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Janina Fisher e il suo grande contributo alla cura del trauma e della dissociazione – Introduzione alla Psicologia

Janina Fisher è una delle massime esperte di trauma. Fondamentale il suo contributo alla Terapia Sensomotoria e il Trauma-Informed Stabilization Treatment

Di Francesca Fiore

Pubblicato il 24 Gen. 2019

Janina Fisher è una psicologa-psicoterapeuta e dottore di ricerca in clinica psicologica, oltre a essere Istruttrice al Trauma Center, vicedirettrice del Sensorimotor Psychotherapy Institute, direttore dei Servizi psicologici presso la Khiron Clinics, nel Regno Unito e docente presso la Harvard Medical School.

Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano

 

Janina Fisher è nota per la sua esperienza sia come terapeuta che come istruttore di EMDR e per i suoi lavori svolti in merito al trattamento sul trauma e sulla dissociazione. Inoltre, è co-autrice insieme a Pat Ogden del libro: Interventions for Attachment and Trauma sulla Psicoterapia sensomotoria e del libro: Healing the Fragmented Selves of Trauma Survivors.

La Fisher ha partecipato a diversi convegni e conferenze, dove ha raccontato la sua esperienza in ambito clinico e la sua teoria sul trauma. La Fisher esercita la sua professione da 25 anni sia privatamente sia in ambito ospedaliero e ha ricevuto diversi premi per i suoi contributi clinici e scientifici.

Janina Fisher: il trauma e il suo trattamento

Tutti coloro che subiscono un trauma necessitano di tempo per riuscire a elaborare l’accaduto e a superarlo. Succede, di conseguenza, che si attiva automaticamente una riposta istintiva di sopravvivenza, in cui il cervello rilascia adrenalina, entrando in una modalità in cui si registra un aumento dei tempi di risposta in relazione a quanto accade nell’ambiente circostante. Il risultato è avere dei ricordi frammentati di ciò che è avvenuto e di conseguenza, il modo di relazionarsi con l’evento scatenante appare più ovattato e circoscritto. Nel caso si avesse un supporto adeguato per superare l’accaduto, si potrebbe superare quel momento, ma l’evento sarebbe comunque presente vividamente in noi, in particolare nel caso in cui si fosse vulnerabili per la presenza di una serie di problematiche intervenienti, portando al manifestarsi di sintomi che disgregano l’evento traumatico. Inoltre, la risposta adattiva di sopravvivenza messa in atto dal sistema nervoso centrale potrebbe diventare cronica, ovvero si potrebbero avere continui stati di allerta e la sopravvalutazione del costante del pericolo.

Dal 1980, fino alla fine degli anni ’90, sono stati sviluppati nuovi paradigmi di trattamento che impattano maggiormente sugli aspetti somatici ed emotivi connessi al trauma. La Psicoterapia Sensomotoria, alla quale la Fisher ha dato un grosso contributo partendo dal concetto di attaccamento traumatico, affronta direttamente gli effetti del trauma sul sistema nervoso e sul corpo. La Psicoterapia Sensomotoria si basa specificatamente sul trattamento delle esperienze traumatiche verificatesi durante lo sviluppo.

Questo approccio utilizza strumenti di osservazione e di intervento rivolti principalmente al corpo, che sono abitualmente esclusi da altri tipi di terapie. Il terapeuta si concentra sulla postura, sulle tensioni muscolari, sui movimenti, incoraggiando il paziente a riconoscere ed osservare come le sensazioni fisiche siano legate a particolari emozioni e pensieri e ad integrare queste esperienze corporee nel suo vissuto. L’obiettivo principale della psicoterapia sensomotoria è aiutare il paziente a regolare le funzioni neurovegetative alterate, modificando i sintomi somatoformi e le credenze patogene riguardanti il corpo.

In sostanza, la terapia sensomotoria consente di migliorare la capacità di regolare l’attivazione corporea facilitando l’accesso a stati mentali problematici. Quindi, attraverso la relazione terapeutica il paziente sperimenta un certo grado di sicurezza grazie al quale è possibile affrontare le sensazioni corporee senza giudicarle, atteggiamento tipico della mindfulness.

Questo modello si può utilizzare come integrazione delle terapie tradizionali, utilizzando tecniche Mindfulness per facilitare la risoluzione delle risposte corporee connesse al trauma prima di rielaborare le risposte emotive e la creazione di significato.

Janina Fisher: la frammentazione del sé

Secondo Janina Fisher tutto parte da un attaccamento traumatico. Quindi, la qualità dell’attaccamento infantile determina lo sviluppo dell’attaccamento adulto e se problematico, interferisce con la capacità di gestione di quanto succede quotidianamente.

I genitori che spaventano il figlio provocano uno stato di insicurezza, fragilità, impulsività o paralisi, delimitando, così, lo spazio in cui può fare esperienza di emozioni facili da gestire. Traumi ripetuti o esperienze negative prolungate possono, dunque, compromettere la capacità di autoregolarsi, favorendo una attivazione emotiva problematica e dolorosa.

Un attaccamento problematico, inoltre, interferisce con l’interiorizzazione di un senso del Sé coerente. Si genera di conseguenza, un non riconoscimento dei bisogni che portano al manifestarsi di emozioni inaccettabili che si manifestano attraverso l’alienazione dal Sé e la frammentazione.

La frammentazione determina il manifestarsi interiore di diverse parti emotive che si possono manifestare in diverse situazioni di vita. Queste parti si manifestano e si alternano nel corso della giornata determinando diversi stati emotivi altalenanti che possono portare anche alla messa in atto di gesti autolesivi. Qui, entra in gioco la psicoterapia che consente di connettere queste parti partendo dal linguaggio del corpo, caratterizzato soprattutto di sensazioni e d’impulsi.

Janina Fisher: il blending e l’unblending

Janina Fisher sostiene che quando un’emozione prende il sopravvento si verifica il blending o fusione, in cui il paziente si fonde completamente con la emozione che sta provando, ed è proprio questa identificazione a determinare la patologia. Il paziente dovrebbe, nella migliore delle ipotesi, mettere in discussione l’idea di essere preda delle emozioni e il terapeuta aiuta il paziente in questo senso portandolo a capire che le emozioni più dolorose sono parte di se stesso e per stare meglio, dovrà imparare a riconoscerle come diverse da sé.

Il terapeuta, quindi, ha un ruolo focale nel riuscire a tradurre il linguaggio del corpo in narrazione. In questo modo si incrementa la consapevolezza, utile per riconoscere il sintomo come diverso da sé. Quindi, la non attribuzione di uno stato emotivo, porta ad una diminuzione della sofferenza. Si ottiene, in questo modo, una scissione o unblending, ovvero la capacità di notare una parte di sé e disidentificarsi da essa.

Il passo successivo è comunicare con la parte identificata, cercando di empatizzare o simpatizzare con la stessa, accudendo il sé bambino da cui ci si proteggeva. In questo modo avviene una riparazione all’attaccamento e una cura delle memorie ad essa associate, da cui generano emozioni negative e dolorose.

È noto che i ricordi sono codificati da reti neuronali e non possono cambiare, ma si possono creare nuove reti o connessioni che consento di attribuire nuovi significati al ricordo dolente. Lo scopo del lavoro con le parti di noi stessi è di accettare quanto accaduto, concedendosi la possibilità di individuare, o scrivere in alcuni casi, un finale alternativo a quello già verificatosi.

Janina Fisher: Trauma-Informed Stabilization Treatment (TIST)

Il modello di trattamento specifico proposto dalla Fisher si chiama Trauma-Informed Stabilization Treatment (TIST) ed è stato sviluppato per affrontare il trattamento del comportamento pericoloso o l’autolesionismo in pazienti che hanno subito un trauma. L’obiettivo del trattamento è aumentare la sicurezza del paziente, e facilitare lo sviluppo di una adeguata regolazione emotiva e la capacità di gestire o tollerare lo stress/trauma.

L’approccio TIST su basa sul concetto che ogni parte di sé rappresenta un modo per sopravvivere in condizioni pericolose e ognuna di queste parti consente un diverso approccio all’auto-protezione di se stesso, dando significato e dignità ai sintomi.

L’utilizzo di tale modello ha ottenuto successo nell’affrontare la sfida del trattamento di individui con una complessa diagnosi di PTSD, disturbo borderline di personalità, disturbo bipolare, disturbi da dipendenza e alimentari, disturbi dissociativi. Questo modello contestualizza che i comportamenti auto-distruttivi sono correlati al trauma, e per questo i pazienti, dopo aver riconosciuto queste parti, si sentono meno patologici, aumentano la motivazione a regolare gli impulsi auto-distruttivi, superando il trauma. 

 

Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano

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RUBRICA: INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA

 

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • d'Antonio, A. C. Pat Ogden & Janina Fisher (2016). Psicoterapia sensomotoria. Interventi per il trauma e l'attaccamento. Trad. ed ediz. it. a cura di Giovanni Tagliavini, Laura Bartocetti, Paola Bertulli & Maria Paola Boldrini. Illustrazioni di Deborah Del Hierro & Anthony Del Hierro. Milano: Raffaello Cortina, Milano,
  • Fisher, J. (2017). Guarire la frammentazione del Sé: come integrare le parti di sé dissociate dal trauma psicologico.
  • Fisher, J. (1999). Addictions and trauma. Paper presented at the 2000 Annual Conference of the International Society for the Study of Dissociation, San Antonio, Texas.
  • Fisher, J. (2009). Self-harm and suicidality. Interact: Journal of the Trauma and Abuse Group UK, 9, 2.
  • Fisher, J. (2017). Healing the fragmented selves of trauma survivors: Overcoming internal selfalienation. New York: Routledge.
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