenza di tre fattori inerenti l’apertura radicale: la Openess (ricettività ed apertura), la Flexibility (controllo flessibile) e la Social Connectedness (connessione sociale ed intimità). Per raggiungere ciò, la RO DBT si focalizza primariamente sull’implementazione delle abilità di espressione sociale delle emozioni (Social-signaling). La RO DBT infatti si basa sulla teoria neuroregolatoria delle emozioni e sulle funzioni comunicative inerenti la loro espressione, proponendo una specifica tesi sul meccanismo mediante cui l’ ipercontrollo condurrebbe al disagio psicologico.

Perché trattare l’ ipercontrollo

L’autocontrollo, e cioè la capacità di inibire impulsi, desideri e comportamenti, e di posticipare la gratificazione per perseguire obiettivi a lungo termine, viene considerato una caratteristica positiva, ed è spesso associato al successo e alla felicità. Ma un eccessivo autocontrollo può essere in realtà problematico tanto quanto lo è un controllo scarso, conducendo a svariate difficoltà interpersonali e psicologiche, come peggior funzionamento sociale, isolamento, scarsa espressività emotiva, perfezionismo e rigidità.

L’ ipercontrollo è un costrutto complesso, che evolve attraverso le interazioni tra temperamento e ambiente. Secondo l’autore, i bambini maggiormente a rischio per l’isolamento sociale e per lo sviluppo di stili di coping basati sull’ ipercontrollo, sarebbero quelli caratterizzati da alta sensibilità alla minaccia, bassa sensibilità alla ricompensa, focus sui dettagli nel processamento delle informazioni, alte capacità di auto-regolazione, inibizione comportamentale, timidezza, tendenza all’evitamento del rischio, coartazione emotiva e un certo grado di tendenza al distacco sociale. Nell’incontro con l’ambiente, tali caratteristiche non sono sempre considerate problematiche, anzi, possono andare incontro ad un rinforzo poiché considerate socialmente apprezzabili. Ma tali “qualità” tendono a divenire ben presto il punto debole delle persone che le possiedono: un eccessivo controllo finisce per esaurire se stesso, all’interno di un circolo vizioso in cui tutte le risorse sono impiegate per ‘controllare’ l’autocontrollo, rendendo sempre più difficile utilizzare strategie di coping alternative, come ad esempio chiedere aiuto agli altri, e, nel contempo, la tendenza ad inibire l’espressione emotiva può precludere la possibilità che gli altri offrano il loro aiuto spontaneamente. La soppressione inappropriata dell’espressione emotiva o l’espressione emotiva incongruente (cioè la mancata corrispondenza tra l’esperienza esteriore e quella interiore) renderebbe inoltre più probabile per gli altri percepire la persona come inaffidabile o inautentica, con conseguente riduzione della connessione sociale: dunque determinate caratteristiche biotemperamentali combinate con la tendenza eccessiva a mascherare i propri stati interni, porterebbero ad ostracismo sociale e solitudine, esacerbando ulteriormente il malessere.

In questo modo, si andrebbero a costituire quattro principali deficit connessi all’ ipercontrollo:

  • Scarsa ricettività ed apertura (evitamento di rischi e incertezze, sospettosità, ipervigilanza verso la minaccia, scarsa apertura nei confronti di feedback inaspettati o disconfermanti);
  • Scarso controllo flessibile (bisogno compulsivo di ordine e strutturazione, perfezionismo, ossequiosità e senso del dovere, bisogno di prove, pianificazione, comportamento governato da regole e rigide convinzioni morali);
  • Espressione emotiva inibita e bassa consapevolezza emozionale (manifestazione delle emozioni inappropriatamente inibita o incongruente, minimizzazione del distress e scarsa consapevolezza delle sensazioni corporee);
  • Scarsa connessione sociale ed intimità con gli altri (relazioni distaccate, sensazione di essere diversi dagli altri, frequente confronto sociale e invidia, ridotta empatia);

La struttura del trattamento

Il protocollo della RO DBT prevede lo svolgimento sia di sessioni individuali della durata di un’ora ciascuna, a cadenza settimanale, che di trenta incontri dedicati allo skills training della durata di due ore e mezzo ciascuno, anch’essi da svolgersi settimanalmente.

Il punto di partenza è un accurato assessment; il protocollo diagnostico volto ad inquadrare l’ ipercontrollo viene proposto dall’autore come una combinazione tra modelli dimensionali e categoriali, organizzato secondo tre steps sequenziali:

  1. Insieme alla raccolta di informazioni generali (come dati demografici e anamnestici) vengono somministrati tre strumenti self-report:
    – Nell’ASC-WP (Assessing Styles of Coping: Word-Pair Checklist) il soggetto è invitato a scegliere una sola parola all’interno di una coppia di termini caratterizzanti stili di coping opposti;
    – Il PNS (Personal Need for Structure) Measure è un breve questionario volto a determinare il desiderio di strutturazione e la risposta del soggetto all’assenza di essa;
    – L’AAQ-II (Acceptance and Action Questionnaire-II), infine, viene somministrato per misurare la flessibilità psicologica.
  2. In seguito viene svolta un’intervista diagnostica che può essere semi-strutturata (in questo caso vengono fornite nel protocollo delle domande da utilizzare come guida) o strutturata (ad esempio utilizzando la SCID-5-PD). Questo step dell’assessment è considerato facoltativo, ma viene consigliato poiché è parte integrante dell’inquadramento globale del soggetto. Viene anche fornito un elenco di disturbi, sia di stato che di tratto, inerenti le problematiche di ipercontrollo per agevolare l’intervistatore.
  3. L’ultimo step prevede la compilazione, da parte del clinico, di due brevi strumenti: l’OC-TS (The Clinicians-Rated OC Trait Rating Scale) e l’OC-PRS (The Overcontrolled Global Prototype Rating Scale). Nel primo viene richiesto un giudizio quantitativo (su scala Likert) rispetto alla presenza di otto tratti considerati caratterizzanti l’ ipercontrollo, mentre nel secondo viene chiesto di esprimere un giudizio di somiglianza rispetto ad alcune descrizioni prototipiche inerenti i quattro deficit di base dell’ ipercontrollo (ricettività ed apertura, risposta flessibile, espressione emotiva e consapevolezza, connessione sociale e intimità).

Al termine dell’assessment, nel caso in cui il soggetto incontri i criteri dell’ ipercontrollo maladattivo, il trattamento può iniziare.

Il percorso individuale si focalizza gerarchicamente su tre macro target: come prima cosa vengono individuati e trattati i comportamenti che mettono a rischio la vita del paziente, poi le rotture dell’alleanza terapeutica ed infine i segnali sociali attraverso cui si manifesta l’ ipercontrollo maladattivo, che rappresentano il focus dell’intervento (espressione emotiva inibita o falsata, comportamento iperfocalizzato sui dettagli ed eccessivamente cauto, comportamento rigido e governato da regole, stile relazionale distaccato, elevata comparazione sociale, invidia e rancore). Le prime sedute (circa quattro) rappresentano lo stadio di orientamento e di impegno, e si focalizzano sul riconoscimento dell’ ipercontrollo come problema e sulla psicoeducazione in merito ad esso, sulla spiegazione dei meccanismi chiave del cambiamento e sull’impegno da parte del paziente a discutere con il terapeuta qualunque eventuale desiderio di abbandonare il percorso. A partire dalla quinta seduta e fino al termine del trattamento, la struttura di ciascuna sessione prevede al suo interno specifiche fasi volte al lavoro sui target del trattamento ed alla revisione dei compiti e del lavoro svolto nel corso dello skills training.

Per quanto riguarda quest’ultimo, esso segue una gerarchia di scopi al cui vertice troviamo l’insegnamento delle “Radical Openness Skills” (e cioè l’espressione sociale, l’apertura, la risposta flessibile, e la connessione sociale), e secondariamente si collocano i segnali sociali maladattivi che possono emergere durante il training, alcuni dei quali dovranno essere affrontati direttamente nel corso dell’incontro, altri nei colloqui privati ed altri ancora invece saranno ignorati. Lo skills training, a cui generalmente il paziente inizia a prendere parte dalla terza settimana di terapia individuale, si compone di trenta incontri nei quali vengono insegnate ai pazienti venti nuove skills. Ogni incontro è strutturato in cinque parti (apertura, breve esercizio di mindfulness, revisione degli homework, pausa, insegnamento delle nuove skills, assegnazione dei nuovi homework) e prevede specifiche dispense, fogli di lavoro e schede per gli homework.

Differenze e somiglianze tra DBT e RO DBT

La decisione di mantenere l’acronimo DBT (Dialectical Behavior Therapy) all’interno del nome di un nuovo protocollo, risiede nelle somiglianze di quest’ultimo con il lavoro di Marsha Linehan (1993). I principi dialettici sono infatti utilizzati nella RO DBT per aiutare i clienti con ipercontrollo a sviluppare modalità più flessibili sia a livello cognitivo che comportamentale; ne è un esempio il self-inquiry, una skill che richiede un miglior bilanciamento tra fiducia e diffidenza verso se stessi, per far sì che la persona sia in grado di accogliere critiche e feedback anziché reagire con un immediato diniego, ma al contempo senza perdere di vista i propri valori. Anche i principi comportamentali sono parte integrante dell’approccio RO DBT, ad esempio essi rappresentano la base nella spiegazione del processo attraverso cui certe modalità sovra-controllate di espressione sociale vengono rinforzate e mantenute nel tempo.

Per sintetizzare, è possibile identificare alcune differenze sostanziali tra DBT e RO DBT. La DBT ha come popolazione target persone con problematiche inerenti lo scarso controllo, e cioè soggetti le cui emozioni appaiono dirompenti e spesso difficili da gestire, come i pazienti con disturbo borderline di personalità, abuso di sostanze o con disturbo bipolare; al contrario la RO DBT è stata sviluppata per pazienti caratterizzati da ipercontrollo, e cioè persone in cui le emozioni sono spesso rivolte verso l’interno, coartate o mascherate. Nella RO DBT il focus primario dell’intervento non sono gli aspetti intrapersonali (come ad esempio le skills inerenti la tolleranza e la regolazione delle emozioni) ma piuttosto lo sono quelli interpersonali (come le skills inerenti la connessione sociale). La RO DBT, infine, persegue lo sviluppo della Radical Openness e cioè della capacità di cimentarsi attivamente nell’esperienza per sfidare le proprie percezioni, accrescere l’umiltà e la volontà di apprendere, mentre nella DBT si persegue la Radical Acceptance, e cioè la sospensione della battaglia contro la realtà, per trasformare la sofferenza intollerabile in un dolore che può essere accettato.

Che cosa dice la ricerca

La RO DBT è supportata da ricerche, sia longitudinali che correlazionali, svolte nell’ambito di diverse problematiche, come l’anoressia nervosa, le condizioni depressive croniche e i disturbi di personalità appartenenti sia al cluster A che al cluster C (Chen et al., 2015; Keogh, Booth, Baird, Gibson & Davenport, 2016; Lynch et al., 2013; Lynch, Morse, Mendelson, & Robins, 2003; Lynch et al., 2015). Ad oggi in particolare, tre trials randomizzati controllati hanno indagato fattibilità, accettabilità ed efficacia della RO DBT e delle sue versioni precedenti, portando allo sviluppo del protocollo attuale. I primi due RCT sono studi pilota (Lynch, Morse, Mendelson & Robins, 2003; Lynch & Cheavens, 2007) nei quali è stata utilizzata una versione della DBT (Linehan, 1993) adattata per l’ ipercontrollo; il terzo, e più recente, RCT è invece un ampio studio multicentrico volto ad indagare la generalizzabilità dell’intervento a campioni diversi e più estesi rispetto ai precedenti (Lynch et al., 2018).

Formarsi nella RO DBT

Conoscere la RO DBT e saperla utilizzare con i propri pazienti richiede un’adeguata formazione; attualmente sono previsti tre livelli di preparazione:

  • Il Training Introduttivo, della durata di un giorno, è un workshop che ha lo scopo di far conoscere gli aspetti teorici e pratici che stanno alla base della RO DBT;
  • Il Training Intensivo dura invece dieci giorni, suddivisi in due blocchi da cinque ciascuno, durante i quali il protocollo viene approfondito ed insegnato nel dettaglio, creando le condizioni idonee per svolgere il trattamento con i propri pazienti;
  • Le Supervisioni, infine, rappresentano il completamento della formazione in RO DBT e sono consigliate sebbene non obbligatorie.
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SCRITTO DA
Francesco Mancini
Francesco Mancini

Medico chirurgo, Specialista in Neuropsichiatria Infantile e Psicoterapeuta Cognitivista

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