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La profezia che si autorealizza (2018) di Davide Lo Presti – Recensione del libro

La profezia che si autorealizza di Davide Lo Presti mette insieme i principali studi fatti sull'argomento e mostra il ruolo chiave delle aspettative

Di Annalisa Balestrieri

Pubblicato il 27 Feb. 2019

Perché ci succedono alcune cose invece che altre? Perché ci consideriamo fortunati o sfortunati? E’ sempre il destino a decidere?

 

Secondo il libro La profezia che sia autorealizza no. Siamo noi, nella maggior parte dei casi, ad indirizzare il fato in una direzione piuttosto che nell’altra. Sono le nostre aspettative sugli eventi ad influenzarne il risultato.

La profezia che si autorealizza: il peso delle aspettative

Cosa determina le nostre aspettative? Può essere un’informazione, più o meno esplicita, che ci arriva da persone di cui ci fidiamo, oppure può essere la fiducia (o la mancanza di fiducia) in noi stessi a farci immaginare quello che potrebbe essere l’evolversi di una situazione e a farci comportare, inconsapevolmente, in un modo tale da indirizzare il nostro comportamento in modo che le nostre supposizioni si realizzino.

Naturalmente questo atteggiamento può assumere una valenza diversa: se le nostre aspettative sono buone il nostro comportamento sarà volto a realizzarle, e questo fungerà da stimolo per farci impegnare maggiormente ed avere davvero più possibilità di riuscita. Al contrario, se le nostre aspettative sono scarse, assumeremo un atteggiamento rinunciatario e rassegnato che ci condannerà molto spesso all’insuccesso.

In entrambi i casi però, una volta che l’aspettativa sarà realizzata, tenderemo a dire “lo sapevo”, assegnando al destino il ruolo di ago della bilancia. Ma non è così: siamo stati noi, inconsciamente, a determinare il nostro destino.

La nostra mente ha la capacità di selezionare gli stimoli che riceve: se ad alcuni decide di prestare attenzione, altri vengono invece ignorati. Chi ha una visione pessimista tende ad isolare e amplificare gli stimoli che vanno in quella direzione. Questo fenomeno prende il nome di bias di conferma, ossia quel meccanismo autoconvalidante della nostra mente di ricercare, inconsapevolmente, solo quegli stimoli che supportano la nostra visione.

Attenzione però: anche aspettative esageratamente positive possono portare a risultati negativi facendo sottostimare gli ostacoli, frenando la fatica che siamo disposti a mettere nella realizzazione degli obiettivi e portando ad un inevitabile fallimento finale.

La profezia che si autorealizza: il punto sugli studi fatti

Molto è stato scritto e molto si è discusso su questo argomento, il libro La profezia che si autorealizza vuole fare il punto sugli studi compiuti e sui risultati ottenuti per dare uno sguardo d’insieme su questo tema.

Ci racconta l’autore che gli sono serviti tre anni di ricerche per raccogliere tutto il materiale presentato nel volume e per proporci i risultati raccolti in svariati esperimenti, a supporto delle sue tesi.

Nel 1928 il sociologo americano William Thomas enunciava questo teorema:

Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze

Con questo voleva spiegare come l’uomo si muova in un contesto fatto di oggetti concreti e situazioni reali ma anche di idee, credenze e convinzioni (come tali soggettive e non sempre corrispondenti alla realtà) sulla base delle quali costruisce e pianifica il suo comportamento. Una volta convinto di una cosa tende a seguire la propria idea comportandosi di conseguenza, guidato dall’istinto,

come un anatroccolo che segue per imprinting la prima cosa che vede appena nato

La profezia che si autorealizza: gli esperimenti illustrati

Tra i molti esperimenti riportati nel libro La profezia che si autorealizza ne citiamo tre che risultano particolarmente esplicativi:

  • Il primo ci dimostra quanto incida il peso delle aspettative nelle nostre valutazioni. Ad un gruppo di soggetti viene fatto assaggiare del vino rosso, preso da 5 bottiglie etichettate con prezzi cha vanno dai 10 ai 90 dollari. Come immaginabile, il gradimento dei soggetti coinvolti nell’esperimento risulta maggiore verso le bottiglie più costose. In realtà, i vini utilizzati per l’esperimento sono solo tre, il più costoso e il più economico sono lo stesso vino, così come il secondo e il penultimo. La domanda che ci si pone è se il gradimento dichiarato sia reale e se i soggetti fossero in buona fede o se, influenzati dal prezzo dichiarato sulle bottiglie, avessero adattato il loro giudizio alle aspettative per dimostrarsi più competenti. Quello che sorprende è un esame fatto sul flusso sanguigno del cervello, nell’area responsabile dell’elaborazione del piacere che deriva da odori e sapori, da cui si evince come, durante la degustazione dei vini, il cervello registrasse effettivamente una sensazione di maggior piacere associata al vino ritenuto più costoso. Ciò dimostra come quest’area del cervello si fosse attivata non tanto in relazione ai vini ma al prezzo scritto sull’etichetta!
  • Il secondo esperimento spiega l’effetto placebo, la capacità di una sostanza che non ha di per sé effetto curativo ma verso la quale si nutrono delle aspettative, di produrre effetti terapeutici concreti. Durante la fase sperimentale che precede la commercializzazione di un farmaco questo viene testato su un gruppo (detto appunto gruppo sperimentale) e su un secondo gruppo, detto di controllo, al quale invece vengono somministrate (a loro insaputa) semplici pillole di zucchero. Entrambi i gruppi mostrano miglioramenti significativi. Questo in modo più evidente quando si tratta di patologie di tipo psicosomatico (quali insonnia, emicrania..). Ma la cosa più incredibile sono alcuni test clinici condotti sugli psicofarmaci, dai quali emerge che l’80-90% degli effetti dei più diffusi antidepressivi è dovuto all’effetto placebo: il nostro sistema nervoso abbocca all’idea di star assumendo un farmaco e reagisce come se si trattasse veramente di un fattore curativo rilasciando endorfine, attivando difese immunitarie e inducendo nell’organismo quella serie di cambiamenti ormonali e cardiovascolari che sono normalmente stimolati dal principio attivo. Questo risultato porta ad un’altra considerazione che fa riflettere, ossia che riponendo la propria fiducia nel farmaco si compie l’errore di attribuire a qualcosa di esterno da sé il merito dei risultati ottenuti e delle eventuali esperienze positive fatte, non riuscendo a contare sulle proprie forze e sentendosi sempre più deboli e dipendenti da fattori esterni
  • Il terzo esperimento spiega l’effetto del pregiudizio che si esprime attraverso un comportamento discriminatorio, come dimostra l’esperienza fatta in una scuola. Agli insegnanti viene fatto credere che da alcuni test fosse emerso come alunni considerati fino a quel momento “somari” avessero in realtà enormi potenzialità che si sarebbero espresse nel corso del secondo quadrimestre. Naturalmente gli studenti indicati erano in realtà stati scelti in modo assolutamente casuale. Nonostante questo il loro miglioramento si realizzò veramente. Le crescenti aspettative degli insegnanti verso quegli alunni, che fino a quel momento erano state molto basse, avevano fatto sì che li seguissero con più attenzione e che fossero più ben disposti verso di loro. Gli alunni, per contro, sentendosi più seguiti e stimolati si erano impegnati di più migliorando il loro rendimento. Ed ecco che la profezia, per quanto infondata, si era realizzata!

Una predizione si realizza non perché sia vera in sé ma perché nel momento in cui viene proferita, e presa per vera, altera lo scorrere degli eventi modificandone il corso

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Lo Presti, D. (2018), La profezia che si autorealizza, Palermo: Dario Flaccovio Editore
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