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Assistenza alle donne vittime di violenza che ricorrono al pronto soccorso: il giusto approccio medico-legale

La violenza sulle donne è un fenomeno in crescita e dalle numerose conseguenze per questo è necessaria una presa in carico globale della donna.

Di Guest, Marco Tanini, Simona Leone

Pubblicato il 18 Gen. 2019

Aggiornato il 24 Giu. 2019 13:29

In Italia secondo l’ISTAT la violenza sulle donne è un fenomeno che interessa oltre 6 milioni e 743 mila donne. 5 milioni hanno subito violenze sessuali, 3 milioni 961 mila violenze fisiche e circa 1 milione uno stupro o un tentativo di stupro.

Andreina Anziano, Marco Tanini*, Simona Leone**

 

La violenza sulle donne è ritenuto, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, un problema di salute di proporzioni globali e gli operatori sanitari, in particolar modo quelli in attività nei Pronto Soccorso Ospedalieri, possono fornire un contributo decisivo nell’assistenza primaria alle donne vittime di violenza che siano costrette a ricorrere alle cure ospedaliere, indipendentemente dalla circostanza che le stesse siano intenzionate o meno a denunciare i fatti all’Autorità Giudiziaria.

Va sottolineato come l’accoglienza sia determinante per rassicurare le vittime, in quanto consente loro di affidarsi e riferire quanto sia realmente accaduto senza remore, riserve o sensi di colpa (che spesso si registrano in chi subisce violenza); oltre al supporto clinico-assistenziale è fondamentale, dunque, anche quello psicologico, per favorire nella donna una presa di coscienza della realtà.

Quanto detto ha una valenza ancor maggiore per le donne gravide che, dopo un abuso, ricorrono al pronto soccorso per essere rassicurate sulla salute del bimbo; queste donne, infatti, difficilmente ammettono (o riferiscono) che le violenze sono opera del partner.

Violenza sulle donne: dati statistici e ricerche sul fenomeno

Sotto il profilo statistico va rilevato che secondo i dati forniti dall’Eurostat, circa 215.000 crimini sessuali violenti sono stati registrati dalla polizia dell’Unione Europea nel 2015, un terzo di questi (quasi 80.000) sono stati stupri, 9 su 10 ai danni di ragazze o donne. La polizia ha registrato il maggior numero di violenze sessuali in Inghilterra e Galles (64.000, di cui 35.800 stupri, il 55%) seguite dalla Germania (34.300 di cui 7.000 stupri , il 20%), Francia (32.900 di cui 13.000 stupri, il 40%), e Svezia (17.300 di cui 5.500 stupri, il 33%) (Unione Europea 2014).

Per alcuni paesi, come l’Italia, non c’è il dato scorporato per tipologia di aggressione. Per quanto riguarda le aggressioni sessuali (che non necessariamente sfociano in stupro), l’Italia presenta un numero di valori assoluti da metà classifica rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea – 4.000 casi – ed è tra gli ultimi se si considera il valore per centomila abitanti; inoltre tra il 2013 e il 2015 si è registrato una calo costante del fenomeno (Ministero Salute 2018).

Le cifre riportate, tuttavia, non riflettono necessariamente il numero effettivo di reati sessuali violenti poiché si riferiscono solo a quelli segnalati e registrati dalle forze dell’ordine, di conseguenza la variazione tra i diversi paesi è anche influenzata dalla consapevolezza generale e dall’atteggiamento nei confronti delle violenze sessuali.

Per sottolineare come il fenomeno della violenza sulle donne sia diffuso, basta leggere la relazione della European Union Agency For Fundamentalrights Violenza contro le donne: un’indagine a livello europeo” che si basa su interviste rivolte a 42 000 donne nei 28 Stati membri dell’Unione Europea (Unione Europea 2014). Si evidenzia, nella relazione, che la violenza sulle donne costituisce una grave violazione dei diritti umani per la vastità del fenomeno, che l’UE non può permettersi d’ignorare. Nell’ambito dell’indagine, le donne sono state intervistate in merito alle loro esperienze di violenza fisica, sessuale e psicologica, inclusi gli episodi di violenza perpetrata dal partner (violenza domestica), nonché riguardo a molestie sessuali e comportamenti persecutori (stalking). Dall’indagine emerge che l‘abuso è un fenomeno diffuso che influisce sulla vita di molte donne, ma che non sempre è segnalato alle autorità. Per esempio, una donna su 10 ha subito una qualche forma di violenza sessuale dall’età di 15 anni, poco più di una donna su cinque è stata vittima di violenza fisica e/o sessuale inflitta dal partner attuale o precedente e tuttavia solo il 14% delle donne ha denunciato alla polizia l‘episodio più grave di violenza inflitta dal partner e il 13% ha denunciato alla polizia il caso più grave di violenza inflitta da persone diverse dal partner.

In Italia l’ISTAT ha effettuato una indagine su 25 mila donne in età compresa tra i 16 e i 70 anni, dal gennaio all’ottobre 2006 con tecnica telefonica. L’ISTAT ha stimato che siano 6 milioni e 743 mila le donne vittime di violenza in quella fascia di età nel corso della propria vita. Cinque milioni hanno subito violenze sessuali, 3 milioni 961 mila violenze fisiche e circa 1 milione uno stupro o un tentativo di stupro. Secondo i dati ISTAT, nella quasi totalità dei casi le violenze non sono state denunciate (ISTAT 2007).

La ricerca di Mary Koss e di Cheryl Oros nel 1982 (Koss et al 1982) ha inquadrato un altro tipo di violenza sessuale, ovvero gli “acquaitance rapes” e “date rapes”, quando cioè lo stupratore è un conoscente della donna o se la violenza avviene durante un appuntamento romantico, la diffusione degli incontri tramite social networks ha intensificato questo fenomeno. Le vittime tendono ad essere incolpate ma anche ad incolpare se stesse poichè la violenza subita non è stata determinata da estranei ma da persone conosciute con le quali spontaneamente si è usciti. Difficilmente le vittime denunciano l’accaduto riconoscendo nel loro stesso comportamento una colpa. Questo tipo di stupro può essere legato all’utilizzo di un tranquillante-ipnotico, come ad esempio il Flunitrazepam (Roipnol) che, aggiunto ad una bibita, determina uno stato di incoscienza e confusione nei ricordi. Le donne, in questo caso, fanno racconti confusi e riferiscono di svegliarsi in luoghi a loro sconosciuti semmai spogliate dei loro vestiti. All’esperienza tragica si aggiunge l’assenza del ricordo preciso e gli elementi per una denuncia molto scarsi.

Aspetti medico-legali nell’ambito dei percorsi ospedalieri

Gli operatori sanitari svolgono un ruolo di grande rilievo nell’identificazione e nella prevenzione dei casi di violenza contro le donne. In seguito a violenze o abusi, infatti, il pronto soccorso ospedaliero diventa un punto di accesso preferenziale per la donna percossa o vittima di violenza sessuale ed è proprio in tale contesto che il personale sanitario deve intervenire per soccorrere i soggetti che vi arrivano spesso in un forte stato confusionale.

Sempre dall’indagine dell’European Union Agency For Fundamental rights, risulta che l‘87% delle donne considera accettabile il fatto che i medici chiedano regolarmente informazioni in merito alla violenza, soprattutto quando le pazienti presentano delle lesioni caratteristiche.

Le donne in stato di gravidanza non sono esenti da violenza, risulta che addirittura il 42 % delle intervistate hanno sperimentato episodi violenti durante l’epoca gestazionale.

Qual è quindi lo stato dell’arte in Italia? Quali misure sono state attuate?

I servizi del Sistema sanitario nazionale

Il nostro sistema sanitario mette a disposizione di tutte le donne, italiane e straniere, una rete di servizi sul territorio, ospedalieri e ambulatoriali, socio-sanitari e socio-assistenziali, anche attraverso strutture facenti capo al settore materno-infantile, come ad esempio il consultorio familiare, per assicurare un modello integrato di intervento.

Come è stato detto, uno dei luoghi in cui più frequentemente è possibile intercettare la vittima è il Pronto Soccorso Ospedaliero.
È qui che le donne vittime di violenza, a volte inconsapevoli della loro condizione, si rivolgono per un primo intervento sanitario. Sono già attivi dei percorsi speciali per chi subisce violenza, contrassegnati da un codice rosa, o uno spazio protetto, detto stanza rosa, in grado di offrire assistenza dal punto di vista fisico e psicologico e informazioni sotto il profilo giuridico, nel rispetto della riservatezza.

Linee guida soccorso e assistenza donne vittime di violenza

Il 24 novembre 2017 sono state approvate con DPCM le Linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza. Obiettivo delle linee guida è quello di fornire un intervento adeguato e integrato nel trattamento delle conseguenze fisiche e psicologiche che la violenza maschile produce sulla salute della donna.

Destinatarie del Percorso sono le donne, anche minorenni, italiane e straniere, che abbiano subìto una qualsiasi forma di violenza.

Si sanciscono, innanzitutto, disposizioni in materia di diritti fondamentali, ovvero si sottolinea che le vittime di reato devono essere riconosciute e trattate in maniera rispettosa, sensibile e professionale, senza discriminazioni di sorta fondate su motivi quali razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza a una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, età, genere, espressione di genere, identità di genere, orientamento sessuale, status in materia di soggiorno o salute.

  • Accesso al Pronto Soccorso e “Triage”

La donna può accedere al Pronto Soccorso: spontaneamente (sola o con prole minore); accompagnata dal 118 con o senza l’intervento delle FF.OO; accompagnata dalle FF.OO; accompagnata da operatrici dei Centri Antiviolenza; accompagnata da operatori di altri servizi pubblici o privati; accompagnata da persone da identificare; accompagnata dall’autore della violenza.
Il personale infermieristico addetto al “triage”, procede al tempestivo riconoscimento di ogni segnale di violenza, anche quando non dichiarata. Alla violenza viene attribuito un codice di urgenza relativa (codice giallo o equivalente) per garantire una visita medica tempestiva (tempo di attesa massimo 20 minuti) e ridurre al minimo il rischio di ripensamenti o allontanamenti volontari, sono rari i casi ai quali si attribuisce un codice rosso di emergenza (Mario Guarino et al. 2017).

  • Trattamento diagnostico – terapeutico

La donna presa in carico deve essere accompagnata in un’area separata dalla sala d’attesa generale che le assicuri protezione, sicurezza e riservatezza. Eventuali accompagnatori, ad eccezione dei figli minori, dovranno essere in un primo momento allontanati, successivamente, e solo su richiesta della donna, potranno raggiungerla nell’area protetta. L’area protetta rappresenta, possibilmente, l’unico luogo in cui la donna viene visitata e sottoposta ad ogni accertamento strumentale e clinico, nonché il luogo di ascolto e prima accoglienza (ove anche repertare il materiale utile per una eventuale denuncia/querela), nel pieno rispetto della sua privacy.

L’operatore che prende in carico la donna dovrà utilizzare un linguaggio semplice, comprensibile e soprattutto dovrà garantire un ascolto e un approccio empatico e non giudicante. L’instaurarsi con la donna di un rapporto basato sulla fiducia, potrà favorire l’eventuale passaggio alla fase successiva ovvero l’esposizione delle varie fasi del percorso e l’accettazione dello stesso da parte della donna che si dovranno concludere con l’acquisizione del consenso informato.

La sequenza delle azioni è la seguente:

  1. Anamnesi accurata;
  2. Esame obiettivo completo;
  3. Acquisizione delle prove (eventuale documentazione fotografica, tamponi, ecc.);
  4. Esecuzione degli accertamenti strumentali e di laboratorio;
  5. Esecuzione delle profilassi e cure eventualmente necessarie;
  6. Richiesta di consulenze.

Per le donne straniere dovrebbe essere disponibile un mediatore culturale così come per le donne affette da disabilità si dovrebbero interpellare figure di supporto.

Anamnesi ed esame obiettivo completo:

Si dovranno rilevare le generalità della paziente ed anche i dettagli della violenza con la storia medica dell’aggressione tramite la compilazione di moduli già predisposti. Bisognerà fare attenzione nel porre domande dirette sul fatto e sui segni riscontrati, limitandosi a chiederne l’origine, utilizzando domande aperte e riportando fedelmente “virgolettate” le parole della donna; è necessario porre attenzione nella raccolta dei dati relativi all’evento (data, ora e luogo, numero dei soggetti coinvolti ed eventuali notizie sugli stessi, presenza di testimoni, verbalizzazione di minacce ed eventuali lesioni fisiche); valutare poi la situazione di violenza (associazione con furto, presenza di armi, ingestione di alcolici o di altre sostanze, perdita di coscienza o sequestro in ambiente chiuso e per quanto tempo), talune informazioni potrebbero portare alla procedibilità d’ufficio del reato. Sarebbe utile anche la descrizione dello stato d’animo del soggetto: lucidità, incertezza nel racconto, o fluidità dello stesso. Se il racconto è preciso o vi sono elementi di confusione, se la paziente è scossa o ubriaca o drogata.

La donna deve essere informata dagli operatori sanitari sui suoi obblighi di legge , nonché sulla presenza sul territorio dei Centri Antiviolenza, dei servizi pubblici e privati dedicati e, qualora la donna ne faccia richiesta, devono essere avviate le procedure di contatto. È fondamentale l’informativa sulla possibilità di sporgere denuncia o querela, anche contattando direttamente le FF.OO.

Repertazione e conservazione delle prove:

La repertazione e conservazione delle prove è un momento di cruciale importanza, nel caso di indagine giudiziaria; sarà la documentazione clinica a fare la differenza per lo svolgimento delle indagini. È necessario garantire una corretta raccolta dell’anamnesi e degli elementi di prova, oltre ad una descrizione accurata delle lesioni corporee evitando ogni forma di interpretazione o giudizio soggettivo.

Raramente i casi di violenza sessuale si associano a gravi ferite, sia in sede genitale che extragenitale. In questa fase, la descrizione di eventuali lesioni su tutto il corpo, dovrà essere precisa e puntuale specificando sempre la sede, le dimensioni e i caratteri generali (colore, forma, profondità, dimensioni). Rivestono enorme importanza probatoria: lividi sui polsi segno di costrizione; segni di corda o laccio tali da provare un’immobilizzazione della vittima; lividure e segni di pressione sul lato interno delle cosce; traumatismi articolari dei polsi e degli arti superiori in genere; danneggiamento degli abiti. L’esame obiettivo dovrà includere un’attenta descrizione dello stato emotivo, psicologico e relazionale della donna; è discusso l’utilizzo della documentazione fotografica poichè non sempre l’immagine riproduce esattamente la gravità della lesione e ciò potrebbe, in fase dibattimentale, essere utilizzata come prova a favore dell’imputato. L’acquisizione delle immagini, comunque, deve avvenire tramite apparecchiatura fornita dall’ospedale e certificazione di giorno ed ora. Si procede, poi, alla ricerca e repertazione, nell’ambito della visita stessa, delle tracce di materiale biologico, avendo cura di adottare tutte le procedure capaci di evitare eventuali fenomeni di contaminazione.

Le tracce di materiale biologico possono essere trovate sugli indumenti (che devono essere repertati) e sul corpo della vittima con effettuazione di almeno due tamponi nelle zone interessate (orale-periorale-vaginale-rettale) e sotto le unghie di ogni dito per la ricerca del materiale biologico dell’aggressore nel caso la vittima abbia tentato di difendersi.

Le cautele da adottare sono:

  • utilizzo di guanti e mascherina
  • utilizzo di un lenzuolo per far spogliare la donna e conservare gli indumenti singolarmente
  • conservare gli indumenti in buste di carta a temperatura ambiente e sigillate con la descrizione del reperto
  • per i prelievi sul corpo della vittima non bisogna impiegare MAI tamponi con terreno di coltura ma quelli a secco, ed è necessario chiudere le provette con gli identificativi e congelarle (Non devono mai essere conservate in frigo)

Fondamentale è l’allestimento del verbale della catena di custodia in cui venga indicato il passaggio del reperto che dovrà essere sempre controfirmato dall’operatore e che dovrà riportare la data nonchè le generalità dell’esecutore. Il rifiuto a sottoporsi alle attività di repertazione deve essere annotato sulla documentazione.

Se dovesse ritenersi necessario e la donna lo desideri sarà assicurata una successiva assistenza psicologica, che potrà essere effettuata dalla psicologa dell’ospedale, se presente, o da una professionista della rete territoriale antiviolenza (Genetisti Forensi Italiani, 2018).

Ruolo dello psicologo

Il ruolo dello psicologo è fondamentale per indagare quei casi che possono creare particolari problemi nell’esplicitazione della non consensualità del rapporto o quando si tratta di minori particolarmente piccoli, oltre a fornire il necessario supporto alla vittima. I casi in cui è particolarmente difficile dimostrare la mancanza del consenso al rapporto sono principalmente due. Quando la vittima conosce l’aggressore e si colpevolizza per essersi posta nelle condizioni di essere violentata, questo avviene più spesso quando si tratta di partner anche occasionali. Quando la vittima non ha adottato reazioni di difesa ma è rimasta passiva a causa di una “reazione di congelamento”.

Nel primo caso è compito dello psicologo far capire alla vittima che quello che ha subito non è imputabile ad un suo comportamento, sostenere le donne che hanno subito violenza dal partner e che sono reticenti ad ammettere. Nel secondo caso è utile ricordare quello che è alla base della reazione da congelamento. La paralisi indotta dallo stupro appare prevalere in un gran numero di donne vittime di violenza che sono state studiate con l’obiettivo di determinare se esistesse una relazione tra le dinamiche dell’evento traumatico e le successive conseguenze psicologiche. Nella modalità fight or flight il cervello attiva le aree dedicate al controllo motorio che possa consentire di scappare o combattere, ma quando questa modalità non è possibile i programmi di immobilità si attivano e producono una paralisi temporanea (Tanini M et al., 2016). Il sistema di risposta abbassa i livelli di energia e vengono prodotte sostanze in grado di mitigare il senso di paura e dolore grazie al rilascio degli oppiacei endogeni come l’endorfina che producono uno stato analgesico (Mezey e Taylor, 1998).

Non sempre nei Pronto Soccorso Ospedalieri è disponibile uno psicologo in grado di aiutare la donna in questa condizione di forte stress, è strategico quindi che gli stessi operatori conoscano i meccanismi mentali che si attivano in caso di violenza.

L’atteggiamento in fase di accoglienza o di raccolta dell’anamnesi può fortemente influenzare l’emotività della vittima accentuandone o mitigandone i sensi di colpa e quindi anche la sua serenità emotiva post traumatica. È quindi importante rammentare, nei corsi di aggiornamento, l’origine della paura e quali siano le reazioni del nostro organismo in risposta ad uno stimolo così forte.

La paura che sopraggiunge nelle situazioni di violenza determina la stimolazione dell’amigdala, nucleo del sistema limbico, che, proprio in risposta ad uno stimolo minaccioso, genera reazioni che coinvolgono il sistema vegetativo. Quando valuta uno stimolo come pericoloso, l’amigdala reagisce inviando segnali di emergenza a tutte le parti principali del cervello stimolando il rilascio degli ormoni che innescano la reazione di combattimento o fuga (adrenalina, dopamina, noradrenalina), mobilita i centri del movimento, attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino. Contemporaneamente attiva i sistemi di memoria per richiamare ogni informazione utile che possa concertare una reazione appropriata di difesa. La vittima presenta tachicardia, sudorazione, tremore, aumento della pressione sanguigna ma anche attivazione del sistema muscolare che consente la possibilità di reazione o di fuga o, al contrario, come spesso accade nei casi di stupro, si può verificare il blocco delle reazioni motorie. Tale risposta, chiamata freezing, si manifesta con bradicardia e immobilizzazione totale o parziale con “congelamento” dei movimenti e può durare da pochi secondi a 30 minuti. Secondo Leach (2014) il freezing si innesca a causa delle tempistiche necessarie alla memoria di lavoro per svolgere i passaggi richiesti per attuare un’azione. Le operazioni mentali complesse in condizioni ottimali, richiedono un minimo di 8-10 secondi per essere attivate ed in circostanze particolari, come il pericolo, il processo può essere ulteriormente rallentato. Se nel proprio database non esiste una risposta appropriata, dovrà essere creato un sistema comportamentale temporaneo ma, nelle situazioni di pericolo come in caso di violenza, spesso il tempo non è sufficiente e la conseguenza sarà una paralisi cognitivamente indotta, o comportameto di freezing.

Quando in pronto soccorso si chiede ad una donna se durante la violenza ha urlato o ha cercato di scappare, non bisogna interpretare negativamente la mancata reazione, un nostro atteggiamento diffidente potrebbe portare ad una forma di colpevolizzazione della vittima in quanto la difesa appare indispensabile in caso di stupro che diventa rapporto consenziente se la donna non ha opposto resistenza. In realtà la paralisi indotta dallo stupro è una vera e propria necessità di sopravvivenza ma che può avere delle gravi conseguenze psicologiche post traumatiche. Le donne che non reagiscono, proprio per il loro immobilismo, potrebbero sviluppare dei gravi sensi di colpa, accentuati da un atteggiamento diffidente o giudicante di chi le prende in carico in pronto soccorso.

Una ricerca conclusasi in Svezia ha messo in luce che così come alcune specie animali, tipicamente predate, anche le vittime di stupro e violenza sessuale manifestano una reazione di congelamento nel momento in cui subiscono questo tipo di aggressione. Delle 298 donne oggetto dello studio il 70% ha manifestato una forma di immobilità tonica ed il 48% una forma estrema dello stesso (Möller, Söndergaard e Helström, 2017). Questo congelamento è una forma di paralisi temporanea che viene definita immobilità della tonicità. La TI è una forma di paralisi involontaria che coinvolge l’intero corpo e produce anche incapacità di parlare (Möller, Söndergaard e Helström, 2017).

Si comprende quindi come conoscere queste dinamiche psicologiche legate alla paura sia determinante per gli operatori sanitari che sono chiamati a testimoniare anche circa l’atteggiamento più o meno attivo, assunto dalla donna durante la permanenza in pronto soccorso. La conoscenza delle dinamiche psicologiche aiuta ad assumere quell’atteggiamento non giudicante che deve caratterizzare necessariamente la prestazione sanitaria.

Conclusioni

La preoccupante diffusione della violenza maschile sulle donne ed in particolar modo quella sessuale, vede in campo tutte le forze necessarie per prevenire e combattere il fenomeno, l’ultimo piano – di durata triennale – è del Dipartimento delle Pari Opportunità “Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020”. Il fenomeno da combattere con più vigore è la reticenza delle donne alla denuncia; l’Italia infatti, in base a statistiche internazionali potrebbe sembrare un paese virtuoso ma, probabilmente, la mancanza di fiducia nello Stato e nel suo sistema legislativo, la reticenza legata ad una cultura patriarcale, la scarsa sensibilizzazione riguardo le possibilità di assistenza e supporto, fanno sì che il numero delle denunce sia molto basso rispetto ai reati che realmente vengono perpetrati.

Il ruolo dei sanitari, quindi, è fondamentale, poichè il loro approccio, standardizzato da percorsi assistenziali chiari, ma anche emotivamente empatico, potrebbe invertire la tendenza e rendere il percorso legale, normalmente lungo e farraginoso, più agevole da affrontare non solo producendo in maniera chiara e corretta tutte le prove da utilizzare in sede processuale, ma anche indirizzando la donna ad un percorso psicologico, con forme di intervento congiunte ed interconnesse, idonee a restituire a quest’ultima fiducia sia nei confronti di se stessa che dello Stato.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali Violenza contro le donne: un’indagine a livello di Unione europea Panoramica dei risultati Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, 2014 Ministero della salute www.salute.gov.it
  • Dipartimento delle pari opportunità. Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020.
  • Genetisti forensi italiani Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 30.01.2018 n°24, Linee guida.
  • Guarino, M., Resta, A., Kosova, P., Pizzella A. Percorso rosa ASL NA1 - Procedura gestionale della violenza di genere in Pronto Soccorso.
  • ISTAT (2007). La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia.
  • Koss, M.P., Oros, C. (1982). Sexual Experieces Survey: A research instrument investigating sexual aggression and victimization. Jornal of Consulting and Cinical Psychology, 50, 455-457.
  • Leach, J. (2004). Why people ‘freeze’ in an emergency: temporal and cognitive constraints on survival responses. Aviation, Space, and Environmental Medicine.
  • Mezey, G.C., Taylor, P.J. (1998) Psychological reactions of women who have been raped- A descriptive and comparative study. British Journal of Psychiatry.
  • Möller, A., Söndergaard, H.P., Helström, L.(2017). Tonic immobility during sexual assault - a common reaction predicting post-traumatic stress disorder and severe depression.
*Marco Tanini: Direttore master in Ostetricia Forense, Elform e-learning **Simona Leone: Direttore master in Psicosessuologia, Elform e-learning
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