Confesso: non sono una appassionata lettrice di narrativa contemporanea, e men che mai italiana. Allora, cosa ho trovato dunque in Giaguari invisibili? In questo volume, non brevissimo, di Rocco Civitarese, un diciottenne liceale di Pavia?
Clara Mucci
Ho perfino ignorato tutta la saga della Ferrante, e prima o poi ne pagherò il fio; chi mi conosce bene, e qui farò inorridire molti sapendo che sono stata Ordinaria di Letteratura inglese, sa che detesto leggere romanzi, di ogni epoca, di qualsiasi nazione, classici francesi o russi, minimalisti americani o grandi epopee dell’Ottocento, tutti subiscono la stessa sorte. Con rarissime eccezioni (che posso contare sulla punta delle mie dita). Semplicemente, io non reggo: sarà il respiro troppo lungo che la narrativa richiede, ma io mi annoio, mi sento che solo se fossi a letto malata e con tutto il tempo possibile da riempire potrei forse dedicarmi a questo stillicidio interminabile che per me è la lettura di un romanzo, e, ripeto, non faccio molte distinzioni. Il grande Peter Brook (Reading for the Plot: The Desire for the End) parlava di “senso della fine”, una specie di pulsione di morte, che il romanzo riuscirebbe a ingannare, allontanandolo magicamente, rinviandolo con il passo narrativo. Per me è il contrario, io vi affondo.
Giaguari invisibili: perchè leggerlo
Cosa ho trovato nel libro scritto da Rocco Civitarese, un liceale di fiere origini abruzzesi (la narrativa in Abruzzo tra i contemporanei vanta già un illustre precedente, non diciottenne ma vincitrice di premi rinomati, Donatella Di Pietrantonio), che me lo ha fatto leggere piuttosto d’un fiato, velocemente, allegramente? Direi, credo, innanzitutto il passo, il ritmo: un ritmo realistico e veloce, quotidiano e dinamico, accattivante e gustoso. Non si ha l’impressione di leggere le cose a posteriori, di un racconto a cose fatte; di, appunto, una “narrazione”, cioè la ripetizione logica di una catena di eventi che si snodano nel momento presente riandando al momento passato in cui le cose sono accadute, in cui c’è una catena temporale, lineare, che si dipana, qualcosa a cui si assiste nella migliore delle ipotesi a posteriori (e che per me è insopportabile; spesso di un romanzo se proprio devo leggerlo, leggo un po’ l’inizio, poi la fine, poi pizzico qua e là e decreto di solito la fine del tempo che gli ho attribuito).
In Giaguari invisibili non è così, sembra piuttosto di essere lì in contemporanea, di avere presenti i giovanissimi protagonisti delle varie storie che si intrecciano, di sentirne la voce attraverso i dialoghi serratissimi e costanti, e in più di leggere contemporaneamente nei loro pensieri, di rintracciare doppi sensi interiori, scarti tra le cose dette e le cose fatte, o le aspirazioni, in una modalità che sinceramente la narrativa di solito mi sembra fa fatica a rintracciare; piuttosto sono altre arti a farlo, a ricostruire tutti i piani interiori ed esteriori in contemporanea. Forse direi che Rocco Civitarese ha usato il passo cinematografico di una camera da presa in diretta: mi mancano i termini cinematografici giusti, ma insomma assistiamo in diretta al divenire, sia interno che esterno, sia individuale che collettivo, il più possibile veloce, sentito ed esperito piuttosto che descritto, con in più la presa diretta della voce interiore del protagonista, una sorta di coscienza o Super-io. Faccio un esempio (pp. 28-29), quasi a caso:
La madre di Anna ha agguantato i nipotini, zuppi e contenti nelle loro Crocs trasparenti, e sollecita la figlia a raggiungerla.
–Anna! È tardi, vieni!
–Resto qui a studiare!
La donna protesta e si allontana.
Ora la spiaggia è deserta. Gli ombrelloni sono stati rimossi e i lettini ammassati sotto gli alberi.
Tra il mare e la baia più carina di Camogli sono rimasti solo loro due.
Ma cos’è questa leggerezza che mi secca la gola e mi ridà vita?
La ragazza, cui il solo sta dorando la pelle bruna, si metteva mano a visiera sulle sopracciglia e sgrana gli occhi.
(Ti ho beccato, scappa! Cosa speravi, che le si scoprisse un capezzolo mentre giocava con quei quattro marmocchi? Che si spalmasse i seni con olio abbronzante? Stalker, maniaco, ficcanaso!). Pietro si butta in acqua e si nasconde dietro i frangiflutti. Si aggrappa alle rocce e, trovato uno spiraglio, riprende a guardare la ragazza.
Anna si china e si tocca le dita dei piedi con le mani. I capelli fanno muro davanti alle gambe. Poi si stiracchia, arcua la schiena, culetto indietro e pancia in fuori, e immerge un piede in acqua.–Brrr.
Giaguari invisibili: il corpo e la fisicità
Oltre al senso della sequenza cinematografica con dentro una specie di contemporaneo stream of consciousness, affiora qui un’altra caratteristica di questa scrittura direi fragrante, e lo dico apposta, come si trattasse di pane profumato: è una scrittura-visione che traduce quasi epidermicamente la reazione fisica e sensoriale della scena, con un gusto tutto speciale per il corpo; si potrebbe dire un gusto sessuale e in parte lo è, ma è un gusto per il corpo in sé e per una sensorialità tutta esperita, sentita, provata, non certo solo immaginata. Tanto che vale anche per i piccoli gesti quotidiani per esempio, tra cane e padrone, piccoli tocchi che rendono la sensazione del legame e del momento (p. 259):
Sofia grattò il naso a fragola di Tabù e prese a frugargli nel pelo stopposo. Il cane cacciò fuori la lingua
Sembra di esserci, di vedere la scena, ma anche di essere sia Sofia che il cane Tabù.
“Momenti di essere” (avrebbe detto la nostra illustre Virginia) senza alcuna presunzione o prosopopea, con una leggerezza frizzante, ingenua e quasi pudica nel suo essere esplicita e insieme rivelatrice con complice e accattivante autoironia… una gioiosa messa a nudo di momenti personali e intimi che rivelano un animo, uno spirito, in divenire. Spesso sono quasi tutti i sensi ad essere presenti, predominando il tatto e la vista, o l’immaginazione sensoriale in cui il tatto il gusto e l’odorato fanno la loro parte (p. 71):
Concentrati. Oggi è domenica. Che devi fare?
Prima i cornflakes…
Contrasse gli addominali, fece leva con le braccia e si alzò. Si grattò il sedere e, spalle curve e braccia penzoloni (provavo un gusto ancestrale nell’atteggiarsi, la mattina, a gorilla pieno di pulci), entrò in cucina.
I suoi se la ronfavano. La sorella Sofia, una bambolina di quinta ginnasio, era a casa Pettirosso per un pigiama party organizzato da Debora (pandistelle, reggiseni imbottiti e chiacchiere sui grandi di terza liceo fino alle due di notte! La colazione se la doveva preparare da solo.
… Fuori dalla finestra il sole si spandeva sul fogliame giallo e arancio della flora pavese.
Oppure, ancora a p. 95:
Lo accolsero il calduccio, l’odore delle pizzette appena sfornate e l’intimità di quattro gatti che si sfamano in solitudine.
Giaguari invisibili: entrare nel mondo degli adolescenti
Gli eventi che accadono nel libro di Civitarese sono quelli importantissimi e apparentemente irrilevanti di adolescenti che si affacciano al mondo, tra test d’ingresso da sfangare, concerti, partite di pallacanestro, feste e tutti i rituali sociali non scontati di chi si apre alla vita con l’entusiasmo e la vitalità di chi non ha ancora incontrato le (inevitabili) sconfitte della vita futura, a cominciare da un corpo che invece di farsi più bello e rotondo (come nella descrizione delle ragazze che passano dalla prima adolescenza alla piena adolescenza con i corpi che si arrotondano e gioiscono di come sono) e si fa più brutto e cadente, di speranze che non hanno ancora incontrato il vaglio della fatica quotidiana della resistenza della casualità della malattia, insomma degli eventi di vita.
Sia pure in modo scanzonato, senza prendersi apparentemente sul serio, Giaguari invisibili ha l’incanto di questa prima messa a fuoco di un mondo fatto soprattutto di sensazioni, emozioni fisiche, progetti più o meno chiari per il futuro senza ipocrisie, sotterfugi, colpevoli ritardi, sulla scia di un innamoramento che per il protagonista colora tutto… Che la visione sia nitida e tersa lo si vede dall’occhio che la presa diretta-narrante ha per la natura (p. 93):
la note spazzata dallo zefiro e dell’odore di salsedine lo accompagnò sul lungomare
Per chi si aspettava un mondo dissociato e sballato di internet e droghe o alcol e disturbi di genere o di personalità, o disturbi alimentari come spesso mi sembra la narrativa ritrae i più giovani, questo libro disincantato lo spiazzerà per la sua assenza di grandi vite da sdraiati attaccati al computer, di chiusure generazionali (certo è vero che i genitori dei ragazzi protagonisti non hanno un grande ruolo, e questo forse di per sé è rivelatorio di come veniamo visti, o di come sia irrilevante il mondo degli altri, o dei vecchi). Tranne la pessima figura che ci fa la madre del protagonista, propinatrice di broccoli, non ci sono adulti degni di nota, ma protagonista è proprio il “mondo dei pari”, come si usa dire in gergo per il gruppo dei ragazzi adolescenti che, per gli adolescenti, sono appunto l’unico mondo esistente, insieme agli animali compagni, credo).
Forse questo è un elemento di riflessione per lo spettatore, e mi ricorda il fatto che dopo le grandi traumatizzazioni sociali i gruppi di bambini e adolescenti fanno parte a sé. Ma forse questo è un mio vizio da psicoanalista abituata a leggere gli esiti post-traumatici generazionali anche quando non ci sono, e mi viene del tutto a posteriori, come retrogusto, non certo dalla lettura del romanzo che anzi lascia come sensazione finale la specie di carezza del sorriso del protagonista sognatore e sognante (p. 275, ultime parole del romanzo):
Madonna se era cotto. Pietro fece partire il conto alla rovescia per il prossimo messaggio e si addormentò col sorriso di chi fa finta di dormire mente qualcuno gli accarezza i capelli.
Una lieta sorpresa per la letteratura contemporanea, un certo sollievo per noi adulti credo.
Ecco, direi che forse io non leggo romanzi perché mi piacerebbe assaporarli, e Giaguari invisibili si lascia assaporare. E credo di aver trovato la sensazione di una capacità di immersione nella vita che è ancora colorata da una fertile e gioiosa attesa, come quando la luce dorata del sole del tramonto attraversa le giornate… e invece di alludere alla fine del giorno attuale prelude alla luce della giornata che verrà. E dipende solo dai punti di vista.